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3 - Nel meraviglioso mondo della fata di ferro (Fiaba)

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La Fata di Ferro aveva una casa che solo nel mondo delle fiabe era possibile immaginarsi. La giovane principessa si era presentata a lei, armata solo dell’innocenza, della voglia di vivere e delle sue paure. Aveva vissuto troppo tra gli echi misteriosi del bosco, cercando la forza per vincere le incertezze; aveva provato su di sé il peso opprimente dell’indifferenza. Ora, tutto questo, si contrapponeva all'ambiente fantastico che l’aspettava.

Da subito era stata accolta come la più bella delle principesse: le miscele di cacao più esclusive arrivavano da ogni parte del mondo per confezionare le sue cioccolate, mentre biscotti, marzapane e miele di giuggiole, non mancavano mai, all'ora della merenda.

La Fata di Ferro era intransigente: prima di tutto bisognava fare i compiti; ma poi, come d’incanto, quelle volavano in fretta. Era bello persino studiare se il premio era un sorriso affabile e complice della fata. La giovane faceva del suo meglio per collezionare buoni voti, per non interrompere quel connubio felice.

La Fata di Ferro si dimostrò la migliore delle amiche e la più fidata. Bellissima, grande, prosperosa; indossava sempre vestiti colorati e allegri: un vero e proprio inno alla gioia. Aveva mille abiti, tutti troppo corti per nascondere le sue grosse gambe burrose; tutti troppo stretti per contenere i seni gonfi o le natiche tonde.

Nella casa della Fata tutto era a disposizione e non c’era altro da fare che essere felici. La padrona di casa aiutava Alba nelle scelte senza prevaricare, condivideva le sue idee, la consigliava, e la ragazza non trovava da obiettare ai suoi pareri sussurrati, anzi: pendeva dalle sue labbra. La cosa incredibile era ricevere tutta la sua attenzione, incondizionatamente.

Nulla, in quella casa. contava più della principessa; per la Fata di Ferro il centro dell’universo, era Alba e tutto ciò che lei diceva era interessante, unico e prezioso.

Stava con piacere nella sua famiglia, ma intanto, non vedeva l’ora di correre via… il mondo delle fiabe l’attendeva e non vedeva l'ora di poter ritornare nella casa alla fine del sentiero, tra le buganvillee e gli oleandri, colorati e velenosi. Ogni giorno la principessina si sentiva più grande e più forte; ogni giorno correva verso nuove esperienze. E, celato nel suo cuore di piccola peccatrice, aveva un segreto, inconfessabile ma sublime. Una delle cose che l’attraevano era il corpo della fata; sarebbe rimasta ore a rimirarlo. Già quell’unico incantamento sarebbe bastato a rendere le visite improcrastinabili.

Lei era bellissima e, per la gioia di Alba, estremamente distratta. Quando sedevano al tavolino delle ghiottonerie, spesso accavallava le opulente gambe, senza curarsi del camice che si alzava e, salendo, a ogni movimento metteva in mostra le calze; sempre diverse, sempre di nuovi colori. Quelle che le piacevano di più erano le nere. Le calze nere parevano più piccole di una misura, la seta era tesa sulla pelle, creando appetitosi chiaroscuri; lo sguardo, ipnotizzato da quella visione, cercava il punto dove il nero deciso dell’orlo merlettato liberava, con uno sbuffo lievissimo, la carne rosea e chiara. Anche quando si adagiava su un basso pouf, sgranocchiando cannellini e Lacrime d’Amore, non era difficile che Alba riuscisse a carpire un’immagine delle sue mutandine, schiacciate tra le cosce.

La povera fata sedeva li, per non rubare spazio ad Alba a cui, da principessa quale era, era riservato il posto d’onore, sul divano.

A volte gironzolava per casa, alla ricerca di un granello di polvere “vigliacco”, o di uno dei tanti oggetti che, in quella casa fatata, avevano la terribile tendenza a cadere negli angoli più nascosti; da quando aveva scoperto che, per ritrovarli, la fata si metteva carponi, mostrandole il fondoschiena oppure le poppe gloriose, Alba, pur essendo di indole affettuosa e servizievole, non si offriva mai, come volontaria, per le ricerche. Preferiva godersi ciò che riusciva a vedere… E la fata aveva infinita pazienza e nulla chiedeva alla sua preziosa ospite.

Per fortuna, tutti i rossori e le vampate peccaminose della ragazza passavano inosservati, tant’è che una volta, fattasi coraggio, Alba, dal gabinetto, chiamò la sua madrina con una scusa e si fece trovare seduta sul vaso, con le sottili gambe dischiuse. Anche allora la fata non disse niente e nulla notò, chiusa in una “casta” indifferenza. Al contrario, la principessa per la vergogna sopravvenuta dopo l’eccitazione, cercò una scusa frettolosa per tornarsene a casa e, per alcuni giorni non si fece più sentire.

Al terzo giorno fu la fata a chiamare e tutto riprese come prima.

Peccati Erotici Delle Italiane, Volume I

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