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IV. La buona figliuola.

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Nello scartabellare certi manoscritti di un mio parente, parroco di campagna, defunto non è gran tempo, m'imbattei nel seguente ricordo: «In nome di Dio amen. Essendomi già posto in animo di registrare le cose più notabili ch'io m'imbattessi a vedere o udire nella mia parrocchia, m'è parso che le seguenti fossero degne d'essere date alla memoria dei miei successori, e intendo che ciò sia fatto solamente a testimonio delle virtù che più spesso vedonsi esercitate dai poveri, ed a conforto dei buoni.

« — Nell'anno del Signore 1823, poco tempo dopo il principio del mio ministero in questo popolo, fui chiamato ad assistere uno scalpellino, colpito d'apoplessia ed in pericolo di morire. Trovai la famiglia, com'è naturale, nella massima desolazione: inoltre la moglie dell'infermo era malaticcia; due delle sue quattro figliuole pativano d'asma, ed una era allettata e già spedita per tisica; ed il figliuolo maschio, gracile di membra e ottuso d'intelletto, non poteva dare alcuno ajuto agli altri, nè sovvenire alla mancanza del padre. Un pianto disperato era intorno al letto dell'infermo, e per tutta la povera casa era pianto.

Io sebbene avvezzo a vedere più da vicino le umane tribolazioni, tuttavia non aveva trovato mai tanto giusto dolore da compiangere, tante avversità piombate sopra una sola famiglia, tanto pericolo di rovina con sì poca speranza di scampo.

Non ostante la Provvidenza, che talora si manifesta con ajuti più straordinari laddove il bisogno è maggiore, aveva dato alla Luisa, la sola che fosse cresciuta sana e robusta tra le quattro sorelle, un'anima capace di resistere alle percosse della sventura, e tante soavità di modi da confortare gli altri nelle afflizioni. Io la vidi, benchè fosse ancor giovinetta, infondere coraggio nella sbigottita famiglia; assistere tutti con senno, con istancabile attività, con amore; e trovar solleciti espedienti e ripari contro la loro indigenza.

Anche prima di questa occasione, per quello che io estimassi, la mi parve sempre una buona figliuola; religiosa e non pinzochera; onesta sì che ogni sua parola, ogni suo atto spiravano candore; casalinga, lavoratrice indefessa ed abile nel suo mestiere (che è quello di far la treccia)... Ma allora, ho! allora dovei proprio persuadermi che poche sapessero come lei osservare i filiali doveri, senza lagnarsi giammai delle fatiche e delle privazioni continue, e senza darsi aria di fare tutto quel bene ch'ella faceva. E non poco mi maravigliai nel trovare improvvisamente in una casa di poveri artigiani, quasi direi l'abbondanza di quelle cose che abbisognano ad un malato grave pel suo custodimento e per la cura e per la convalescenza. Nonostante, vedendo che la malattia andava in lungo, e dubitando che alla fine dovesse mancare la possibilità di così accurata assistenza, chiamai un giorno la Luisa in disparte e le offersi quell'ajuto che per me si poteva. «Le ne rendo merito» mi rispose con tenera gratitudine, «ma per ora Dio provvede.» Non molto dopo il malato era fuori d'ogni pericolo; in due mesi ne uscì quasi guarito ed il medico stesso asserì che al buon esito della cura aveva giovato moltissimo la grande assistenza della figliuola. E questo era naturale. Ma come avevano fatto a reggere a tante spese? Poi lo vedremo.

Intanto quella guarigione fu un ristoro per la famiglia; ma non perciò finirono le fatiche della Luisa. V'era quella povera fanciullina della sorella minore, che peggiorava, che andava in consunzione. Non so se per incaute parole dettele da qualcuno, o per naturale presentimento, ella pensava già che il suo male fosse senza rimedio; e fermatasi in questa idea, se ne stava per ore ed ore tacita e mesta, forse investigando perchè avesse dovuto nascere per morire così sul fiore degli anni, e senza aver goduto neanche uno dei pochi piaceri di questa vita. Ma la Luisa con ogni maniera d'attenzioni e di conforti, si studiava di toglierla alla dolorosa meditazione; ed in fatti la poverina al solo vedere la sorella, anzi al solo udirne la voce, si riconsolava tutta; un sorriso le sfiorava le labbra; e levando la faccia, apriva due occhi neri neri ad affissare con tenerezza il suo sostegno, il suo rifugio.

