Читать книгу FuTurismo - Michil Costa - Страница 15

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Alla base di tutto c’è sempre la conoscenza, l’istruzione, la formazione e l’educazione; uno dei mali del mondo è l’ignoranza. Anche l’ospitalità e il turismo, oggi più che mai, hanno bisogno di conoscenza. Turismo significa valorizzare la bellezza e la cultura del territorio. Non c’è vita senza cultura, senza arte, compresa l’arte involontaria, quella che Gilles Clément teorizza sostenendo che “per chi sa osservare, tutto è arte”. Non è che arte e cultura vivano in una bolla elitaria, di fatto sono dappertutto, nelle periferie più degradate come nelle valli più remote. Troppo spesso siamo noi che ce ne stiamo alla larga. Arte e cultura sono una potente forma di resistenza contro il brutto che attrae.

Il valore di un cameriere non si misura solo dalla sua efficienza: non deve ignorare le materie umanistiche né la psicologia. Al ricevimento abbiamo bisogno di collaboratori che sappiano che non c’è una seconda possibilità per lasciare una prima – buona – impressione. Salutare con gentilezza anche il viandante che vuole solo andare in bagno, questa è ospitalità. Non importa quel che facciamo, ma come lo facciamo. Le stanze possono essere perfette, ma richiedono cura e attenzione in ogni dettaglio, che non significa solo spolverare bene il lampadario, ma mettere i petali di rosa nel water per esempio. In cucina non basta la ferrea disciplina, servono empatia ed equilibrio. Iniziamo con l’eliminare il turpiloquio, il linguaggio aggressivo, i troppi anglicismi e i ragionamenti incentrati solo sul marketing. E parliamo della bellezza che è educazione e si declina in ogni aspetto della quotidianità. La cura è un nume tutelare, dalla musica scelta con cura negli ambienti comuni, al caminetto vero sempre acceso, a un tè servito rispettando un semplice rituale, eliminando le bustine “fai da te”. Il sorriso è un obbligo e va donato a ogni ospite, perché ogni ospite è una conquista. Servizio e cortesia sono capisaldi irrinunciabili. Dobbiamo essere consapevoli che essere diversi dagli altri non è un valore aggiunto acquisito. È una questione di educazione (di autoeducazione) alla consapevolezza. Eppure, spesso la rifuggiamo, perché è impegnativa, costa energia, soldi, ma soprattutto cura. Il turismo non è solo un importante settore dell’economia, si è ormai elevato al rango di spazio sociale che condiziona e influenza costantemente chi vi è a contatto. L’attività turistica costruisce un’identità, eleva lo status di tutti coloro che ne sono coinvolti, è una risorsa identitaria non meno importante della Wertschöpfung, termine tedesco composto da “Wert”, valore, e “Schöpfung”, creazione; è quindi la creazione di valore identitario e sociale, la valorizzazione di noi stessi che ne facciamo parte. Alla fortuna del settore turistico è legata anche la considerazione che lo straniero ha della nostra cultura, della nostra storia, della nostra comunità. Chi ci fa visita non paga solo il conto dell’albergo o del ristorante, ci gratifica anche con la Anerkennung, cioè la riconoscenza: “Che bello, vivete in un paradiso”. Questa è la vera soddisfazione per un operatore turistico, nutrimento per la sua consapevolezza identitaria. È questo che dà un senso alla nostra professione, alla nostra vita. Ecco perché il marketing turistico non serve solo ed esclusivamente a reclamizzare una destinazione, bensì con il tempo contribuisce a creare l’immagine stessa dell’identità di chi vive in quei luoghi. Le immagini che condividiamo con il resto del mondo formano anche noi stessi. L’uso di immagini stereotipate, che dipingono il nostro territorio come spazio incontaminato quindi, non produce altro che falsi miti, forse ottimi cliché per vendere, ma non per trasmettere quello che siamo o vorremmo essere: accoglienti e ospitali. Scrive David Levi Strauss: “Come la storia insegna, le credenze non scompaiono, piuttosto vengono proiettate su oggetti differenti: non crediamo più negli dèi o negli eroi, ma nelle celebrità; non crediamo più alla magia, ma alla tecnologia: non crediamo più alla realtà, ma alle immagini”.

E qui entra in ballo il concetto di territorio. L’ospitalità è strettamente connessa all’ambiente circostante: se gli ospiti ci vengono a trovare è perché sentono il bisogno di montagna, o di mare, di collina o di città d’arte e via dicendo. Afferma Lucius Burckhardt: “Oggi nelle nostre città lo sviluppo è così intenso e cruciale che le autorità urbanistiche e la popolazione si trovano continuamente a prendere decisioni di ampia portata. Se alcune delle nostre grandi città fanno finta che non ci siano decisioni da prendere, è proprio così facendo che ne prendono una: decidono cioè di lasciare la crescita in balia delle forze economiche; e la responsabilità per aver deciso di non fare nulla ricadrà comunque su di loro, anche se forse non vivranno abbastanza per vederne le conseguenze. Ma perlopiù queste città non si limitano a non fare nulla: al contrario, compiono una grande quantità di scelte; le quali, non derivando da un progetto complessivo, singolarmente o nel loro insieme, provocano effetti collaterali che trasformano l’intenzione originaria nel suo opposto”. Un brutto territorio, una brutta città, non sono per niente ospitali e tantomeno accoglienti, anche se offrono la possibilità all’ospite di sbizzarrirsi come e quanto vuole con i suoi giocattoli di consumo. In agosto le nostre amate Dolomiti diventano brutte a causa delle migliaia di motociclette e di auto che le violentano senza pietà. A lungo andare questo gioco orripilante, che si basa sullo sfruttamento indecente del nostro territorio, avrà conseguenze nefaste, eppure nessuno sembra mai voler prendere una decisione. Senza non tanto tutela, termine ormai consunto, ma piuttosto difesa, protezione, salvaguardia del territorio non ci può essere ospitalità degna di tale nome.


Il fascino senza tempo del Bar Verde del Posta Marcucci a Bagno Vignoni

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