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Genova, saudade e spleen
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Epicedio

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Non sento orti

dentro me

solo steppa e tundra

Nessun fruscio di crescita o di vita

Nessuna trasformazione

Nessun organo di luce

Soltanto scie grigie

come vortici di numeri di roulette

e lampi magri

come radici di pianta carnivora

che divora angeli e aerei

al di sopra delle nubi


Non sento porti

dentro me

solo navi bombardate

Nessun formicolio di pulsante gioia attiva

Nessun trasporto o sollevamento

Nessun roteare di fari

Soltanto voragini e banchine sbrecciate

solo ganci di gru abbandonate

che dondolano al vento come donne impiccate


Non sento morti

dentro me

solo scheletri e silenzi

Nessun ricordo spezzato

come un ombrello dal temporale

Nessuna ernia da sollevamento lapidi

Nessun cacciavite a inchiavardare bare

Soltanto un asindeto di visioni amare

solo semafori lampeggianti grigio

in incroci deserti orfani di clacson


Non sento forti

dentro me

solo tende strappate

Nessuna donna che si fa sull’uscio

a salutare l’uomo che va via

Nessuna casa dalla schiena di pietra

Nessuna chiesa con le croci intere

Soltanto ombre impresse sui muri

e ponti che percorre solo il vento

e solo il vento un giorno potrà ritornare.


Генуя Хандрящая

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