Intanto avevano bisogno della Luisa anche le due sorelle asmatiche, e la madre sempre infermiccia. Nientedimeno ella sapeva riparare a tutti, e trovava inclusive i suoi ritagli di tempo, o di giorno o di notte, per lavorare. Ma quel poco di guadagno non poteva essere sufficiente a tanti bisogni. Mi provai di nuovo ad offerirle aiuti, e mi rispose come la prima volta.

Il padre, dopo la convalescenza, tornò al mestiere; e solamente allora seppi da lui che la Luisa, per la cura e pel mantenimento della famiglia, aveva dato fondo ad un capitaluccio raccapezzato per l'innanzi a forza di lavoro, e destinato a comperarsi il vezzo di perle. Anche questo m'è parso dover notare a conforto dei buoni....

La Luisa non è bella; ma nella sua prima gioventù, con cera di sanità e con vigorosa floridezza, aveva una di quelle fisonomie che piacciono, e che ispirano onesto affetto. Laonde quantunque non uscisse mai di casa, e le sue virtù fossero occulte per modestia, nonostante, e perchè tutto il paese incominciava ad amarla ed a stimarla, e perchè il padre se ne teneva co' suoi amici, accadde allora che a lei povera e di bassi natali, parecchi giovani benestanti offerissero la mano di sposo. Ma lei ringraziando con buona maniera, diceva: «Non mi dà l'animo di lasciare il babbo e la mamma;... le mie sorelle non hanno salute.... Io sola, in casa mia sono sana... posso far poco, ma pure, a un bisogno, voglio esser libera d'assisterli.» — «Ma trovandomi a godere di una certa agiatezza» le dicevano «potrete meglio soccorrere la famiglia.» — «Oh!» rispondeva «io spero che la Provvidenza non mi abbandonerà mai, come non mi ha abbandonato finora.»

Dopo alcun tempo la sorella minore si ridusse agli estremi. Sebbene la sua agonia fosse breve, pure essendo rimasta sempre in cognizione pativa molto; ma l'amorosa pietà della Luisa la dispose a morire rassegnata e contenta; e spirandole nelle braccia, pareva un angelo venuto per poco sulla terra a provare le nostre tribolazioni ed a sperimentare la bontà della Luisa.

La prima separazione che la morte cagiona in una famiglia è sempre più dolorosa. Gli occhi non ancora avvezzi a vedere spenta la vita sul caro volto s'empiono di lacrime più dirotte. Se ne risentì molto la salute vacillante della madre e delle due sorelle malate, ma la Luisa, sebbene non ne provasse minore affanno degli altri, pur seppe mitigare la loro afflizione, e far sì che la memoria della Maria che aveva finito di patire più presto, fosse argomento di religiosa consolazione.

Dopo ciò la Luisa fu chiesta per fattoressa in una buona tenuta della nostra Comunità. Sulle prime ricusò, stando ferma nel proposito di non abbandonare la famiglia. Ma in quel tempo le tribolazioni parevano diminuite, e il luogo dove avrebbe dovuto andare era vicino da poter presto accorrere a' suoi.... Indottavi insomma, più che altro, per obbedienza, entrò nella fattoria; ma per modo di prova, e con la condizione di poterne uscire a suo piacimento.

