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Genova, saudade e spleen
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Palingenesi

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Mi sembra impossibile

essermi lasciato la battaglia dietro di me

clangori d’armi

e quell’odore dentato

di carne e ferro

le urla che uscivano dagli occhi

le urla che rimanevano inscatolate negli elmi svitati dal busto

le urla che diventavano sangue

e come sangue si rapprendevano e si raffreddavano

E quante braccia che si levavano

da corpi immobilizzati e deliranti

come radici alla ricerca dell’acqua

Un tappeto di erba e rumore

è quello che gli zoccoli sotto di me

calpestano felpati

Non so da quanto sia

aggrappato alla criniera

a voltarmi indietro

sputando terrore a ogni secondo

Sono appena uscito dall’inferno

la testa ovattata

e quei rumori metallici

a scavarmi dentro

come cucchiaio

che s’ostina a pescare dal piatto

l’ultimo goccio di minestra

Deglutisco il mondo ad ogni momento

e poco dopo mi è di nuovo in bocca

mentre zolle si sollevano

e danzano attorno al galoppo

Nessuno ormai mi sta seguendo

sulla via che mi conduce a casa

tra poco sarò libero di riemergere dalla morte

In un’ansa del fiume mi fermo a bere

e pulire le ferite

Rivolgo il mio viso al Cielo

e i miei occhi si schiantano sulla nuca

Nelle orbite vuote

nidificheranno avvoltoi e vendette,

la mia lingua diventerà un’agave spinosa

Perfino il mio cavallo ha uno sguardo gelido

da gatto scalciato per la strada

non vede l’ora di fare la strada al contrario

e ritornare in quel campo di morte

a riprendersi l’orgoglio

Abbiamo diviso l’attacco e la fuga

il furore e la paura

soltanto per tornare a sentire le tue mani

Altrimenti saremmo rimasti là,

perdendo un brandello per volta

per aiutare più zolle possibili

a diventare fertili

La sera cade

e intravvedo la nostra casa

solo rovine, distruzione, il tuo corpo smembrato

le tue mani che non sanno più scaldarmi

le tue mani finite come un gioco qualsiasi

gli avvoltoi stanno riposando nelle mie orbite vuote.

Domani li porterò a nutrirsi.


Генуя Хандрящая

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