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Capitolo I

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Il sabato

Ore 12

Le autorità che debbono inaugurare la Fiera del Libro non sono ancora giunte.

I commessi di libreria, gli impiegati delle Case Editrici, gli Autori danno febbrilmente gli ultimi tocchi alle mostre sui banchi.

Sotto la Loggia del Palazzo della Ragione le vaste esposizioni delle Case Editrici maggiori. L’aristocrazia del libro. Le collezioni a venticinque e a trentacinque lire. Le collane degli autori italiani a dodici lire (blu, gialle, bianconere, con cifre, con stemmi, con fregi, in aldino, in bodoniano, in elzeviro).

E grandi cartelli a lettere di scatola coi nomi celebri. Tela dipinta, cartone e legno. Materiale effimero, per una letteratura, che aspira all’immortalità.

Proprio in centro al vasto ripiano rialzato, tra le colonne, il banco circolare dell’Alleanza del Libro. Il cervello della fiera. Il cranio di tutti quei banchi. C’è fermento. È lì che le Autorità andranno e di lì si muoverà la processione a recare con l’aspersorio l’acqua lustrale del compiacimento ufficiale. C’è anche la ruota per la pesca.

Giù, nella piazzetta rettangolare, i banchi della plebe letteraria. Un’orgia di libri pudicamente coperti di cellofane trasparente.

— Tutto a due lire!

— Ottimi libri pel popolo!

— Il fallimento dei prezzi!

Letteratura da tranvai. Le Case Editrici, che fan tirature iperboliche, inondano i mercati. Quest’anno si sono nobilitate. Qualcuno di questi banchi espone i cartelli col nome dell’autore, che firmerà i propri libri. Tal quale i maggiori, sotto il Loggiato. Il genio s’ingaglioffa. Le sartine vedranno il volto del loro autore. Peggio per esse se han sognato zazzere bionde o brune, occhi pensosi, fronti luminose. La delusione riceverà il conforto di una firma energica sul frontespizio. E anche d’una frase dedicatoria. Che cosa non si farebbe per vendere le proprie opere?

Ma le sartine cercheranno gli autografi di Montepin, di Dumas, di Sue, di Stephenson, di London, di Casanova, di Giorgio Ohnet…

Tutti costoro mancano. Ma c’è Tino, Fiamma, che con Gli iconoclasti ha raggiunto la tiratura record.

In mezzo alla piazza, il delizioso pozzo cinquecentesco fa da simbolo. Ci hanno messo una pentola e un cucchiaio. Le ricette culinarie diPenelope. Non è il pozzo della verità. Il simbolo è più profondo. Si nutre il cervello come il corpo. Servire caldo. La pentola è enorme. Penelope è piccina e ha fatto vestire di nero col grembiulino ricamato la servetta, che offre i volumi al pubblico. Qualcuno vorrebbe comperar la servetta.

Ancora, il pubblico manca.

Gli espositori guardano il cielo pel quale caracollano nubi fumose.

— Se piove, siamo f…

18 maggio 1934. Fu l’anno in cui alla Fiera del Libro di Milano piovve a intermittenza. Blande spruzzate d’acqua, che non fecero fuggire gli appassionati.

Ore 12 e 30

Le autorità hanno iniziato la visita viatico, recando la parola confortatrice.

C’è un Principe del sangue, che si è interessato con benevolenza ai diagrammi di vendita degli ultimi anni. Che passo gigantesco! Adesso il popolo legge! Il diagramma non reca la linea ascendente dei libri con la cellofane, altrimenti le alte cime raggiunte da quella linea darebbero le vertigini. Che altezze i films romanzati, e i romanzi filmati!

— Le opere omnia di…

— L’Enciclopedia mastodontica, che dà fondo allo scibile…

— E una collezione storica di gran pregio, che reca i più bei nomi del mondo…

Rasputin, Maria Antonietta, Sanson, Luigi XIV, Fouchet, Robespierre… E queste sono le sei mogli del gargantuesco Re Enrico…

— Verranno anche da noi?

— Vengono!

— Non vengono!…

Attorno al pozzo c’è trepidazione. Le autorità si degneranno scendere tra la plebe letteraria? Scendono.

Ore 13

Le autorità sono passate. Il battesimo è stato dato. Editori e autori sono andati a colazione.