Non passarono infatti cinque o sei mesi, che avuto sentore d'un peggioramento della sorella Anna, e di qualche accenno di ricaduta del padre, chiese ed ottenne licenza di tornare in famiglia; e tosto, con nuovo vigore, alle interrotte faccende, ad assistere, a fare animo a tutti, senza più discorrere di lasciarli.... L'ho vista io più contenta in mezzo a quei poverini, per l'amore dei quali non si concedeva riposo, e più soddisfatta della frugalità casalinga, di quello che fosse invaghita dell'agiatezza e dell'abbondanza d'una fattoria. Anzi si rammaricava d'essersi ritrovata a vivere lautamente quando i suoi quasi stentavano il necessario. Ma alfine il suo lavoro indefesso, il guadagno del padre, e quel po' di pane che dava il fratello tornarono a farli campucchiare; e qualche piccolo ajuto usciva anche dalle mani della madre e delle sorelle; benché l'Anna cominciasse a tribolare di più, a motivo della sua complessione. Era di bassa statura, gobba, e di petto soverchiamente ristretto; il respirare, il parlare, quando più quando meno, le riuscivano penosi; ed il muoversi con tutta la persona spesso le costava molto spasimo.

Quand'ecco sopraggiungere al fratello la volontà d'ammogliarsi, nè valere consigli o esortazioni a dissuadernelo. Incapace di misurare le proprie forze, credendosi provveduto assai perchè suo padre possedeva una cava di pietre, s'imbattè in una sconsigliata fanciulla, e il parentado fu fatto.

Benché l'ajuto di questo fratello fosse stato sempre debole, nondimeno la sua mancanza volle dire qualche cosa per loro che dovevano fare a miccino di tutto. Eppure la Luisa seppe rimediarvi, aumentando il risparmio dove poteva, senza far mancare il necessario a nessuno; e sottoponendo solamente se stessa a privazioni e fatiche che nemmeno un uomo avrebbe potuto sostenere.

Intanto un altro colpo d'apoplessia minacciò daccapo i giorni del padre. Mancava allora il denaro tenuto in serbo dall'angiolo tutelare della famiglia, il fratello stentava a tirarsi innanzi con la moglie e due infelici creaturine... Oh! ma non era venuto meno l'animo della Luisa, che secondo il solito assistè il padre, provvide la famiglia sua, ajutò quella del fratello, e infondeva coraggio e rassegnazione in ciascuno. È vero che fu necessario vendere la cava di pietre per trarne denaro subito quanto occorresse al bisogno; ma anche questa volta ebbero la consolazione di veder guarire il capo di casa.

La povera Anna era quella che incominciava a dar da pensare di più; mentre che la Caterina, che è la maggiore, si sosteneva assai debolmente. Qui mi converrebbe narrare come la Luisa per più anni continuasse ad assistere sempre da sè sola e senza stancarsi mai, le sorelle, la madre, il padre di quando in quando soggetto a ricadute più o meno leggiere; come abbia sempre saputo con ajuti e consigli sottrarre il fratello dalle angustie della miseria; e con quanta industria trovasse anche il tempo di lavorare, conservando la sua presenza di spirito e di serenità di mente e di volto: ma questo che è tuttavia suo abito giornaliero, vorrebbe troppo lungo e troppo minuto discorso. Laonde, senza paura d'offendere la sua modestia, parlando cose già note al paese, dirò quello che più di straordinario m'è occorso vederle fare e patire, e che mi sembra più meritorio di quanto ho registrato finora.

