Читать книгу La pergamena distrutta - Virginia Mulazzi - Страница 7

III.

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Indice

Il convento dei benedettini, a cui ricorrevano in quell'istante i pensieri dei duca, era un vasto e comodo edifizio situato nel centro di Catania.

Là vivevano quei padri nella più completa pace, dedicandosi allo studio dei libri antichi ed alle ricerche scientifiche e storiche.

Attiguo al convento eravi un bellissimo giardino, che gli stessi monaci lavoravano, ciò che loro serviva di distrazione, di riposo.

Nella città e nei dintorni si aveva per quei religiosi grande considerazione e rispetto, e si ricorreva sovente a loro per consiglio ed ajuto.

Molte volte taluno di essi aveva consolato degli infelici, rasciugate delle lagrime ed impedita qualche prepotenza.

Anche i cavalieri avevano talora, talora fingevano avere dei riguardi per quei frati.

Malgrado tutto questo però, don Francesco credeva facilissimo ridurre il benedettino, ch'ei ricercava, al silenzio.

Era questo per lui come il primo passo che farebbe in una via la quale doveva divenire aspra soltanto procedendo.

Donna Livia, il cavaliere di Malta gli sembravano i soli, i veri ostacoli, nei quali avrebbe forse ad inciampare.

Il suo amore per la sposa gl'impediva non solo di punir lei, ma ben anche di punir donna Rosalia, come lo avrebbe voluto, come lo aveva detto. Ciò gli allontanerebbe troppo, lo sentiva, donna Livia, La sapeva capacissima di qualunque più forte risoluzione, ed anche avveduta tanto da mandarla ad effetto.

La sofferenza da lui avuta quella notte, i rimproveri sopportati dalla duchessa lo facevano arrossire di sè medesimo. Cedere, riparare la colpa del padre gli sarebbe sembrato una gran debolezza; come se fosse debolezza il saper vincere i pregiudizii creati da un amor proprio eccessivo.

Il potere, che donna Livia aveva sopra di lui, umiliava il duca; ma era grande, immenso: tale che, se ei non fosse stato sì orgoglioso, sì ostinato soprattutto, sarebbe caduto a' suoi piedi quella notte; sì, quella notte istessa in cui ella aveva sì arditamente distrutta la pergamena.

Grazie alla di lui alterigia però, colla quale in apparenza soffocava la sua passione, nessuno, donna Livia istessa, sapeva fino a qual punto egli l'amasse.

Quell'amore era una specie di tormento per un uomo del carattere del duca.

In un tempo in cui le donne non sapevano opporre ai voleri ed anche alle ingiustizie dei mariti, dei padri, dei fratelli che una barriera di eterne lagrime, il carattere eccezionale della duchessa poteva spiegare in parte l'ascendente ch'ella aveva su don Francesco. Per altro, se non ne fosse stato tanto innamorato, è certo che la temerità di donna Livia, com'ei la chiamava, avrebbe potuto costarle assai cara: e questa volta, nell'affrontare la volontà del marito, ella aveva pensato poter correre pericoli reali.

Dopo averla lasciata, il duca si era dunque occupato del padre benedettino.

Ma il monaco poteva essere ancora al capezzale del morto: e prima di recarsi al convento, don Francesco se ne informò dai domestici.

Gli fu risposto che il frate era partito da qualche tempo per un paesello vicino, che gli nominarono, e ch'ei doveva essere ancora per via.

Don Francesco pensò che con un buon cavallo gli sarebbe facile raggiungerlo. Preferiva parlargli sulla strada, anzichè entrare nel convento, ove la sua presenza farebbe un chiasso che non si curava di provocare. Poi il segreto sull'affare, che tanto gli premeva, verrebbe certo più facilmente serbato.

Ordinò dunque gli si sellasse tosto un cavallo, e quando questo fu pronto, gettatosi sulle spalle un ricco mantello, partì.

Era nel mese di gennaio, come fu detto. L'aurora, spuntava appena; sicchè il freddo era abbastanza vivo.

