Читать книгу La pergamena distrutta - Virginia Mulazzi - Страница 5
I.
ОглавлениеEra una notte di gennajo dell'anno 1574.
In uno dei più bei palazzi, che contasse allora Catania, fra i meno danneggiati dal terremoto del 1563, si poteva notare un va e vieni insolito a quell'ora; e dietro le antiche finestre scorgere in molte camere dei lumi.
Perchè si vegliava sì tardi in quel palazzo?
Il vecchio duca dell'Isola, suo proprietario, era stato colpito la notte istessa da grave malore, e trovavasi in fil di vita.
L'infermo, che conservava ancora tutte le sue facoltà mentali, aveva compresa la gravità della sua posizione, e chiesto con istanza di confessarsi, non però al solito religioso, ma ad un benedettino, giunto da poco in Catania per predicarvi, e tenuto in gran conto da tutti.
Tal desiderio era stato tosto soddisfatto; ed il frate trovavasi rinchiuso coll'ammalato nella camera da letto, che aveva già un aspetto mortuario.
In una sala attigua stavano riuniti il figlio e le due figlie del duca.
Il primo, don Francesco dell'Isola, erede del titolo e dei beni del padre morente, era un uomo che non varcava i trentacinque anni, ed al quale nondimeno se ne sarebbero dati di più; tanto la sua fisonomia regolare e distinta aveva un carattere serio e riflessivo.
Soltanto i suoi occhi neri erano di una vivacità estrema; non si poteva quasi afferrare l'espressione di quello sguardo, ma se ne rimaneva soggiogati.
Quando don Francesco taceva, o fissava gli occhi al suolo, l'osservatore più acuto non avrebbe potuto leggere sul suo volto che la più grande impassibilità, l'indifferenza più altiera. L'insieme del di lui aspetto era burbero ed imperioso.
Da due anni era ammogliato. La sua sposa, unica figlia del marchese del Faro, uno dei più ricchi signori della Sicilia, morto quasi subito dopo quelle nozze, trovavasi nella notte, di cui si parla, ad un vicino castello con suo figlio, bambino di un anno.
Le sorelle di don Francesco erano molto più giovani di lui: quantunque entrambe belle, presentavano due tipi diversi.
Donna Maria contava poco più di vent'anni: bionda, dagli occhi nerissimi e lucenti, dai tratti fini ed incantevoli, aveva veramente alcun che di affascinante.
Donna Rosalia, la sorella minore, aveva pure occhi neri: bellissime trecce, parimenti nere, circondavano perfettamente il suo volto bruno, pallido e melanconico. Toccava appena i diciassette anni, e non pertanto sembrava che il dolore avesse già stampata la sua traccia su quella fronte pensosa.
Tutti tacevano.
Aspettavano per entrare dal duca che il confessore ne uscisse: se non si fosse udito un leggiero bisbiglio nella camera dell'ammalato, avrebbero cominciato a temere qualche accidente.
Infatti il tempo di una confessione ordinaria era già spirato da un pezzo.
Perchè mai quella durava sì a lungo?
Don Francesco e le sue sorelle se lo chiedevano forse tacitamente, ma non iscambiavano le loro riflessioni.
Finalmente la porta si aprì, ed il padre benedettino disse con agitazione:
—Non vi è tempo da perdere. Il duca vi attende: io tornerò fra breve.
Ed escì.
I figli del duca entrarono tosto nella camera di lui.
Donna Rosalia sola sembrava comprendere quanto quell'istante avesse di terribile: l'indifferenza si leggeva sul volto degli altri.
Certo, malgrado il turbamento del frate, credevano si trattasse soltanto di un addio supremo, e compivano quest'atto come una formalità.
Quando il vecchio duca vide i suoi figli, tentò rizzarsi, e con voce tronca disse loro:
—Avvicinatevi tutti ed ascoltate.
Essi obbedirono.
Il morente sembrava agitatissimo. La più viva ansietà era dipinta sul suo volto livido e contraffatto. Egli parve riunire tutte le sue forze: indi, prendendo la destra di suo figlio e stringendogliela:
—Devo chiedervi molto, don Francesco, gli disse: un sacrificio: ma spero che voi me lo farete.
Don Francesco lo guardò sorpreso.
—Devo palesarvi, continuò l'ammalato, ciò che ho palesato ora al confessore: un segreto importantissimo, che riguarda la nostra famiglia.
—Un segreto! esclamarono attoniti i figli.
—Sì: ma non ho tempo da perdere: udite, udite! Io aveva un fratello, il sapete, figlio della seconda moglie di mio padre, il cavaliere dell'Isola, che tutti credono morto.
—Come, egli esiste forse? chiese don Francesco accigliato.