Solamente al ricordarmi del travagliato corpo dell'Anna e delle sue tribolazioni di tanti anni il dolore mi vince sì che ne piango. Ormai nè arte nè scienza valevano; e dopo molti e inutili tentativi, la poverina rimase affatto raccomandata alla pietà della sorella. Ed essa, a non staccarsi più dal suo letticciuolo, a pensare, e provare espedienti per sollevarle il corpo infermo e lo spirito abbattuto. «Ecco qui,» diceva talvolta la malata rammaricandosi con un gemito che straziava il cuore, «pur troppo avrò peccati da scontare; ma se Iddio non ha compassione di me, alla fine perderò la pazienza...... morirò disperata.» E mescolava con isforzo doloroso i singulti all'affanno. «No, amor mio,» le rispondeva soavemente la Luisa, «non ti posso dire che tu abbia ragione a disperarti così, perchè tu sai che tutti dobbiamo soffrire... — Oh! non parlar più di disperazione; seguita ad aver pazienza... Quanto più soffrirai quaggiù, ma con santa rassegnazione, tanto più sarai felice nel cielo.» E l'affettuosa dolcezza delle parole e dei modi la racchetavano. Ma essa arrivò a far di più: dopo aver provato e riprovato ingegnosi espedienti per mitigare gli affannosi spasimi dell'asma, le riuscì d'ajutarla a rifiatare con meno difficoltà, comprimendola con un moto blando e uniforme sotto i polmoni; ed allora, specialmente di notte, continuava quelle pressioni anche per più ore di seguito, fintantoché l'inferma non giungesse ad ottenere un po' di sonno. Nonostante, il male andava per indole sua peggiorando ogni giorno, e la ridusse al punto di non si poter nutricare con altro che con pochi sorsi di liquido, e di non poter chiudere occhio nemmeno con l'ajuto delle pressioni. Il digiuno, l'inedia, lo sfinimento e poi la certezza di una morte sempre vicina ma sempre invano desiderata, la prostravano tanto che talvolta, uscita fuori di se medesima, sarebbe divenuta insopportabile a qualunque altra infermiera meno amorosa della Luisa. E in lei pareva anzi che il vigore crescesse, deliberata a non darsi per vinta, a non cedere ad altri quel penoso e difficile ufficio.

Già da lungo tempo si studiava la Luisa di procacciare alla paziente su quel suo letto di spine una positura più adattata alla mala conformazione delle membra; ma non bastando più nè guanciali nè altro, era impossibile tenerla cinque minuti a giacere nello stesso modo, ed ogni tramutare di capezzale o di materassa era cagione di nuovi tormenti. Una notte che l'Anna tribolava più del solito, venne fatto alla Luisa di sdraiarsi un poco sulla sponda del suo letto, piuttosto per meglio spiarne il respiro, che per cercarvi riposo. Lo scheletro della sorella s'appuntellava al suo corpo: «Fatti più in qua» sussurrò l'inferma: «appoggiandomi a te mi sento riavere:» e la Luisa subito le si accosta; tanto che l'una piegandosi un altro poco, e l'altra secondando tutti i suoi moti, alla fine accadde che l'Anna si ritrovò a giacere attraverso il corpo della Luisa; e siccome vi si sentì meglio collocata che in qualunque altro modo, così potè prendere un po' di sonno dopo tante notti vegliate nel dolore. «Sia ringraziato Dio!» diceva tra sè la Luisa, soffrendo, ma tutta contenta che almeno il suo corpo fosse capace di porgere alla sorella quel refrigerio che ormai non pareva più ottenibile per altra via. Intanto le acute vertebre della spina contorta le maculavano il petto; ma lei, intrepida a sopportare l'oppressura, il disagio, le trafitte. Se l'Anna svegliandosi aveva bisogno di mutar positura, la Luisa ne provava un'altra, e poi, qualunque si fosse lo scorcio, in quello durava. Potendo inoltre rimaner libera con le braccia non ismetteva di lavorare!... e così fece per quaranta notti di seguito!.. Quasi non credetti a me stesso la prima volta che vidi... Ma pur lo vidi e lo noto a conforto dei buoni.

La quarantesima di quelle notti angosciose per tutti, fu l'ultima per l'Anna. «Dio te ne renda merito» disse ella quando fu in agonia. «Addio, Luisa; tu hai patito tanto per me!... Dio te ne renda merito...» E poi guardando il Cielo spirò. La Luisa non potè staccarsi da quel cadavere, nè cessare di bagnarlo con le sue lacrime, se non quando le convenne farsi consolatrice degli altri.