Davanti ai banchi rimangono gli impiegati e qualche autore tenace, che conosce il valore d’ogni minuto e che non vuol perdere una firma. Se un acquirente voltasse le spalle al libro, perché l’autore manca?

Gli acquirenti sono scarsi per ora. Anch’essi mangiano. Il pane dello spirito non basta.

Circondato dalle sue Egerie, l’autore a grande tiratura incappuccia la stilografica d’oro, si stringe alla cintola il vasto pastrano giallo canarino e si avvia per uscir dalla Loggia, passando tra i banchi delle Case Editrici, che non han saputo accaparrarsi il suo nome e ch’egli guarda con commiserazione. Ogni anno è lui che vende il più gran numero di volumi con la firma. Le Egerie gli si stringono ai fianchi, tortoreggiando.

Sulla piazza, attorno al pozzo, le voci stentoree degli imbonitori squillano con la freschezza dell’inizio.

— Tutto a due lire!

— Tre volumi cinque lire!

— Al fallimento dei fallimenti!

— I migliori volumi! I più grandi autori!…

— La vita di Greta Garbo!

— La vita di Casanova!

— Tarzan!

— Il dottor Jeckil!…

— Suora Bianca!…

— La bella Otero!…

E un più forte grido trionfante:

— Il Padrone delle Ferriere!

A cui un altro grido ancor più potente risponde:

— Le due orfanelle!…

Tino Fiamma scuote la bruna chioma leonina dall’alto della persona monumentale e guarda attorno coi suoi spalancati occhi glauchi da bimbo stupefatto. Egli ha la stilografica nera tra le dita e invita i passanti con voce dolce:

— È questo il mio libro che più amo…

E quando ha fatto una firma, intasca con disinvoltura la lira, che gli compete per la generosità del suo editore. Ogni firma una lira e il volume si vende a tre lire. Il fallimento dei fallimenti…

Ore 14

La Fiera è quasi deserta.

Al principio della piazza, l’ultimo banco della fila che prospetta quella che un tempo era la Casa della Ferrata, dopo la Loggia degli Osii, quasi davanti all’arco che sbuca in via degli Orefici, reca una scritta unica: Lega Evangelica Cristiana.

Vendono il Libro dei Libri. La scienza del mondo. L’Antico e il Nuovo Testamento. Dalla Genesi all’Apocalissi. Sessantadue libri in un solo volume.

Tutta la sapienza, la poesia, la scienza, che i diecimila autori sparsi per gli altri banchi hanno attinte senza che lo sappiano da quell’unica fonte universale.

Sono in tre attorno al banco. Un colosso, dal cranio tosato e dal volto di galeotto, sta a sedere dietro di esso e sorveglia. Chi lo vede ha un moto di stupore. La santità e la purezza si sono date convegno in quel corpo in cui manca l’abito a righe, un numero e la palla pesante alla caviglia? C’è da crederlo. La santità dell’Evangelo, certo. Egli è vestito di nero, tiene le braccia conserte, osserva attorno a sé le rare persone che passano, con occhi fiammeggianti.

Presso di lui sta un giovinetto imberbe, dai capelli rosso carota. Il volto femmineo, d’un bianco diafano, è cosparso di lentiggini. Il corpo mal cresciuto è sottile e, quando si muove, sembra disarticolato. Il petto, troppo esile per la lunghezza del tronco e delle gambe, s’incava in profondità. Le lunghe falangi delle sue mani, simili a zampe di ragno, si muovono tra i volumi neri e li dispongono, li allineano, ne fanno castelletti. Egli attende a tale bisogna con concentrazione, stringendo la lingua rossa tra i denti.

Davanti al banco, sul passaggio del pubblico, un altro uomo, che sembra lo spauracchio dei bimbi. Ha il cappello duro a raggera sul cranio, la giacca nera a coda, i pantaloni stretti alle gambe sottili, come quelle d’un trampoliere.

Un naso rosso a clava, una bocca da rana, gli occhi azzurri a succhiello.

Fa da imbonitore, con voce acuta.

— Il Libro dei Libri! Sessantadue libri per dieci lire!… Tutta la scienza del mondo…

Il pubblico è scarso.

Nessuno si avvicina al banco della Lega Evangelica. Dalle nubi sfilacciate cade una spruzzata di grosse gocce, che si disseminano in circoletti umidi sulle pietre della piazza e sopra le copertine multicolori dei libri. Il colosso si è alzato.

