Читать книгу La pergamena distrutta - Virginia Mulazzi - Страница 6

II.

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Vi fu qualche minuto di confusione.

Intanto il frate benedettino rientrò nella camera. Tornava dal convento, ove era andato ad annunziare che passerebbe tutta la notte presso il duca dell'Isola: aveva certamente creduto in una più lunga agonia. S'inginocchiò presso il morto, e si mise a pregare.

Donna Rosalia si univa sola a quelle preci: gli altri erano ancora sotto l'impressione della scena di poco prima. Anche la giovinetta non l'aveva dimenticata: ma pure poteva piangere il padre…. Sembrava che la morte, questo grande mistero, esercitasse sopra di lei una specie di attrazione. Certo dessa vi guardava senza timore, fors'anche con desiderio.

Don Francesco fissava severamente donna Livia, come se avesse voluto fulminarla col suo sguardo nero. Vi era del furore in quello sguardo, e nel furore una minaccia per ciò che ella aveva fatto.

Ella evitava di mirarlo.

Donna Livia era una bella dama, che dimostrava venticinque anni al più: i suoi magnifici capegli neri, eppure morbidi e fini, formavano un magico contrasto colla bianchezza abbagliante della sua pelle. Ma la bellezza principale di quel volto erano gli occhi, dell'azzurro più puro: grandi, profondi, perfettamente ombreggiati, ma forse un po' troppo severi per una giovane donna. Però i tratti di lei erano poco accentuati; e ciò le toglieva in severità, e le aggiungeva in grazia. La sua statura era di poco più alta dell'ordinaria, e la persona elegante in modo, d'avere nei minimi suoi atti della seduzione.

Donna Livia portava quella notte un ricco mantello da viaggio, specie di zimarra di velluto nero, foderata di seta azzurra.

Era la moglie di don Francesco, ora duca dell'Isola.

Il cavaliere di Malta seguiva con inquietudine lo sguardo di suo cugino: forse temeva per donna Livia la collera di lui.

Ed infatti come le perdonerebbe egli, per natura violento ed altiero, di aver distrutta quella pergamena, che teneva preziosa, e l'insulto ricevuto innanzi alla famiglia?…

Opporsi, come ella aveva fatto, alla volontà del marito, sfidarla in un tempo in cui questi aveva sulla moglie un'autorità illimitata, era certamente correre grave rischio.

In faccia alla morte sembra che ogni sdegno dovrebbe tacere: ed invece in quella circostanza i rancori si risvegliavano, nascevano forse.

E chi cercherebbe il cavaliere dell'Isola, od i suoi figli? Ove sarebbero?

Don Francesco che farebbe, nel caso si ritrovassero suo malgrado?…

Il benedettino conosceva la causa dell'agitazione che regnava tra i membri della nobile famiglia dell'Isola: aveva confessato il defunto, che a lui per primo rivelava il segreto. Non sapeva però nulla della scena accaduta allora.

Il vecchio duca gli aveva detto che, se non veniva distrutto l'atto col quale si diseredava nella forma più solenne il cavaliere dell'Isola, e che ne conteneva anche la rinuncia, non si potrebbe rimediare: giacchè se don Francesco lo avesse conservato malgrado gli ordini del padre, non avrebbe che a mostrarlo per rendere vano ogni sforzo.

Quel frate era veramente un uomo dedicato esclusivamente a Dio, e che metteva nell'adempimento dei suoi doveri una convinzione sincera e profonda.

Buono, caritatevole, cercava ogni mezzo per far del bene: si chiedeva adunque con vera angoscia come dovrebbe agire in quella circostanza, che poteva metterlo in difficile situazione.

Ah! nessuno pensava veramente al morto!

Tutti sembravano impietriti.

Donna Livia si strappò prima a quella immobilità.

Si accostò al letto, e s'inginocchiò presso donna Rosalia. Nel passare dinanzi a don Francesco aveva incontrato il di lui sguardo, che non l'aveva mai lasciata un istante.

—Grazie, diss'ella quindi alla giovane cognata, quando le fu vicina; senza di voi, donna Rosalia, non sarei forse giunta in tempo.

—Sono io che vi devo molta riconoscenza, rispose la giovinetta: per voi mio padre non è morto disperato…. Ah! possa Dio perdonargli!

Donna Maria notò quel breve colloquio, e lo fece con un cenno rimarcare al fratello.

—Ah, mormorò questi, sì?… Donna Rosalia le era andata incontro senza che me ne avvedessi…. L'aveva prevenuta di tutto…. Sciagurata anch'ella!