Due sere dopo io rasentava il muro del Camposanto. Al lume della luna vidi una donna a sedere a piè del cancello. M'accostai, e conobbi che era la Luisa. «Che fai tu in questo luogo, a quest'ora?» le dissi. Ed ella, senza poter parlare, mi accennò la fossa dove la sorella era stata sepolta. Aveva un viso pallido pallido: le presi la mano; era gelata: la confortai a darsi pace, a pensare che la morte era stata vita per quella sventurata; ed ella: «Sì, lo so» mi rispose, «ma dopo essere stata insieme per tanto tempo, dopo averla vista patire in quel modo, non mi riesce di sopportare il dolore di questa separazione. Ho bisogno di sfogo, e son venuta qui.» — «Ma ora basta» soggiunsi alzandola di terra; «consolati, chè la tua sorella sarà già in paradiso a ricevere il guiderdone dei suoi patimenti; su via, ritorna a casa.» Allora mi accorsi che ella tremava, che il polso era febbrile; e dubitai della sua salute, e bisognò che la sostenessi per tutta la strada. «No» mi diceva con ansietà, «per amor del Cielo stia zitto; non è vero, io non ho male; non dica nulla in casa mia...» Il tremito cresceva, ed i passi erano sempre più vacillanti; tuttavia continuò a raccomandarmi il silenzio; poi le sue parole cominciarono ad essere mal connesse; e finalmente conobbi che delirava. La forza dell'animo aveva dovuto cedere alla fragilità del corpo; i lunghi strapazzi l'avevano finalmente infermata. Ricondottala a fatica in seno della famiglia, che già era sgomenta per l'insolita assenza; e cercando di mitigare il disperato dolore dei genitori quando la videro in quello stato, mandai tosto pel medico. Il pericolo infatti era grave; si trattava di un malacuto. Espedienti pronti, efficaci, furono subito messi in opera. Quei poveretti, malazzati anch'essi, in specie la Caterina, e impauriti di rimanere senza l'aiuto della Luisa, essa sola capace di provvedere a tutto, le stavano attorno pieni di smarrimento, come naufraghi che si veggono involare dalle onde furiose la sola tavola su cui sperassero scampo. Ma la Luisa, appena passato il delirio e riavuta un poco dai primi assalti del male, sorridendo diceva: «Non ho bisogno d'altro che di riposo: trappoco non è più nulla; mi sentirò bene, vedrete. Mi dispiace che non stiate bene voi, e che abbiate dovuto rimescolarvi per me. Ora il peggio è passato.» Poi si chiamava accanto la Caterina; le rammentava tutte le cure da usare per sè e per sua madre; ed ogni suo pensiero, benchè inchiodata nel letto, era per loro. Appena sentì di star meglio avrebbe voluto levarsi, e mettersi a trafficare per casa. Dovemmo insieme col medico raccomandarci molto perchè indugiasse e riflettesse che una ricaduta poteva riuscire più che mai pericolosa per lei e per la famiglia.

Erano cinque o sei giorni ch'io non la vedeva, quando una mattina, chiamato per assistere un povero orfanello moribondo, ci trovo la Luisa, venuta in ajuto della vecchia zia del fanciullo. «Luisa mia» le dissi: «mi consolo di vederti levata; ma non vorrei che fosse troppo rischio mettersi così subito a faticare.» — «Ma io sto bene» rispose con tutto il suo spirito. «Oh! la non creda che fosse un male serio: io aveva bisogno di riposo, e tutti lesti. Che vuol ella? la povera zia qui la fa quel che può; ma è sola, e tanto vecchia....» — «Bene via; ma ora basta. Ritorna a casa, e riguardati. Ora ci sto io.» — «Sì signore;» e obbedì, lasciando un bacio a quella creatura per la quale ormai ogni umana assistenza era inutile. Nell'accomiatarla la condussi in disparte sull'uscio, e le ripetei l'offerta di qualche soccorso, che dopo tante disgrazie io credeva più opportuno di prima; ed ella, secondo il solito: «La ringrazio di tutto cuore» rispose; «per ora la Provvidenza non manca; quando posso lavorare non ho paura. Queste» accennando la vecchierella «queste hanno bisogno di lei. Pensi a loro, e Dio le ne renda merito...»

La famiglia della Luisa non istette molto senza nuove calamità. Le intravenne anzi la maggiore di tutte; imperocchè il padre percosso fieramente da un altro colpo apoplettico, e già vecchio, non potè sostenerne la violenza; nè per quanto la Luisa si adoperasse, le fu possibile di salvarlo. In poco tempo dovè soccombere, e la desolazione di quelle sventurate fu estrema. Questa volta poi vidi la Luisa non malata (almeno lo seppe nascondere), ma quasi vinta dall'afflizione. È vero che lo strapazzo era stato più breve, perchè il padre morì quasi all'improvviso; ma gli affetti in un'anima come la sua hanno tanta forza, che ad ogni ora io temeva di vederla soggiacere alla nuova disgrazia.