—Non lo so: lasciatemi continuare. Mio padre lo prediligeva: lo preferiva di gran lunga a me suo primogenito…. Io lo odiava…. ed avrei voluto….
Qui parve che al morente mancasse il respiro: ed infatti per qualche momento non potè proseguire. Ma quella specie d'affanno si dileguò, grazie a qualche goccia di un cordiale che donna Rosalia gli aveva appressato alle labbra.
—Avrei voluto nuocergli, riprese; farlo cadere in disgrazia di nostro padre; rovinarlo….
Il duca s'interruppe ancora, vedendo la porta aprirsi.
—Il conte di San Giorgio, disse il cameriere di confidenza dell'ammalato, che Vostra Eccellenza mi aveva ordinato di andar a chiamare.
E si ritirò per lasciar passare colui che aveva annunciato.
Un uomo di circa trentasei anni entrò nella stanza. Era il figlio dell'unica sorella del duca.
Vestiva di velluto nero, ed era fregiato della croce ottagona dei cavalieri di Malta. Quell'abito severo dava maggior risalto alla maschia bellezza dei suoi lineamenti.
Alla vista di lui un lampo di soddisfazione apparve sul pallido viso del duca.
Donna Rosalia guardò il conte come se sperasse qualche cosa dalla sua venuta.
Donna Maria e don Francesco fecero un gesto d'impazienza.
—Avvicinatevi, cavaliere, esclamò l'infermo.
—Ma, disse sommessamente don Francesco a suo padre, è conveniente ch'egli oda?…
—Oh sì! rispose l'ammalato ad alta voce: io lo voglio! D'altronde egli è della famiglia.
—Ma che avviene? domandò il cavaliere di Malta, accostandosi al letto.
—Lo vedete, disse il duca con un tristissimo sorriso: sto per morire.
E continuò subito:
—Mentre giungeste, conte, stavo confidando a' miei figli un segreto di famiglia. Rimanete: voi pure dovete udirlo…. Vi ho mandato a prendere espressamente….—Così, aggiunse tra sè, don Francesco non potrà….
Ma sentiva la vita spegnersi nel suo seno, e si affrettò:
—Il cavaliere dell'Isola, mio fratello secondogenito, non è forse morto….
—Come? che dite? interruppe il conte.
—La verità; lo odiavo: ascoltate. Vedevo con dispetto che, malgrado quella mia avversione, nostro padre, che l'adorava, avrebbe fatto in favor suo tutto quanto gli fosse stato possibile. Fu dunque con una gioja grandissima che mi avvidi dell'amore appassionato di mio fratello per una giovane avventuriera di meravigliosa bellezza, da poco giunta a Catania. Favorii segretamente quella sua inclinazione, consigliando ad un tempo la fanciulla ad essere severa seco lui. Mi guardai bene dal parlarne per allora a nostro padre: volevo attendere che le cose fossero giunte ad un punto che quel disgraziato, il quale contava appena venti anni, non potesse più retrocedere…. Ah che feci?… Quali rimorsi mi preparai!… Ma ora sono vani i rimpianti!… Almeno si potesse riparare!…
—Riparare? chiese freddamente don Francesco.
—Sì, rispose il vecchio, guardandolo fiso con ansietà mista a terrore.
Sospirò profondamente; indi proseguì:
—Io tacqui dunque, e mi adoperai in modo che mio fratello sposasse segretamente la sua amante. Non sostenni poi apertamente la parte di delatore; ma nostro padre fu istrutto presto d'ogni cosa per opera mia. Gli si fornirono le prove: non potè dubitare. La sua collera, nell'apprendere quelle nozze così ineguali, fu terribile, maggiore di quanto lo avessi sperato. Ne provai una infernale soddisfazione!… Oh! mio Dio! come potei esser sì tristo?…
Il vecchio duca era oltremodo commosso: sollevava al cielo lo sguardo, come per chiedergli perdono.
Tutti i testimoni di quella scena tacevano.
—Mio fratello, continuò il morente, fu diseredato, scacciato…. Le sue preghiere, le sue lagrime riescirono vane. Nostro padre fu inflessibile: sembrava ch'ei volesse tenere, nel punire il suo secondogenito, la stessa misura tenuta nell'amarlo….
—Dunque, interruppe di nuovo il conte di San Giorgio, fu allora che si disse il cavaliere dell'Isola partito per una guerra lontana, ove si credette poi da tutti che avesse trovato la morte?
—Sì: mio padre volle così, perchè l'onore della nostra famiglia ne rimanesse illeso: comperò coll'oro il silenzio del prete che aveva celebrato il matrimonio, e quello di due vecchi servi, i soli che conoscessero il vero. Così nessuno ebbe mai il menomo sospetto. Tutti considerarono il cavaliere dell'Isola come estinto. Sua madre da qualche anno era già morta, come la vostra, conte: sicchè nessuno tentò placare il duca.
