Читать книгу La pergamena distrutta - Virginia Mulazzi - Страница 9

V.

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Dopo aver lasciato donna Rosalia, la duchessa si era recata in una sala terrena, la più piccola di tutte, ove abitualmente soleva trattenersi quando era al castello.

Quasi all'istante il cavaliere di Malta fu introdotto.

Allora donna Livia gli accennò di chiudere la porta; indi:

—Sedete, conte, gli disse: devo pregarvi di una grazia.

—Comandate, rispose egli commosso. Sapete che io sono interamente ai vostri ordini. Ah, vorrei mi chiedeste molto, onde potervi testimoniare la mia assoluta devozione!

Queste parole furono pronunciate in un modo che non lasciava dubbio alcuno sulla loro sincerità.

—E molto vi chiederò infatti, riprese con calma la duchessa.

Ascoltatemi.

Il cavaliere di Malta attendeva in silenzio.

—È del segreto rivelato dal vecchio duca che io intendo parlarvi, continuò donna Livia. Voi certamente lo avrete immaginato.

Il conte fece un cenno affermativo, ma non l'interruppe.

—Perciò, proseguì ella, ho voluto vedervi oggi in questo castello. Io ho concepito un progetto, e col vostro mezzo spero poterlo realizzare. Ora ve lo comunicherò. Sulle prime ero decisa ad oppormi risolutamente a don Francesco, come avevo cominciato a fare; ma poi cangiai avviso. Compresi che egli vuole ottenere assolutamente il silenzio di tutti su quel disgraziato affare, con ogni mezzo; mezzi estremi forse, a cui io devo evitare che egli ricorra. Non crediate però, conte, che io acconsenta a vedere in pace il cavaliere dell'Isola ingiustamente spogliato: quando penso che mio marito può accogliere tale idea, mi sento fremere; ma ei non la manderà ad effetto sinchè avrò vita.

Ella si arrestò un istante; indi:

—Ho riflettuto: ho pensato che forse don Francesco ritiene in buona fede di non essere colpevole operando in tal modo, facendo quanto infine fece suo padre per tanti anni…. Egli non ha certamente afferrato il vero concetto di…. Insomma la cosa non gli appare forse come a voi, conte, come a me…. sotto la sua vera luce….

—Voi lo scusate!…

—Lo devo: poi, comprendete, desidero anche persuadere a me stessa ciò che vi dico: cioè che l'orgoglio, l'ostinazione, sì forti in lui, siano i suoi soli moventi.

—Ah, donna Livia, io quella notte ho temuto assai la sua collera per voi…. Faceste bene a desistere da una aperta opposizione: sarebbe stata troppo pericolosa.

La duchessa sorrise amaramente.

—Non è il timore che mi consigliò; ma il pensiero di mio figlio: e d'altronde che avrei ottenuto, continuando a provocare don Francesco? Nulla…. Ma per mio figlio istesso io desidero riparare a quella ingiustizia…. E per farlo senza destare troppi odj, e per evitare altre scene tristi, ecco quanto ho pensato.

Il conte di San Giorgio si fece attentissimo.

—Ora, proseguì donna Livia, la pergamena non esiste più: e se vostro zio od i suoi eredi venissero a reclamare, attestando, come potranno certamente farlo, con prove autentiche, la loro identità; don Francesco non potrebbe rifiutarsi a rendere ad essi quanto è loro dovuto. Mi comprendete?

—In parte: continuate, signora.

—Ma, onde non contrastare troppo apertamente col duca, bisognerebbe cercare di loro segretamente: ed una volta trovatili, fare che essi reclamino, mostrando però non essere stati consigliati da alcuno, e soltanto perchè la morte del vecchio duca dell'Isola giunse casualmente a loro cognizione.

—Vi comprendo, donna Livia: ed io, sì, io li cercherò.

—Vi ringrazio, cavaliere: sapevo non contare invano sopra di voi.

—Sì: avete ragione: questo è il mezzo migliore infatti. Sono pronto a secondarvi intieramente. Come credete che io debba agire?

La giovane duchessa parve commossa da sì completa devozione; indi:

—Mi diceste che un ordine vi chiama a Malta tra breve: mostrando quell'ordine come per caso a don Francesco, ei non potrebbe concepire il menomo sospetto. Giunto a Malta, potrete disimpegnarvi ed ottenere un lungo permesso?

—Sì, lo posso: mi basterà vedere un momento il gran maestro: fra qualche giorno partirò.

E prima che ella rispondesse, riprese:

—Avevo pensato un istante a prendere sopra di me ogni responsabilità, svelando il segreto, poichè voi avevate distrutta la pergamena; ma allora…. Voi conoscete don Francesco!… Un duello a morte con lui sarebbe stato inevitabile. È inutile dirvi perchè ne rifuggii.