Il duca cavalcava pensieroso, colla maggior rapidità che consentisse il terreno ineguale: poichè il villaggio additatogli era situato nella direzione dell'Etna, di cui il sole cominciava a colorire la vetta.

Ma tratto tratto don Francesco si arrestava, onde osservare innanzi a sè. Cominciava ad impazientarsi di non scorgere il frate. Finalmente lo vide; mise il cavallo al galoppo, ed in pochi istanti gli fu vicino.

Quegli si era già rivolto, e si scosse riconoscendo il duca. Che vorrebbe da lui? Ahi, che temeva d'indovinarlo! Indirizzò al cielo una muta e calda invocazione, e salutò rispettosamente don Francesco.

Questi rispose con un leggiero cenno del capo; indi:

—Devo parlarvi, padre, gli disse, e con accento alquanto imperioso, senza perdere tempo continuò:—Mi risponderete come vi parrà; ma, rammentatevelo bene, con precisione, con chiarezza.

In quell'istante il povero benedettino aveva a sopportare non soltanto l'abituale alterigia del duca, ma anche tutta la collera che questi sentivasi in cuore per tante cagioni, e che desiderava sfogare contro qualcheduno.

Quel frate non poteva davvero trovar don Francesco in un'ora peggiore.

—Vi ascolto, Eccellenza, rispose.

—Voi, riprese il duca, avete confessato mio padre, ed egli vi ha confidato un segreto.

—Ebbene?

—Ebbene, quel segreto io voglio sia sepolto per sempre: sicchè, mi comprendete…. Guai a voi se lo aveste a svelare!

—Ma la mia coscienza….

—Che coscienza! interruppe don Francesco: cosa c'entra la vostra coscienza in un affare che riguarda soltanto la mia famiglia? Vorrei vedere che ve ne immischiaste!…

E volse sdegnosamente il capo.

—Vostro padre dopo la confessione, disse il benedettino, mi aveva incaricato di svelare quel segreto; dunque….

Anche questa volta il marito di donna Livia non lo lasciò continuare, e:

—Questo non è affar vostro, ve lo ripeto: d'altronde il povero duca non ragionava più: era fuori di sè:… e voi dovete convenirne, se vi preme la vostra vita: od almeno dovete obbedirmi.

—La mia vita è consacrata a Dio, e nulla mi dorrebbe perderla in servizio suo,—rispose il frate con qualche esaltazione.

—Oh, non declamazioni, ve ne prego! Vi ho già prevenuto; vi ho detto di rispondermi con precisione, con chiarezza. Alle corte, tacerete?

Il benedettino rimase silenzioso.

—Che? pensò il duca, avrei dato anche in un frate che non ha paura?

Non so cui mi tenga dal finirla a dirittura con costui!… Ma….

Ei seppe contenersi.

Don Francesco non era uno di quei signori scapestrati che si gloriavano delle loro prepotenze. Egli invece desiderava coprire con un velo abbastanza fitto le sue. Sino ad allora non aveva avuto occasione di usarne molte, grazie al suo carattere freddo e pochissimo inclinato ai piaceri. Assai gli premeva d'altronde esser tenuto per degno capo di una casa illustre: e siccome la venerazione, che circondava i benedettini, e quella in particolare che si aveva per quel predicatore era grandissima, ei non volle per allora porre le minacce ad effetto, benchè ne sentisse gran voglia.

Pertanto non rinunciava certo allo scopo che si era prefisso. Solo pensò tentare altra via; poichè non era riescito subito, come lo aveva sperato, ad atterrire il frate.

Si volse a lui con una certa benevolenza mista di ironia, e:

—Credo comprendere, padre, le vostre reticenze, gli disse: voi non volete mancare alla promessa fatta al duca moribondo, senza che ciò torni…. a profitto di Dio—non è così!

—Che intendete? chiese il monaco un po' confuso.

—Intendo che con una buona somma data a voi…. perchè…. l'adoperiate…. come crederete…. in servigio del Signore…. vi disfereste dei vostri scrupoli.

—No, Eccellenza! esclamò il benedettino con indignazione.