Donna Maria non potè reprimere intieramente un leggiero sorriso.

Il cavaliere di Malta le si avvicinò:

—Oh! le disse sommessamente e con indignazione: non arrossite voi, donna Maria? Invece di calmare voi attizzate gli odj! Come lo potete in questo istante?

Ma ella era nel numero di coloro che credono lecita ogni colpa, purchè siano essi che la commettano.

Alzò sul cugino i suoi grandi occhi neri, e rispose poi, torcendo il bel capo:

—Come potrei io rispondere a tali rimproveri?

Cosa strana! Quell'uomo era coraggioso, franco: eppure rimase intimidito: si pentì quasi di aver ceduto ad un subito impulso di collera.

Certe sensazioni non si ragionano: non si comprendono nemmeno talvolta: ma si provano, benchè non abbiasi il coraggio di confessarle.

Don Francesco si era pure avvicinato al letto funebre del padre, ed immergeva i suoi sguardi ora in questo, ora nella sposa, ora in donna Rosalia.

Era impaziente: il prolungarsi di quella situazione gli pesava: ma però si conteneva perfettamente, tanto che il conte di San Giorgio, il quale l'osservava di continuo, si chiese se egli si fosse risolto a perdonar tutto ed a riparare la colpa del padre.

Dopo breve tempo il cavaliere di Malta si congedò freddamente da don Francesco: non sapeva che fare: andò a stringere con amicizia le mani di donna Rosalia, sua figlioccia: poi fece per parlare alla giovane duchessa; ma in quell'istante vide donna Maria guardarlo in un modo che lo spaventò: sicchè senza proferir parola, salutò profondamente donna Livia, ed escì.

Che significava tutto ciò?

Don Francesco fece sortire le sue sorelle: indi si rivolse a donna

Livia:

—Venite, signora, le disse.

Ella si alzò e lo seguì. Era commossa; ma nulla indicava che fosse atterrita.

Il duca silenzioso la condusse nel loro appartamento in una sala, di cui rinchiuse gli usci: indi, piantandosi in faccia a lei, la fissò qualche momento senza parlare: finalmente diede libero sfogo alla sua collera.

—Ah! esclamò, voi pensaste dunque di potermi offendere impunemente? Mi credeste vostro schiavo, vostro trastullo? Non mi conoscete ancora?… Vi pentirete, signora, di quanto avete fatto: ve ne do la mia parola!…

—Mai! rispose donna Livia con voce sicura; mai mi pentirò di un'azione giusta.

—Un'azione giusta!… Osate chiamarla tale in faccia mia?…

Ed il duca furibondo fece un passo verso di lei: ma subito si arrestò. Gli è ch'ella era pur bella in quell'istante, in cui un nobile sdegno aveva acceso delle scintille ne' suoi grandi occhi, e ch'egli l'amava con vera passione.

Pure si vedeva ch'ella non cercava di affascinarlo: forse perciò appunto riesciva intieramente.

—Ah! mormorò tra sè don Francesco retrocedendo; mi sarebbe impossibile offenderla troppo! Dunque, cederò io questa volta a lei? No!

E si mise a percorrere la sala agitatissimo.

Egli aveva sposato donna Livia sapendo ch'ella non lo amava: anzi dopo che ella stessa lo aveva pregato di rinunziare alla sua mano, adducendo a motivo di quel rifiunto l'essere stata perdutamente innamorata di un cavaliere morto poco prima.

Bella, nobile, ricchissima, don Francesco aveva tentato ugualmente ogni mezzo per conseguirla; ma allora egli sperava dominarla facilmente: sin là aveva creduto la donna un oggetto di piacere, una distrazione, non di più; ma quando ebbe sposato donna Livia, comprese che ciò non era: non voleva convenirne però, e si rivoltava contro sè stesso per pensare talora il contrario.

Ed intanto si sentiva ogni giorno più trascinare verso quella donna giovane e bella, che metteva nel bene tanta forza quanta ei ne metteva nel male; e che al fascino della bellezza, della grazia, della gioventù, aggiungeva quello della superiorità del carattere.

Dopo aver passeggiato qualche tempo come un pazzo, il duca si rivolse di nuovo a donna Livia, che era rimasta in piedi dinanzi al camino.

—Voi non parlate, signora? le chiese con amarezza; perchè?

—Perchè parlando non potrei che ripetere quanto ho già detto, rispose ella freddamente.

