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Genova, saudade e spleen
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Ho vomitato l’anima
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ieri
e adesso mi sento più leggero
posso nuotare libero
senza zavorre di rimorsi e cattiverie
Ho vomitato l’anima
ieri
e ho sporcato il cesso
Non so cosa mi uscisse dal corpo
sembrava limatura di ferro
mischiata a cotone insanguinato
forse aveva segato le sbarre
per poter scappare
forse si era ferita
forse infettata
Ho vomitato l’anima
ieri
ma non è stato come me l’aspettavo
Pensavo che attendesse
le trombe del Giudizio Universale
la barca di Caronte
o almeno un rintocco di diafane campane
Niente.
Non ce la faceva più a restarmi dentro.
Scalciava
Urlava
Soffocava
e io mi forzavo
sopportavo
perché pensavo che fosse indispensabile avere un’anima
e anche lei pensava d’aver bisogno d’un corpo
E’ strisciata via dalla mia bocca
la sua coda era lunga e spinosa
e si agitava guardandosi attorno
Ho vomitato l’anima
ieri
e chissà dov’è finita
Sembrava fatta di mercurio
imprendibile
come quando ce l’avevo dentro
e mi rovesciavano come un guanto
restando attoniti davanti alle mie pareti lisce
Ho vomitato l’anima
ieri
e oggi i Nullibisti di Henry Moore
mi vogliono già come loro capolista
alle prossime elezioni
Appena sei vuoto
vieni scelto per rappresentare gli altri
Un bidone che può contenere
più rifiuti possibili
Rifiuti di carta
Rifiuti di carne
Rifiuti nati per essere rifiuti
Rifiuti fatti per non essere rifiuti
Ho vomitato l’anima
ieri
e forse mi manca già:
non so più con chi mentire
quando sono solo
quando sogno solo
Il letto a volte m’ingoia
mi accoglie sorridente
e poi si piega a metà
come una pizza mangiata con le mani
e io mi sento digerito nei sogni
digerito bene quando non li ricordo
digerito male quando i miei occhi
al risveglio si spalancano di colpo e mi sputano fuori
Ho vomitato l’anima
ieri
e forse se ne sta nascosta nel sifone
arringando grumi di capelli, microbi, saponi
e incrostature nere di chissà cosa
Cosa starà dicendo di me?
Se ne parlerà male ogni mattina il lavabo
s’intaserà per sciopero
Eppure anche voi, Popolo dello Scarico,
avevate fiducia del mento che intravvedevate dal buco
Non lasciatevi corrompere anche voi come ho fatto io
ora lei è la vostra guida come lo è stata per me,
vi farà diventare profumati, bianchi & puliti
Un Popolo dello Scarico senza identità
Voi abituati a guardare dal basso in alto
e a provarci gusto
Come quando io bambino alzavo lo sguardo
e vedevo le nuvole marzoline
impigliarsi nei baffi di mio padre
o la mano di mia madre
che pendeva come una liana
a cui appendermi sicuro
Ho vomitato l’anima
ieri
e fu forse rigurgito infantile,
latte e biscotti al plasmon
scaldati dal mio giovane ventre
Avere un’anima al plasmon
Al napalm, al plancton, al clacson
Avere un’anima e vomitarla
e quel vomito animarlo
Non è colpa mia se anche stasera
sono costretto a inventarmi storie che nessuno mi racconta mai
e non è neanche questione
d’essere un eterno bambino,
perché gli altri non sono cresciuti
sono soltanto già morti
e al Cimitero sì, ci vado a giocare,
ma la noia ben presto si trasforma in zanzare buie
Mangio bestie morte fatte a fette
Ho l’immagine di un moribondo sopra il mio letto
Ho studiato e amato le opere di uomini morti
Le cose morte mi hanno sempre nutrito corpo e anima
E il primo è dannatamente vivo e instancabile
E la seconda addirittura è fuggita via
Ho vomitato l’anima
ieri
e chi se ne frega
Al primo freddo rientrerà da sola
come un gatto scappato sui tetti
che rientra starnutente e arruffato
Forse si starà proprio azzuffando
con i gatti che in varie epoche mi sono stati accanto
e che per tutta la loro vita
amarono di me soprattutto le mani
quando si trasformavano in ciotole piene
o in spazzole ossute calde
Ho vomitato l’anima
ieri
ma tu mi sei rimasta dentro
Eravate nella stessa cella
e lei se n’è andata senza dirti nulla
o sei tu che sei voluta restare:
ti manca poco per uscire regolarmente
perché scappare, dunque?
No, tu mi sei rimasta dentro
dentro come sempre
E’ uscito di tutto dal mio corpo
Umori, bestemmie, sogni, raffreddori, denti da latte
Adesso anche l’anima
E’uscito di tutto, dicevo,
tranne te
e tranne me
Ho vomitato l’anima
ieri
sembrava un mazzo di rose sul pavimento
come uno di quelli che mi facevano arrossire al ristorante
perché non sapevo cosa dovevo fare
e ti avrebbe tenute le mani occupate tornando a casa
Quelle mani, ahimè soltanto due,
che avrei voluto sanguisughe da salasso su di me,
dieci, venti soffici ventose tiepide sulla schiena
a togliere umidità, vuoto ed amarezza.
Ho vomitato l’anima,
ieri.