— Giobbe, metti il copertone impermeabile. L’uomo dal naso a clava si chiama Giobbe.

Ore 18

Sarà questa l’ora della maggiore affluenza. La domenica è nel cuore degli espositori, ma è la vigilia che reca loro i guadagni maggiori.

Sulla piazza e sotto il loggiato, la folla rigurgita. Guarda, tocca i volumi, chiede con voce timida. Ammira dietro i banchi gli scrittori seduti, che attendono con la penna levata, spiando un moto, un cenno, un’esitazione.

Attorno al banco del Libro dei Libri, s’è formato un crocchio, di continuo rinnovato.

L’uomo dal naso a clava si prodiga in imbonimenti.

Il colosso scruta in volto i compratori, si china a terra e fa tintinnare sulle pietre i pezzi d’argento. Eguale diffidenza lo anima per la fede degli uomini e per la lega delle monete. Egli non accetta monete false, né accoglie fedi vacillanti o menzognere.

Il giovinetto disarticolato sta attento che i libri sul banco sieno sempre allineati e non manchino. Quando la vendita apre dei vuoti egli li colma, traendo di sotto il banco altri volumi. Il banco è lungo. Circondato sul davanti e ai fianchi di tela bianca, forma sotto il piano un vasto ripostiglio, in cui si ammucchiano i pacchi e le casse. Anco lì sotto Giobbe ha deposto il suo leggero pastrano e il colosso il proprio cappello, ché egli vuol stare a cranio nudo davanti al pubblico. Il giovinetto non ha né l’uno né l’altro, mite essendo la temperatura e folta la sua chioma rossa.

Soprattutto le donne fan sosta davanti alla Bibbia.

— Il Libro dei Libri! Sessantadue libri per dieci lire! Il Vecchio e il Nuovo Testamento!

Quando vede che il pubblico è fitto e lo giudica di specie buona, Giobbe fa l’imbonimento più lungo e più impressionante.

— Questi sono gli statuti e le leggi che voi osserverete, per metterli in opera, ha detto il Signore. E come potreste vivere senza conoscere questi statuti e queste leggi? La sua dottrina stilla come pioggia e il suo ragionamento cola come rugiada… imperciocché egli magnifica il Nome del Signore!…

Qualcuno acquista il Libro dei Libri e i più arditi, nel pagare, insinuano:

— Gli altri Editori praticano il dieci per cento di sconto, non potreste far nove lire?

Ore 18 e 28

Giobbe improvvisamente tace. Ha veduto tra la gente ferma dinanzi al banco un uomo, che gli ha fatto un segno di saluto e adesso lo fissa.

— Beniamino, Beniamino! – mormora con strana voce, chinandosi sulle Bibbie.

Il colosso lo guarda.

— Che c’è, Giobbe?

— Mi assento per qualche minuto. Fa’ attenzione!

— Uhm! – grugnisce il colosso e comanda al giovinetto: – Bertrando, va’ a prendere il posto di Giobbe.

Bertrando, quando si trova davanti al pubblico, non sa dove metter le mani che fino allora avevano rimosso e disposto in bell’ordine i libri rilegati in tela nera e manda voci da galletto, per richiamar l’attenzione.

Giobbe scompare tra la folla.

L’uomo, che lo ha salutato, gli si è messo al fianco ed entrambi si allontanano, sotto l’arco, per via degli Orefici.

— Jeremiah Shanahan – dice l’uomo – tu non credevi che io ti ritrovassi!

— Perché dici questo, Crestansen? Io non temevo il tuo incontro!

L’altro sogghigna con sarcasmo.

— Il mondo è piccolo! Come vedi, dall’America sono venuto a Milano.

— Sì, Crestansen!

Giobbe, a cui Crestansen ha dato il nome di Jeremiah Shanahan, cammina ancora un poco verso Piazza Cordusio, poi si ferma.

— Occorre che io torni al nostro banco, Crestansen. Può venire il Pastore! E ad ogni modo, Beniamino e Bertrando non bastano da soli.

Una cattiva luce si accende negli occhi del danese, che ha il volto rostrato, la mascella quadra, è alto e robusto e si muove con pesantezza gagliarda.

— Perché ti chiamano Giobbe, Jeremiah Shanahan? So che ti danno questo nome.