Egli tacque: eppure soffocava dalla collera. Quando si vuol dir troppo non si dice nulla, talvolta…. Ma poi, ritornando alla sua idea fissa, che cioè non doveva cedere, nè sopportare in pace un'offesa, abbandonò quella calma forzata.

—Oh, disse, io saprò punire quelli che non rispettarono il mio volere, che tentarono farmi arrossire!… E colei che venne ad incontrarvi, ad informarvi di tutto, proverà prima il mio sdegno… Donna Rosalia…

—Voi non farete ciò, signore, rispose la duchessa; d'altronde su di me sola deve pesare la responsabilità di quanto io sola feci.

—Ah! è così che voi… Ma neghereste che mia sorella vi aveva avvertita, prevenuta?

—Non lo nego.

—Dunque?

—Dunque è egualmente inutile che vi adiriate con donna Rosalia: perchè, ove anche ella non mi avesse informata a tempo, e non mi fosse stato possibile distruggere quella pergamena….

—Ebbene?

—Mi sarei opposta a che voi la conservaste, e non cercaste rimediare….

—Oh, voi non avreste potuto nulla, signora! disse egli alzando le spalle.

—Perchè? Il segreto non era noto a voi solo, ed io certo lo avrei presto conosciuto.

—E che m'importa se mi rimaneva in mano quella prova? disse il duca con veemenza.

Ed aggiunse con maggior calma:

—Allora non avreste potuto cangiare assolutamente la menoma cosa, nè vincere la mia volontà, ve lo assicuro…. Vedete dunque che senza quella sciocca fanatica….

—Non insultate vostra sorella, che meriterebbe invece la vostra stima…. Poi, ve lo ripeto: è vano…. Non so ciò che avrei fatto; ma in ogni modo non avrei mai permesso che rimanesse a mio figlio ciò che non gli appartiene.

Don Francesco durava veramente fatica ad ascoltare ancora: meravigliava di sè stesso, della sua sofferenza. Certo la situazione, in cui si trovava, era penosa: poichè l'orgoglio, l'interesse, il risentimento combattevano nel suo cuore coll'amore una lotta orribile.

—Ah! esclamò dopo un istante; ciò che non gli appartiene? Eppure, signora, quell'atto era fatto volontariamente, e colui che lo fece aveva il potere di diseredare un figlio ribelle, che era disceso ad una unione disonorante.

—Sì; ma lo aveva revocato.

—Ah, sapete anche questo? chiese il duca con sdegno.

—Sì, disse donna Livia: e guardate, aggiunse con fermezza; per persuadervi che io avrei riparato egualmente, anche malgrado l'esistenza della pergamena, vi dirò in qual modo avrei agito.

—E come?

—Disponendo delle mie sostanze, di cui sapete che, per volere di mio padre, ho quasi per intiero l'assoluta proprietà, sino all'ammontare della parte di eredità legittima che spetta a vostro zio, e…

Il duca interruppe.

—E credete che ciò vi sarebbe stato possibile? le domandò con ironia.

—Nulla è impossibile quando la giustizia lo esige.

—Che volete dire con ciò? Che io sono ingiusto?

—No; ma che ringrazio il cielo, il quale non permise….

—Tacete! tacete! esclamò il duca furioso.

Egli si sentiva tratto con violenza ad imporre colla forza silenzio a sua moglie, a gettarle almeno in viso una di quelle parole umilianti che trafiggono coloro cui sono dirette, ed avviliscono tante donne, le quali cadono allora ai piedi di chi le insulta; ma donna Livia! Ei la conosceva: guai se non l'avesse rispettata!

Che avrebbe dato in quell'istante per non amarla?…

Ed invece la fermezza di lei, il suo coraggio gliela rendevano maggiormente cara.

Ella sembrava riflettere.

—Signore, disse poi con calma; io voglio sperare che, quando vi rifiutaste a distruggere quella pergamena, non avevate calcolato quanto ciò sarebbe stato ingiusto; e che ora mi approvate, perchè troncai delle esitazioni senza dubbio involontarie…. Voi dovete comprendere,—aggiunse con qualche alterezza,—che io ho bisogno di udir questo dall'uomo di cui porto il nome.

—Ma come! quale ardire? Siete voi ora che interrogate?

—Sì: pensate anche che, operando come avevate divisato, non avreste potuto rammentarvi vostro padre, la sua morte, senza rimorsi amari e crudeli.

—Non colmate la misura, donna Livia, esclamò il duca impazientato.

—Chiamate voi colmar la misura parlando così? Ah no! È dirvi la verità, la sola verità!