—Aveste ragione, conte: un duello tra voi e mio marito, qualunque risultato avesse, mi sarebbe causa d'eterna amarezza.

—Ma, e come eviterete lo sdegno del duca, quando questi nostri parenti venissero a reclamare?

—Don Francesco mi disse che, se io serbo il silenzio, mi perdona la distruzione della pergamena. Voi fate in modo che il cavaliere dell'Isola, od i suoi figli non suscitino scandali. Così il duca si persuaderà più facilmente, e sarà possibile far credere che nessuno di noi conosceva la loro esistenza. Pur troppo il vostro compito non sarà facile; perchè ignoriamo qual nome essi portino; ma siccome il vecchio duca prima di morire disse sapere che suo fratello aveva preso servizio nell'armata della repubblica veneta, così dimorerà ancora su quelle terre: o, se egli più non esiste, è là che potrete aver contezza de' suoi figli.

—Infatti, questa è l'ipotesi più verosimile: l'avevo già pensato anch'io. Per iscoprire quei parenti farò tutto il possibile, e spero riescire ad onta del mistero che ce li nasconde… Ed al duca dirò che acconsento a serbare il silenzio?.. aggiunse con qualche esitazione.

—Potete dirgli che, obbligato ad assentarvi per un tempo di cui ignorate la durata, dovete rinunciare per ora ad occuparvi della rivelazione di vostro zio.

—Gli dirò che, finchè rimango a Malta, serberò il silenzio da lui chiestomi! Non gli sembrerà strana la mia lunga assenza, benchè non sia tempo di guerra; poichè già diverse volte, il sapete, ebbi missioni che durarono mesi e mesi….. D'altronde, mostrandogli l'ordine…. Ma, e gli altri taceranno?

—Il benedettino giungerà qui tra breve: egli è un uomo sicuro: gli confiderò tutto, ed ei mostrerà d'aver ceduto a don Francesco che, lo so, ha insistito con forza presso di lui…. Quanto a donna Rosalia, il duca non la teme molto: la crederà facilmente scoraggiata. Ed io gli dirò aver deciso tacere, nella speranza ch'ei si persuada da sè a riparare quella ingiustizia.

Ella si arrestò; indi con una specie di disgusto:

—Oh! mi ripugna scendere ad una finzione: ma è necessario.

—No, donna Livia, questa non è finzione; od almeno lo scopo che vi proponete la giustifica. Tale scopo è santo!

—Riesciste almeno!

—Speriamo: il cavaliere dell'Isola, come saprete, ha portato seco le sue carte di famiglia: dunque….

—Infatti…. Tranquillizzeremo donna Rosalia, che è ansiosissima di veder compito il voto di suo padre.

—Povera donna Rosalia! Mi dispiace lasciarla infelice.

La duchessa alzò il capo.

—Che volete dire? domandò.

—Voglio dire che, come ve ne sarete certamente avveduta, ella ama il giovane principe degli Alberi, e ch'ei non pensa se non a donna Maria. Me ne duole assai per la mia figlioccia, che ho sempre amata molto; ma non vedo rimedio alcuno…. Ella soffre….

—Sì: eppure credo non abbia perduta ogni speranza.

—La perderà fra poco. Io so che il principe conta chiedere presto la mano di donna Maria.

—Come lo sapeste?

—Ora vi racconterò. Il principe stesso me lo disse…

In quell'istante, se il conte e donna Livia avessero prestato attenzione, avrebbero potuto udire un lieve rumore dietro la tappezzeria.

Era don Francesco, che giungeva nel suo nascondiglio. Trovavasi un po' in ritardo; perchè aveva pensato esser meglio partire da Catania a qualche intervallo dal suo parente, anzichè seguirlo troppo davvicino, o prevenirlo, e dar sospetto. Poi, siccome la gelosia era stata il solo suo movente, erasi detto che, ove anche perdesse una parte di quella conversazione, ne udirebbe sempre abbastanza per sapere quali rapporti regnassero tra la duchessa ed il cavaliere di Malta.

Donna Maria non si era ingannata: benchè il duca avesse mostrato non crederle, le insinuazioni di lei gli avevano suscitato in cuore un inferno.

«Il principe stesso me lo disse.»

Ecco le prime parole che don Francesco doveva udir pronunciare dal conte di San Giorgio.

Il cielo certamente non permise che egli sentisse quanto riguardava il segreto rivelato dal padre.