Don Francesco fece un gesto di vivissima impazienza.

—Osereste rifiutare? chiese con alterigia anche maggiore del solito.

—Ma io non devo, non posso mancare a' miei doveri!

In quell'istante il duca riflettè che il monaco non era presente quando donna Livia aveva dato alle fiamme la pergamena: pensò approfittare di tal circostanza.

—Del resto, disse quindi al religioso, voi non potete far nulla. Mio padre ha dovuto dirvi che sta in mia mano un atto importantissimo, indiscutibile, e che senza il mio assenso….

—È vero! mormorò il frate.

—Dunque non comprendete che il vostro silenzio non mi è necessario, benchè ve lo abbia chiesto e lo desideri, onde evitare scandali inutili? Voi non volete tacere? Ebbene, sarete voi responsabile di quanto potrà accadere di male!… Se veramente vi premesse servire a Dio, come dite, capireste che vale assai meglio serbare un segreto, che non vi appartiene, anzichè mettervi sulla coscienza tutto ciò che io sarò forse costretto a fare, onde sostenere le mie ragioni ed il decoro della mia casa. Parlate pure!… Oh, farete la grand'opera meritoria!… aggiunse con motteggio sprezzante.

Il povero benedettino rimase interdetto: ignorando la distruzione della pergamena, trovava le parole del duca di una logica inesorabile.

Volle provarsi ad impietosirlo, benchè nulla sperasse.

—Non abusate, eccellenza, della vostra posizione elevata, gli disse: perdonate la mia arditezza, ma è a nome di Dio che vi parlo… Egli…

—Tacerete sì o no? È questo che vi domando.

—Io tacerò: tacerò con tutti, se voi stesso riparate a quella ingiustizia.

Chiamare ingiustizia ciò ch'ei voleva fare!…

Il duca si sentì tentato di far tosto pentire il frate d'aver pronunziata quella parola. Donna Livia l'aveva pronunziata anch'ella, è vero: aveva detto anche assai più; ma certo don Francesco non sopporterebbe dal benedettino ciò che aveva a suo dispetto sofferto da lei. Quel vecchio frate, coperto da un povero sajo, benchè fosse rivestito d'un carattere sacro, non faceva sul duca la centesima parte d'impressione della vezzosa sua sposa.

Don Francesco si guardò attorno adirato, e certo, se non avesse scorto alcuno, non avrebbe tardato ad insegnare al frate il modo di contenersi con uno dei più potenti baroni di Sicilia. Ma il mattino si avanzava: il sole appariva sull'orizzonte, e molti contadini passavano lì presso per avviarsi alla città.

Si propose dunque di rimandare la sua vendetta a tempo migliore, se il benedettino non avesse voluto assolutamente promettergli il silenzio: quel silenzio che, ad onta di quanto aveva detto, gli era indispensabile.

—Vi accordo una dilazione di quattro giorni, disse seccamente al religioso, grazie al vostro abito soltanto.

—Una dilazione!

—Sì: vi do tempo a decidervi; la riflessione vi persuaderà a tacere, giacchè comprenderete benissimo che il parlare, mentre non gioverebbe ad alcuno, e sarebbe affatto inutile, vi esporrebbe a funeste conseguenze. Guai se parlerete in questo frattempo! aggiunse con piglio minaccioso…. Guai!… Dunque?

Il frate riflettè un istante: indi:

—Per quattro giorni tacerò, disse.

—Bene, rispose il duca.

Volse la briglia al cavallo; lo mise al galoppo, e si allontanò come un fulmine.

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In breve giunse a Catania: entrò inosservato nel suo palazzo per una porta segreta, nascosta da un gruppo d'alberi del giardino, e di cui egli solo da lungo tempo teneva la chiave.

Diede il cavallo ad un palafreniere; indi si recò nel gabinetto ove suo padre serbava le carte d'importanza, e dove cavaliere di Malta aveva tolta la pergamena da uno scrigno.