— Non mi chiamo più Jeremiah Shanahan, da quando mi trovo in Italia. Il mio nome oggi è Giobbe Tuama… un nome altrettanto diffuso tra gli irlandesi…

— Capisco! Ma tu sei americano, come me!…

Sempre più gli occhi di Crestansen brillano di luce cattiva.

— Non devi sperare di sfuggirmi, anche cambiando nome. Sono venuto per fare i conti di tutto, Jeremiah!

L’uomo dal naso a clava ha i pomelli accesi, le labbra aride, tenta inghiottire la saliva e il pomo di Adamo gli si alza e gli si abbassa con un movimento doloroso.

— Non spero nulla!… Ma adesso bisogna che mi lasci andare, Crestansen! Ci rivedremo…

— Quando?

— Domani… No, neppure domani… C’è Fiera per tutto il giorno… Diciamo lunedì…

— Tardi! Non ti do il tempo di sfuggirmi ancora. Bisogna che parliamo questa sera stessa e che tutto sia finito prima dell’alba. Sono trent’anni che ti cerco!

— Fino a mezzanotte debbo stare al banco, a vendere…

— Ipocrita! – mastica fra i denti il danese. – Adesso, credi nel Signore Iddio!… E vendi le Sacre Bibbie!… Sta bene. Sarò sulla piazza a mezzanotte. A quell’ora potrai condurmi a casa tua, per parlare. Non cercare di sfuggirmi, vecchio ladro, perché l’avrai a fare con me. Se la forca ti ha risparmiato, non ti risparmieranno le mie mani!…

E le mostra, ossute, enormi, mani da strangolatore. Giobbe ritorna al suo banco. È più curvo. Il cappello abbassato sulla fronte. Le mani dietro la schiena.

Il Libro dei Libri! Sessantadue libri per dieci lire!… Ma la voce di Giobbe Tuama è roca e flebile.

Ore 19 e 30

I visitatori si diradano con rapidità. Si avvicina l’ora del pranzo serale.

Tino Fiamma è sempre davanti al suo banco, con la stilografica pronta e il sorriso invitante.

— Lo creda, signora! È il mio libro, che più amo…

E scrive la dedica in fretta, per tema che la compratrice gli sfugga.

Poi si volge a parlare a bassa voce con l’amico, che gli è accanto.

— Hai fatto?

— Nulla! Ho insistito in ogni modo. Non ti vuol dare neppure più una lira. Dice che non ti rinnoverà neanche la cambiale di fine mese. È stanco…

— Posso dedicarle il mio libro? Gli iconoclasti è il libro che più amo, perché è vissuto… No! – e alza le spalle, con una smorfia di disgusto. – Non c’è più niente da fare, oramai! Per un paio d’ore non si vende… Dicevi? Vecchio usuraio!

Dà un’occhiata velenosa verso il banco vicino, dinanzi al quale Giobbe Tuama grida ancora con la sua voce stridente:

— Il Libro dei Libri… Sessantadue…

— Aspettami. Gli vado a parlare io.

Tino Fiamma esce dall’interno del banco, si mette le mani in tasca e s’avvia. I neri capelli gli fanno una soffice aureola attorno al capo; il volto grassoccio, illuminato dai grandi occhi glauchi, è tutto un sorriso. Stringe le labbra carnose e fa la bocca a cucire, sotto il naso troppo piccolo, ridicolmente piccolo in mezzo al volto rotondo.

— Tuama, mi permettete una parola? Giobbe lo guarda.

— Niente, signor Fiamma! L’ho già detto al vostro amico. Non dò un centesimo! Mi dovete più di tremila lire, che ho avuto la dabbenaggine di prestarvi, quando non vi conoscevo come vi conosco ora! Neppure un soldo. E, se non pagate a fine mese, vado sino in fondo…

E si allontana, ricominciando a gridare:

— Il Libro dei Libri!…

Tino Fiamma sorride sempre. Fa qualche passo per seguire il vecchio. Nulla in lui rivela lo stato di sorda agitazione, che lo sconvolge.

Sta di nuovo alle spalle di Giobbe e tende la mano, per afferrargli un braccio.

In quel momento sorge tra loro una vecchia signora vestita di nero, con un cappellino scintillante di lustrini.

— Una Bibbia!

Giobbe vede la donna, guarda Tino Fiamma e mormora qualche parola incomprensibile. È pallidissimo. Esangue. Sembra stia per mancare.