Intanto il cavaliere proseguiva:

—Incontrai il principe fuori della città: egli era a cavallo: io pure. Mi si avvicinò, e mi chiese se volessi acconsentire che per qualche tempo mi accompagnasse. Accettai. Sembrava ch'egli avesse qualche cosa a dirmi, ed io attendeva che parlasse. Infatti quasi subito esclamò:—Ah! la morte del duca vostro zio venne a spezzare i miei più cari progetti.—Lo guardai sorpreso, come per interrogarlo, ed egli continuò:—Avevo risolto chiedere donna Maria in isposa in questi giorni, e non ebbi il tempo di farlo.—Io pensai tosto a donna Rosalia, e mi sentii stringere il cuore.—Ah! dissi, voi amate una delle mie giovani cugine, principe?—A queste parole, che avevo pronunciate appositamente, mi parve che egli arrossisse: ciò mi persuase sempre più che in passato deve avere lasciato credere a donna Rosalia di amarla.—Amo donna Maria, mi rispose con qualche imbarazzo, e temo che la morte di suo padre possa, non solo ritardare, ma impedire le mie nozze con lei; perciò desiderai consultar voi, che come stretto parente conoscerete forse le idee di don Francesco. Credete che ei possa concedermela?—Voi siete di famiglia illustre, risposi; siete ricchissimo, non dovete dunque temere un rifiuto.—Gli è che il duca potrebbe avere per donna Maria qualche altro progetto.—Io rimasi un istante perplesso; indi:—Non credo, ribattei.—Cercate voi, riprese egli, d'interpellare don Francesco in proposito.—Io non ho con lui grande intimità, risposi: mi sembra sia meglio che voi stesso, quando ve ne parrà giunto il tempo, facciate la vostra domanda.—Voi comprendete, donna Livia, che io non potevo acconsentire ad immischiarmi d'un matrimonio che darà tanta pena alla mia figlioccia.—Farò come mi consigliate, disse il giovane: più presto che sarà conveniente, parlerò al duca.—E dopo essersi trattenuto ancora qualche istante meco, mi lasciò un po' freddamente. Mi parve alquanto offeso per non aver io voluto accogliere la sua preghiera.—Volli narrarvi tutto ciò, donna Livia, perchè pensiate voi se vi par meglio preparare un po' per volta al disinganno donna Rosalia.

La duchessa riflettè un istante.

—No, disse quindi, non la preverrò. Perchè anticiparle il dolore, la disperazione forse, in cui la getterà il sapere che il principe vuole sposare donna Maria? Alle volte la verità, per quanto possa essere crudele, è preferibile ai dubbj, è vero, ma non per tutti…. D'altronde ella non mi ha parlato mai del suo amore, ed io non posso provocare le di lei confidenze senza commettere un'indiscrezione.

—Non so che dire; ma non potremo evitare che fra poco ella conosca il vero; poichè infatti, se il principe non l'ama, mi sembra inutile cercar d'impedire le nozze di lui con donna Maria. D'altronde ciò dipende dal duca.

—Certamente. Se donna Maria avesse cuore, potrebbe ella… Io non la credo innamorata propriamente del principe.

—Nemmeno io: ella non è capace di amare alcuno; ma non rinuncierà mai ad un gran partito come questo per generosità. Il lusingarsene sarebbe un assurdo. Guardate, donna Livia, io provo per quella fanciulla, quantunque tanto bella, una repulsione grandissima.

La duchessa non rispose: perchè avrebbe difeso donna Maria? Non era suo costume prodigare elogi a chi non stimava.

—Ed io, continuò il cavaliere, voglio dirvi che vi guardiate da lei: anche conoscendola, come certo la conoscete, non la temete forse abbastanza. Siete al disopra di ogni sospetto; ma colei potrebbe egualmente nuocervi. Diffidate… La notte, in cui morì mio zio, io feci per accostarmi a voi: volevo dirvi qualche parola sul disgraziato affare della pergamena, mentre eravate appoggiata al letto.

—Ebbene?

—Io vidi donna Maria esaminarmi in modo che rabbrividii. Ella sorrideva impercettibilmente; ma quel sorriso era sì malvagio, che io vi lessi macchinazioni infernali, come ne lessi ne' suoi sguardi… Oh! donna Livia!—aggiunse con viva emozione—io che so per prova come voi siate fra il numero raro di quelle donne che saprebbero morire prima che mancare anche in ispirito all'onore, al dovere; posso dirvi che ella sospetta di voi: posso dirvelo senza timore d'offendervi.

—Vi ringrazio, conte, rispose la duchessa tristamente: mi prevarrò di questo vostro avviso.

Il rumore, che si poteva aver udito poco prima, si rinnovò; ma neanche questa volta nè donna Livia, nè il cavaliere lo notarono.

Il duca, scosso e persuaso dalle ultime parole del cavaliere di Malta, ed arrossendo d'aver potuto un momento dubitare della duchessa, non aveva voluto trattenersi maggiormente. D'altronde da un istante all'altro il conte poteva lasciare il castello, ed ei non voleva esporsi ad incontrarlo in cammino. La risposta, che donna Livia aveva data all'avvertimento del cavaliere, pareva dover terminare il colloquio; pensò che si sarebbe fatta chiamare donna Rosalia, e che ella entrando poteva avvedersi di lui: non gli rimaneva forse che il tempo strettamente necessario per ritornare a Catania senza essere raggiunto dal cugino.