Tuttavia in presenza della madre e della sorella, quanto lei desolate, sapeva reprimersi e confortarle anzi con tanta efficacia, che le poverette un poco si riebbero. «È vero, ci resti tu, ed è molto,» diceva la madre; «ma tu, povera Luisa, tu, che potresti farti uno stato e campar meglio, ti dovrai tu sempre arrapinare per noi?» — «No, che non potrei star meglio, se fossi fuori di casa; non lo dite davvero! Dio mi dà la salute per assistervi e per lavorare. Non desidero altro. Basta che non vi sgomentiate voialtre. Rassegnamoci ai voleri del Cielo, e andiamo avanti.»

E quello che prometteva lo ha sempre mantenuto. Sono già cinque anni che suo padre è morto; la vedova è stata sempre malaticcia; ed ora la vecchiaia la fa peggiorare un giorno più dell'altro: la Caterina è affatto inferma, e sono ventotto anni che la sorella la tien viva a forza d'assistenza. La sua complessione pare meno debole di quella dell'Anna: ma la difficoltà del respiro va sempre crescendo, a segno che spesso ha bisogno dell'alito della Luisa per rianimarlo, quasi essa gl'infonda parte della sua vita!... Quel poco di bene che avevano è consumato da lungo tempo; le fatiche della buona figliuola ed il suo coraggio sono il solo patrimonio delle meschine. E il fratello che stenta tanto a campare la sua famiglia? se non fosse la Luisa e' sarebbe ridotto ad accattare: non avrebbe un tetto da ricoverarsi, ma e' l'ha perchè, al bisogno, la sorella, sebbene di nascosto a lui, va dal padrone di casa: «Ecco,» gli dice, «il mio fratello, poverino, forse non potrà pagare la pigione questa volta. L'abbia pazienza, non lo mandi via; intanto prenda questi po' di soldi in acconto.... non gli dica nulla....» E quei danari sono frutto del suo sudore, raccapezzati a forza di lunghe veglie, di lavoro accanto al letto della sorella o della madre, o riscossi per assistenze che va a fare in casa d'altri, quando è sicura che la madre o la sorella non abbiano bisogno di lei. Ma per queste assistenze, per le quali è abilissima (e chi può esserlo più di lei?) non accetta già ricompensa da tutti. Ai poveri, anche non chiesta, quando può si offre da se medesima e poi non vuol nulla. «Ci vorrebbe la Luisa,» dicono essi, «ma come si fa? no' siamo poveri, e lei non vorrà esser pagata; oh non conviene poi abusare della sua carità...» Non sarà finito questo discorso, che la Luisa è lì. «Come va ella?» dice tutta serena: «animo! non vi scoraggite. Confidiamoci in Dio e poi sia fatta la sua volontà. Se volete che io vi dia un po' d'aiuto, eccomi qui.» Figuratevi, a quella povera gente non par vero, se non ch'altro, di vederla per casa. Ne pigliano subito buon augurio; il malato se ne consola tanto, che gli pare già di star meglio. Il medico stesso l'ha caro; perchè la Luisa non è una di quelle donnicciuole che trovano da dire sulle ordinazioni di un medico savio, che si vantano di conoscere rimedi segreti, che prestano più fede alle imposture dei ciarlatani che ai consigli delle persone istruite... Ella raccomanda fiducia e obbedienza al medico, una volta che sia inevitabile di ricorrere a lui. Sa che spesso il buon esito di una cura dipende in gran parte dall'assistenza continua, dalla tranquillità dell'animo del malato, dalla pulitezza scrupolosa intorno a lui, dalla scelta e dalla parsimonia dei cibi. Questo principalmente ho voluto notare, per avvertimento di coloro tra' miei popolani, che a chiusi occhi danno retta ai rimedi delle donnicciuole e dei ciarlatani, che se dopo l'uso di essi rimedj vedono sparire i segni d'una malattia rientrata in dentro, credono al miracolo, ed hanno l'ardire di supporre la mano di Dio nelle opere dell'impostura o della superstizione.