Rinchiuso in quella stanza, don Francesco cominciò un minuto esame di tutto quanto essa conteneva; rovistando in ogni mobile che avesse dei cassetti, in ogni suppellettile che potesse nascondere qualche cosa.

Infatti vi potevano essere altre carte, delle lettere, che senza avere l'importanza della pergamena, riguardassero quel segreto, e gli convenisse conservare, o distruggere.

Ma nulla trovò che avesse rapporto col cavaliere dell'Isola.

Allora si assise dinanzi ad uno scrittoio, e vi rimase immobile, pensieroso. La sua fisonomia in quell'istante, tetra e cupa oltre ogni dire, faceva un singolare contrasto collo splendido sole che penetrava a larghi sprazzi nel gabinetto.

Sì!… mormorò finalmente: io voglio ottenere il silenzio di tutti, e l'otterrò!… Voglio che il fratello di mio padre, od i suoi eredi non vengano mai a reclamare ciò che… ciò che loro appartiene!.. direbbe donna Livia ed anche quel benedettino temerario…. Se veramente colui non vuole obbedirmi, se ne pentirà, lo giuro!… Ah! se il pensiero di alienarmi troppo donna Livia non mi trattenesse, avrei forse già castigato quel frate; ed in un modo o nell'altro obbligata donna Rosalia al silenzio!… Ed il conte, che questa notte osò quasi minacciarmi… Anche per lui lo troverei il mezzo!… Oh, sì lo troverei!… Eppure niuno è colpevole come mia moglie!… nessuno avrebbe ardito fare ciò che ella fece…. Ah, perchè sono io costretto ad essere seco lei tanto diverso da quello che sono con tutti gli altri?… Perchè mio malgrado sono trascinato ad amarla? più che ad amarla anzi; giacchè non è amore soltanto che io sento per lei… è delirio, è frenesia!… Arrossisco in pensarlo; ma… che fare?… Oh la ingrata!…

Egli si alzò.

Ma io non devo accusarla, aggiunse tra sè: non l'ho sposata forse contro il suo volere?… Non sapevo, non mi disse ella stessa che… Ah! ma come mi sorprendo ad occuparmi di lei sì sovente… per non dir sempre?… Ma sia pure che io l'ami: non per questo, lo giuro, sarò il suo trastullo…. E questa volta ella dovrà obbedirmi… Non sarà mai che io ceda su tal punto… giammai!… Quantunque colei abbia su di me il potere di una maliarda…. Poi…. se mi fosse dato abbassare la sua alterigia riuscendo nel mio progetto, ne avrei doppia soddisfazione!… D'altronde che direbbero di me coloro, innanzi ai quali ricusai a mio padre di rendere al cavaliere dell'Isola il nome e le sostanze? Mi deriderebbero, vedendomi cedere a donna Livia… Poi, chi sa quali scandali si provocherebbero? quali vergogne forse ne verrebbero alla mia casa?…. Sì: tutti dovranno tacere: lo voglio!…

Il gabinetto, nel quale si trovava il duca, era diviso dalla camera mortuaria da una gran sala soltanto. Egli, dopo qualche altro momento di riflessione, aperse l'uscio: traversò quella sala: socchiuse leggermente la porta della camera ove giaceva cadavere suo padre.

Vide dei religiosi e molti servi in orazione. Nessuno si accorse di lui, ed egli rientrò inosservato nel gabinetto, ove rimase fin verso la sera.

Non temeva che nè donna Livia, nè il conte di San Giorgio prendessero per quel giorno risoluzione alcuna: aveva saputo dal suo cameriere che entrambi avevano passato gran parte della giornata nella stanza del defunto, unendosi alle preghiere della gente ivi raccolta.

Mentre usciva dal gabinetto, per recarsi nel suo appartamento, fu arrestato da donna Maria.

—Che volete? le chiese egli.

—Devo comunicarvi una cosa importantissima, rispose la sorella.

—Venite, disse don Francesco.

E la condusse nel gabinetto.

Con lei sola il duca non era adirato; perchè comprendeva ch'ella lo asseconderebbe intieramente: sola lo aveva approvato nella notte precedente.