— Una Bibbia! – ripete con forza la signora, fissando l’uomo del Libro dei Libri. – Non fa il venditore di Bibbie, lei?…

Giobbe tende la mano sul banco, afferra un volume, lo porge.

— Ecco!

La donna trae il portamonete dalla profondità di una gonfia borsa nera.

— Dieci lire?

— Sì…

La moneta d’argento, battuta da Beniamino sulle pietre del lastricato, tinnisce, mentre la signora si allontana lentamente, stringendo la Bibbia contro il petto.

— Ascoltatemi, Tuama!

— Niente!… Puah!…

E il vecchio gira rapido attorno al banco, mormora una frase di saluto al colosso, si dirige verso l’arco di via Orefici, quasi correndo.

Tino Fiamma ritorna al suo banco, dove l’amico lo aspetta.

— Se non cambia idea stasera, sono rovinato!

E sorride.

— Posso dedicarle un mio libro?…

Ore 23 e 30

C’è stata grande affluenza per tutta la serata. I banchi hanno venduto. Il diagramma è salito. Se la giornata festiva che sta per seguire sarà come il sabato fortunato che muore, la Fiera di quest’anno segnerà il più grande successo. I bollettini dell’Alleanza del Libro recheranno cifre sbalorditive.

Ma oramai, il pubblico comincia a scemare. Tendoni di tela impermeabile vengono gettati sulle cataste dei libri e poi fermati a piede dei banchi con solide corde. Quella merce preziosa, milioni e milioni di parole impresse, rimarrà per tutta la notte sotto il cielo, senz’altra vigilanza che quella di un paio di guardie notturne, messe a passeggiar per la piazza e sulla Loggia.

Anche il banco del Libro dei Libri ha fatto la sua toletta notturna. L’ercole ha tratto dalla profondità del sottobanco il cappello di feltro grigio tortora e se l’è messo sul capo. Attende i suoi due compagni per andarsene.

— Giobbe, Bertrando, andiamo. Domattina alle otto dobbiamo trovarci di nuovo qui.

Beniamino ha tra le mani il sacchetto del denaro. Buon raccolto per la Lega Evangelica e buona semina! Sessantadue libri per dieci lire. Ogni volume nero che ha esulato dal banco, ha fatto entrar nel sacchetto un pezzo d’argento sonoro. Quel che più conta, però, è ch’esso sia andato a portare il verbo di Dio in una casa cristiana. La pura dottrina dell’Evangelio creerà nuovi proseliti.

— Domattina, andate voi, Giobbe, a versare il denaro nelle mani del Pastore prima di venir qui – e Beniamino depone il sacchetto fra le mani di Giobbe.

— Sta bene, Beniamino.

Giobbe lancia attorno per la piazza sguardi ansiosi. Cerca. Come mai ancora non vede il volto rostrato dell’implacabile Crestansen? Se potesse sfuggirgli! Non lo spera, neanche. Il danese, come un mastino tenace, non lascerà presa. Egli non può avere speranza alcuna di sfuggirgli. Il suo amico è venuto dall’America per trovarlo. Chi potrà avergli indicato la pista? È dal pomeriggio che Giobbe s’è posto questo problema e non riesce a risolverlo. Già un’altra persona – egualmente pericolosa per lui, che si chiama davvero Jeremiah Shanahan – ha scovato il suo rifugio. Egli lo sa dal giorno prima. Ha tentato sfuggirle; è persino salito sulla carrozzetta delle capre, al giardino pubblico, per evitarne l’incontro e per impedirle di accostarglisi! Ma Crestansen, lui, non lascerà presa.

— Vattene pure con Bertrando, Beniamino. Io mi attarderò ancora un poco. Intanto la mia strada è diversa dalla tua…

— Buona notte, Giobbe!

— Buona notte!

Il colosso e il giovinetto si allontanano.

Giobbe trae di sotto il tendone, che copre ed infascia il banco, il soprabito e lentamente lo indossa. Ancora sosta ad attendere. Nelle mani ha il sacchetto delle monete.

La piazza e il loggiato cominciano a farsi deserti. Le lampadine dei banchi sono spente. La piazza è illuminata soltanto dalla luce delle lampade ad arco di via Mercanti. Angoli d’oscurità spessa si formano dovunque. Il pozzo allunga la sua ombra contro il palazzo dei Giureconsulti.

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