—Ma credete voi che io sopporterò d'essere insultato a tal segno? Non sapete dunque, signora, che potrei, se lo volessi, punirvi severamente? Che ne ho il diritto?

—Il diritto? disse la giovane duchessa con amarezza: dite il potere, signore, ma non il diritto. Del resto usatene, se lo credete. Non sarà già il timore che mi chiuderà le labbra.

—La vostra temerità è grande, donna Livia: oh lo riconosco! ma non so se la conservereste sempre in faccia al pericolo….

Ed il suo pensiero ricorse forse un momento ai bravi, ai trabocchetti, ai veleni ed alle altre galanterie di simil genere, che in quei tempi di felice memoria sbarazzavano più di un nobile marito di una sposa o nojosa, od incomoda.

Ma egli non avrebbe potuto rassegnarsi a non veder più colei che gli stava dinanzi, la sola donna che avesse amata, che amasse ancora. Si sarebbe punito egli stesso. Non poteva dunque ascoltare tali tentazioni…. Soltanto se avesse creduto donna Livia infedele, sarebbe stato capace di essere crudele verso di lei; ma, benchè l'avesse sempre sorvegliata con tutta la gelosia che può suggerire la passione più viva, l'amor proprio più sconfinato, non aveva mai trovato nulla a rimproverarle.

Però in quell'istante avrebbe voluto atterrirla, perchè da ciò dipendeva in parte la riuscita di un piano ch'egli avea concepito subito dopo la distruzione della pergamena.

—Voi non parlate più, le disse ironicamente: oh dunque cominciate a temere!…

—No, signore: stavo pensando come mai ad un gentiluomo possa essere venuta l'idea di conservare un patrimonio non suo.

—Un gentiluomo deve pensare prima di tutto a sostenere il decoro della sua casa, e mio padre istesso fece per sì lunghi anni ciò che io vorrei fare.

—Ma si era pentito!

—Bene! sarò sempre a tempo a pentirmi anch'io.

—Ora non avete più prove, e….

—Perchè voi distruggeste quella pergamena! esclamò don Francesco con furore.

—Sì: e ve lo ripeto: vorrei udire da voi che mi approvate; che siete disposto a riparare la colpa di vostro padre. Fatelo, signore, ed io cercherò dimenticare questa scena dolorosa.

Ella fissò in lui il suo sguardo severo e profondo, che sembrava volergli leggere in cuore.

—Orgogliosa! mormorò egli.

—Ascoltatemi, riprese donna Livia lentamente. Voi credete davvero che il rendere al cavaliere dell'Isola quanto gli si deve possa essere di gran danno alla vostra casa?… Ebbene, riflettete che ciò non è; od almeno che essa può sopportare tal danno senza perdere nulla in splendore. La maggior parte delle sostanze che possedete vi rimarrà ancora: tali sostanze saranno considerevolissime, ed unite alle mie assicureranno sempre a nostro figlio una delle rendite più ragguardevoli della Sicilia… D'altronde la pergamena è distrutta, e voi…

—La pergamena è distrutta sì, interruppe egli con forza, ma se tutti tacessero, nessuno forse verrebbe a reclamare; anzi è probabilissimo….

—Oh mio Dio! voi pensate…

—Sì: penso che voi dovrete serbare il silenzio, come le mie sorelle… A questo patto soltanto vi perdonerò il grave oltraggio che ho da voi ricevuto…. Ve lo perdonerò perchè….

La guardò un istante con passione.

—Ma, chiese donna Livia, ed il padre benedettino, ed il cavaliere?…

—Del padre benedettino non vi preoccupate; me ne incarico io. Quanto al cavaliere, vedremo….

Il suo sguardo si fece minaccioso.

—Dunque, disse la giovane duchessa con sdegno e con dolore, voi persistete?

—Sì, rispose don Francesco con fuoco: e voi rammentatevi, signora, che guai se parlerete!

—Che io taccia? Che assecondi un simile progetto?… Ah, non sarà mai! Non lo sperate!…

Il duca fece un gesto di rabbia. I suoi occhi scintillarono di collera: e non potendo contenersi più a lungo, escì dopo aver detto a donna Livia con accento minaccioso:

—Riflettete, riflettete molto, signora: ve lo consiglio nell'interesse vostro.

E per distrarsi, pensò occuparsi del frate benedettino che aveva confessato suo padre moribondo: si proponeva correre sulle di lui traccie verso il convento dove abitava.

La pergamena distrutta

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