—Donna Livia, cominciò ella a bassa voce….

—Ebbene?

—Ha chiesto un abboccamento al conte nella prima sera che seguirà i funerali di nostro padre.

—E dove?

—Al suo castello: certamente ella conta ritornarvi subito dopo le cerimonie funebri.

Il duca durava fatica a frenare la sua agitazione, a contenersi.

—È lo zelo per l'onor vostro, che mi consigliò ad avvisarvene, continuò la giovane.

—Spiegatevi più chiaramente, disse don Francesco con fuoco: voi offendete la duchessa.

—Che io mi spieghi?… riprese donna Maria un po' sconcertata…. Un abboccamento… la notte… in quel castello isolato, non è forse abbastanza?

—No: e voi v'ingannate nelle vostre temerarie supposizioni.

—Come?

—Questo abboccamento, disse il duca, benchè alquanto alterato, questo abboccamento non deve avere altro scopo che di consigliare al cavaliere il silenzio.

—Ma se donna Livia ha gettato ella stessa sul fuoco la pergamena!

Don Francesco fece un vivissimo movimento di rabbia insieme e di dispetto.

—Che importa? disse quindi; se io voglio che tutti tacciano.

Donna Maria rifletteva.

—Basta, riprese dopo un momento: sarà come dite; ma io avevo pensato il contrario.

—E perchè?

—Perchè so che il cavaliere….

E si arrestò un istante, come se non osasse proseguire. Indi:

—Perchè l'ama, disse.

—Ama donna Livia?… E voi credete ch'ella lo riceverebbe per… domandò il duca alterato… Voi mentite! esclamò poi: la vostra è una perfida insinuazione.

—No, non mento; e non è questa una perfida insinuazione… Del resto sta in voi l'accertarvene.

E fece per allontanarsi.

Ma suo fratello la trattenne con un cenno.

—Che vi fece pensare che il conte ama donna Livia?—le chiese a voce bassissima e concitata.

Donna Maria in quell'istante era un po' pentita di aver ceduto al suo odio per la duchessa; ma era troppo audace per iscoraggiarsi tosto: per altro, siccome aveva sempre avuto gran soggezione di suo fratello, tremò un momento, temendo averlo irritato contro di lei, ora ch'egli era il capo della famiglia. Così prese una scappatoja.

—Me ne avvidi io, rispose, già da molto tempo. Però non intendo con questo offendere la vostra sposa.—Ella forse lo ignora….—aggiunse con un mezzo sorriso.

Vi fu un breve silenzio, che il duca ruppe primo, dicendo seccamente a donna Maria:

—Lasciatemi, e scacciate sì ingiuriosi sospetti.

Ella escì dal gabinetto poco soddisfatta, molto indispettita.

Che? pensò: ei le ha dunque perdonato la distruzione della pergamena, l'insulto ricevuto innanzi a tutti?… Egli!… così violento, superbo, irascibile?… L'ama dunque a tal punto?… Non vuole che si sospetti di lei nemmeno in questo giorno?… Oh! ma avrà dissimulato; è sì geloso, sì diffidente;… le mie parole non saranno perdute…. Si recherà certo segretamente al castello, ed io potrò senza periglio dare un abboccamento al principe…. Se colei perdesse la sua influenza su don Francesco, sarebbe meglio per me. Mia sorella, ne sono sicura, l'avrà pregata di sollevare ostacoli al mio matrimonio col principe, ed ella forse glielo ha promesso… Per altro ogni speranza di donna Rosalia è vana: egli mi ama tanto!… Mai ella sarà sua sposa… Mai!… Ma io ho d'uopo di vederlo solo una volta almeno… Egli è sì debole!… Se non avessi detto al duca che il cavaliere è invaghito di donna Livia, non sarei stata certa ch'ei si sarebbe assentato…. D'altronde pensava poterla in questo giorno accusare audacemente… Speravo che l'abboccamento da lei dato al conte bastasse solo a perderla… Ma, chi sa?… il cavaliere l'ama… Posso lusingarmi ancora!…

La pergamena distrutta

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