—Oh sventurato! esclamò donna Rosalia: sapete che ne sia avvenuto?
—Ohimè no!…
Un sorriso impercettibile ed alquanto ironico sfiorò le labbra di don
Francesco.
Donna Maria rimase impassibile.
—Ma, come volete mai rimediare allora, signore? domandò il cavaliere di Malta.
—Vi è un mezzo, in cui spero molto.
Tutti si fecero attentissimi.
Il morente impallidiva ad ogni istante più: si comprendeva facilmente come gli abbisognasse un supremo sforzo di volontà per non lasciarsi ricadere supino sul letto.
—Mio fratello, continuò con voce tronca, si era recato nell'Italia settentrionale, ed aveva preso servizio nell'armata della repubblica veneta sotto un falso nome, che non conosco. Facendo fare delle indagini però, si potrebbe trovare il cavaliere dell'Isola; o, se egli non vivesse più, ritrovare i suoi figli; poichè ne ebbe due, un maschio ed una femmina. Ecco quanto nei primi anni seppi a caso di lui. Mi sembra che si dovrebbe far pubblicare che nostro padre prima di morire aveva revocato l'atto col quale diseredava il cavaliere dell'Isola. Mio fratello od i suoi figli si presenterebbero colle carte di famiglia, ch'egli aveva portate seco. Oh, voglia il cielo che ciò avvenga!
S'interruppe ancora: indi con molta pena proseguì:
—Perchè nostro padre aveva difatti revocato quell'atto negli ultimi istanti di sua vita: si era pentito amaramente della durezza usata verso quel figlio, un dì tanto amato…. Mi aveva supplicato distruggere quell'atto, che contiene anche la rinuncia di mio fratello, il quale era stato costretto a firmarla…. Così mai avrebbe potuto presentarsi a reclamare…. Eppure non era soltanto della parte, che gli spettava degli averi paterni, che si era privato quell'infelice: ma anche di metà della dote vistosissima di sua madre…. L'altra metà il duca gliela fece consegnare in oro al momento della partenza…. Prima di morire, mio padre mi ordinò di rendere al cavaliere dell'Isola il suo nome, e dargli la terra di S…. colle vastissime sue dipendenze.—È quanto, disse, gli è ancora dovuto….
La fisonomia di don Francesco si faceva sempre più cupa, ed il morente ne sembrava spaventato….
—No, continuò poi, io non distrussi quell'atto ingiusto, quella carta fatale: ma voglio farlo adesso…. datemela! È sola nel mio scrigno, nel cassetto a destra: eccone la chiave, che portai sempre sopra di me…. Tenete, conte;…. là, nel mio gabinetto….
Il cavaliere di Malta obbedì, e tornò quasi subito con una vecchia pergamena, che porse all'infermo, il quale la prese esclamando:
—È questa!
Don Francesco gliela tolse all'istante: sino ad allora non si era mosso.
—Datemela, figlio mio, supplicò il morente: non disubbiditemi come feci io a mio padre…. Non preparatevi rimorsi simili a quelli che mi lacerano l'anima!
Don Francesco rimase impassibile. Il conte lo guardò indignato: fece per parlare; ma egli glielo impedì.
—Non accetto consigli da voi, cavaliere, gli disse: so come devo condurmi nell'interesse della mia casa.
—Avete ragione, esclamò donna Maria,—che sembrava volersi cattivare il fratello.
Il vecchio duca sospirò.
—Come! voi pure, figlia mia!
Alle parole, indirizzategli un istante prima da don Francesco, una vampa di rossore era salita al viso del conte di San Giorgio; ed involontariamente forse aveva appoggiata la mano sull'elsa della spada.
Suo cugino se ne avvide, e:
—Quando vorrete, gli disse.
—No! esclamò spaventato il vecchio: ve ne supplico entrambi!
Donna Rosalia si volse piangendo al fratello:
—Come? mormorò: anche una sfida! Ma non vedete che nostro padre sta per morire? Non comprendete quanto soffre?… Deh! rimediate al male che fece, e di cui è tanto pentito!… Fate che muoja in pace!…
—Tacete! rispose don Francesco, guardandola in modo, che la fanciulla atterrita non osò più proferire parola.
Il morente girava con angoscia lo sguardo intorno a sè, mentre andava mormorando:
—Ed il confessore, che mi assolse soltanto a condizione che venisse riparata la mia colpa!
Indi con forza:
—Don Francesco, distruggete quella carta: io ve lo impongo!
—Rifletterò, rispos'egli tranquillamente.
—Ah! voi non volete annientarla! Pietà!… Ed io che confidai in voi!…
E dopo un istante:
—Se fosse qui donna Livia!… Ella sola forse….