Sento che mi rimangono pochi giorni di vita, aggiunge il buon parroco in una postilla al suo manoscritto (e lo mostra il carattere che par fatto con mano paralitica): ma io muoio contento, perchè lascio tra' miei popolani questo esempio continuo di virtù, il quale vedo che non è senza frutto. Sì, la Luisa è viva e verde: prosegue ad esercitare la sua carità veramente fiorita, e m'imbatto in molti che stimandola e amandola si sforzano d'imitarla; in alcuni, che sebbene traviati, s'inteneriscono ed hanno speranza di ravvedersi all'aspetto del bene che ella fa ai loro parenti e a loro stessi, quando sono travagliati dalle conseguenze di qualche stravizio. Perocchè la sua è quella virtù vera, umile e tollerante, che non isdegna nessuno, non presume di sè, e pare, come dovrebbe essere, facile ad imitarsi. L'ho rivista oggi accanto al letto d'una povera malata. Lavorava, e intanto assisteva l'inferma, e insegnava far la treccia ad una sua nipotina. Le ho domandato come se la passava. Mi ha risposto secondo il solito, sorridendo: «la Provvidenza non manca mai.» — «Brava figliuola!» le dicevo. «Seguita ad obbedire alla tua santa vocazione. Vedrai un giorno che ricompensa ti sarà serbata nel cielo!» — «Ricompensa?» mi risponde maravigliata. «Io non fo altro che il mio dovere. Sarei ricompensata abbastanza se vedessi di riuscirvi... Po' poi se ho la sanità è dovere ch'io l'adoperi, è naturale che aiuti i più deboli di me. E se lo fo per gli altri, tanto più debbo farlo per chi m'ha dato la vita.» — «Hai ragione, ma questi sentimenti tutti i figliuoli non gli hanno!...»

Qui trovo nel manoscritto molti versi cancellati scrupolosamente; e mi pare che su questa pagina sieno cadute alcune lacrime... Oh! forse il buon parroco le spargeva deplorando gli umani traviamenti!... Ma riconsolato col pensiero della Luisa, e' finisce, al solito, scrivendo: «E tutto questo a conforto dei buoni: Laus Deo

Seguitai ad esaminare le altre carte; e vidi (com'io già me l'era aspettato) ch'ei non aveva potuto lasciar nulla agli eredi, perchè tutto il suo lo dispensava a' poveri. Ma io presi per eredità più preziosa d'ogni altra la conoscenza ch'egli mi ha fatto fare di questa Luisa. Essa avrà ora intorno i quarantasei anni. Non era bella, ma ebbe e conserva piacevole aspetto, come dice il parroco, ed ha il colorito bruno e gli occhi vivaci; tiene i capelli tirati dietro gli orecchi, e mostra una faccia serena con atto d'ingenua sicurezza di sè, con un sorriso che si travede agli angoli della bocca; il naso è affilato e un po' volto alle labbra; parla poco, ma assennata e gioviale, e con una voce che scende al cuore; le vesti sono dimesse, ma linde; ha il passo lesto, ma senza darsi aria d'affaccendata. Se incontra un tapino si addolora, e lo compiange non di sterile compassione, chè le si vede brillare negli occhi la brama di sollevarlo. Di faccia al fasto e alle apparenze nella felicità, non si pèrita, nè mostra maraviglia od invidia; e ritorce lo sguardo con aria di commiserazione dalla superba vanità dell'orgoglio. Ma, in tutto, e sempre, si vede che il bene operare in lei viene da naturalezza, spontaneo come il retto pensare; e d'essere virtuosa, o non sa, o non crede.

Se tutto questo a taluno paresse superfluo, non voglio obbligarlo a sapermene grado; chi poi non n'è appagato abbastanza, e voglia vedere da sè, m'interroghi: dirò volentieri la patria e il cognome della Luisa[11].

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