Fu fortuna; poichè, se si fosse trattenuto ancora, avrebbe inteso parlare del progetto che riguardava il cavaliere dell'Isola.

—Chi sa quali cangiamenti avverranno qui forse durante la mia assenza? disse il conte di San Giorgio a donna Livia.

—Non cerchiamo d'interrogar l'avvenire, rispose ella: disponiamoci ad accettar con coraggio quanto potrà darci di male, e forse sarà meno triste di quanto potremmo presumere in mezzo a tante preoccupazioni. I presagi, che talora si credono scorgere in esso, sono più fallaci di una sibilla menzognera.

Vi era in queste parole della giovane duchessa un senso di sconforto, che ne traspariva suo malgrado, come una rimembranza di speranze distrutte, di necessità subíte.

Il cavaliere la esaminò con una certa agitazione; indi:

—Avete ragione, signora, le disse: vi fu un tempo in cui io guardavo al futuro con una specie di temeraria fiducia: credevo non dover trovarvi mai se non che pugne felicemente sostenute, soddisfazioni di un guerriero…. ed invece….

La duchessa lo guardò attentamente.

—Non temete, donna Livia, proseguì egli con dolore ed insieme con esaltazione; io non mancherò giammai alla promessa che vi ho fatta; riguardatemi senza timore come il vostro amico più devoto.

—Vedete che come tale vi riguardo, caro conte; non metto ora forse la vostra amicizia alla prova, ed a dura prova?

Ella sorrise leggermente, e dopo qualche istante:

—L'unica cosa, che temo indovinare nell'avvenire, è il dolore di donna Rosalia. Questa fanciulla, credetemelo, cavaliere, mi preoccupa assai.

—Ed io pure: ma che fare? d'altronde presto partirò. Voi la consolerete, duchessa.

—Lo tenterò almeno. Ora ella è meco al castello: volete salutarla?

—Volentieri.

Donna Livia fece chiamare la sua giovane cognata.

Dopo un momento questa entrò. Era sì pallida, sì abbattuta, che il suo padrino e la duchessa si scambiarono uno sguardo di compassione: essi, che sapevano come tutto fosse finito per lei.

Donna Rosalia si conteneva però: desiderava far credere che la morte del padre, ed il segreto di famiglia fossero causa del suo turbamento. E ciò in parte era anche vero. Ma ahi! in piccola parte soltanto.

—E così? domandò ella a donna Livia.

—Il conte è pronto ad assecondarci, rispose la duchessa: se otterremo il nostro scopo, sarà grazie a lui. Ei partirà prestissimo: forse prima non lo rivedremo più.

Donna Rosalia guardò il cavaliere di Malta; e nei suoi occhi neri grandi e belli si dipinse una viva riconoscenza.

—Grazie, grazie, dissegli, per mio padre e per me.

—Fo il mio dovere, cara figlioccia: io pure desidero assai togliermi la parte di responsabilità, lasciatami in questo affare dal duca morente. E poi colui, che cercherò reintegrare ne' suoi diritti, non è forse mio zio? Non avrei osato agire solo, perchè personalmente io non devo una riparazione.

E come per distrarre la giovane, per occuparla di altro che del principe, aggiunse:

—Siate cauta, cara donna Rosalia: adoperatevi colla duchessa, affinchè non si penetri da alcuno il vero motivo della mia assenza.

—Oh non temete! quel progetto mi sta tanto a cuore!

—Ora, riprese il conte, ritorno subito a Catania. Prima di partire mi recherò da don Francesco: se sarete ritornate in città, avrò il piacere di salutarvi ancora: altrimenti, pazienza!

Egli contemplò qualche istante donna Rosalia e la duchessa; la prima con una tenera compassione; la seconda un po' più a lungo, e con espressione indefinibile. Indi decidendosi, si strappò alla specie d'incanto, che lo tratteneva in quella sala: e dopo aver abbracciata donna Rosalia, e baciata tremando la mano alla duchessa, partì.

La moglie e la sorella di don Francesco rimasero silenziose: entrambe erano commosse, agitate.

Il progetto di donna Livia era generoso; ma chi sa dove poteva condurre?

Quasi subito una vecchia che era sempre stata governante di donna Livia, sin da quando questa era bambina, venne ad avvertirla che il benedettino, invitato segretamente da lei a recarsi al castello, era giunto non visto da alcuno, ed attendeva nella cappella.

Donna Livia vi si recò all'istante.

La pergamena distrutta

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