Quel nome di donna Livia parve fare un grande effetto su tutti gli attori di quella funebre scena.
—Sì: ella sola infatti! mormorò sommessamente il cavaliere di Malta.
Don Francesco sembrò alquanto scosso.
Suo padre continuò a bassa voce:
—Avevo ordinato si andasse a prenderla! Perchè non mi hanno obbedito?
—Sono andati, padre mio; gli susurrò all'orecchio donna Rosalia: anzi….
Ed escì inosservata: aveva udito il rumore di una carrozza: ma gli altri non vi avevano fatto attenzione.
—Oh! disse tra sè il vecchio: se potessi commuoverlo! Se il cielo lo permettesse!
E come incoraggiato alla speranza dell'ajuto celeste, tentò ancora:
—Don Francesco, disse con voce quasi inintelligibile, ve ne prego; distruggete quella pergamena!…. Non fate che Dio vi maledica!
Nell'accento del vecchio vi era quella esaltazione religiosa che al momento di lasciare la terra, s'impadronisce talvolta di coloro che in vita commisero grandi colpe.
E tale esaltazione, possibile sempre, era naturale nel duca in un'epoca in cui la fede non poteva quasi essere intieramente soffocata in alcuno: e si riaccendeva allo spegnersi della vita con tutte le proporzioni della superstizione.
Così allora quell'uomo, il quale aveva negato a suo padre moribondo ciò che a lui, moribondo pure, negava ora il figlio, e che di più era stato prima causa della ingiustizia cui voleva rimediare sì tardi, sentivasi sinceramente compreso d'orrore per la condotta di Don Francesco.
Era pentimento? Era certezza che Dio punirebbe suo figlio, come puniva lui? Forse eravi anche questo nella sua disperazione.
Vedendo don Francesco risoluto a non distruggere la pergamena, egli si chiedeva con terrore se quel segreto passerebbe così di padre in figlio, senza che mai vi fosse chi volesse rimediare.
Ma ora non era però più un vero segreto: altre persone, oltre a don Francesco, lo conoscevano: ma, ove anche parlassero, che mai potrebbero fare se egli conservava la pergamena?
Dunque a che giovava?
Poi suo figlio, che egli conosceva pur troppo ostinato e duro, non vorrebbe ottenere il silenzio di tutti, a qualunque costo?
Ed allora le sue ultime parole, invece di cancellare una colpa antica, aprirebbero mai il varco a nuovi delitti?…
Come finirebbe tutto?…
Queste idee tormentose traversavano lo spirito del duca colla rapidità del lampo, ed aggiungevano ancora, se possibile, agli strazj che già lo laceravano.
E la morte veniva. La sentiva avvicinarsi a passi accelerati!…
Ah perchè, perchè non aveva evitate sì crudeli angosce?…
Vedendo che il cavaliere di Malta voleva parlare, il morente gl'impose colla mano silenzio.
—Io muojo! esclamò disperatamente, volgendosi a suo figlio: se voi non mi obbedite, Dio non vi perdonerà! Distruggete, distruggete quella pergamena!…
—Voi, rispose don Francesco con un rispetto che sembrava una derisione, voi non ragionate più, signore! Perciò non comprendete quel che comprendeste in passato: che l'interesse cioè ed il decoro della nostra casa esigono venga conservata questa pergamena; poichè altrimenti, oltre il danno, si provocherebbe uno scandalo.
—Oh cielo!… Siete dunque risoluto?…
Ed il vecchio duca si lasciò cadere affranto sui ricchi guanciali.
—Sì, riposate, signore, continuò il figlio: vi fa male agitarvi tanto!…
E don Francesco, girando il suo sguardo imperioso intorno a sè, aggiunse lentamente:
—Chi mi impedirà di lasciare le cose come sono sempre state?
—Io!… disse entrando una giovane dama, seguita da donna Rosalia.
E strappò nello stesso tempo quasi di sorpresa la pergamena dalle mani di don Francesco attonito, interdetto.
—Donna Livia! esclamarono insieme il vecchio ed il conte.
E prima che gli astanti si riavessero dallo stupore. donna Livia aveva già gettata la pergamena sulla vivissima fiamma che splendeva nel camino, e che in un attimo la consumò.
Comparsa, parola, azione, tutto era stato l'opera di un istante.
—Oh! grazie! mormorò il vecchio duca: grazie!
—Il cielo vi ha mandata, signora! disse il cavaliere di Malta, contemplando con emozione donna Livia.
Don Francesco si avvicinò a lei, dicendole con voce concitata e tremante per la collera, per il dispetto:
—Che avete voi fatto?
—Nostro padre è morto! esclamò in quell'istante donna Rosalia, che trovavasi più vicina al letto.
Era vero!
L'ultima scossa era stata violenta! La speranza aveva precorso di qualche istante l'opera della morte!