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VI.

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Il famoso baquet di Mesmer era una tinozza come lo dice il nome, ossia un mastello alto poco più di mezzo metro fatto di legno di quercia. Nel fondo vi erano dei buchi che comunicavano con una cassa sottostante, come se la tinozza avesse un doppio fondo. Da questi buchi uscivano delle spranghe di ferro piegate ad angolo retto in modo che potevano girare.

I malati si mettevano attorno a questo mastello in parecchi ordini, e ciascuno teneva la spranga di ferro rivolta verso la parte malata. Una corda era tirata intorno al corpo degli astanti per riunirli. Qualche volta si faceva una seconda catena colle braccia e per stringersi meglio si stendevano le mani l'uno all'altro afferrandosi reciprocamente il pollice e l'indice.

Un pianoforte messo in un angolo della sala suonava, e spesso accompagnava il canto di una voce melodiosa.

Mesmer aveva parecchi medici che lo aiutavano, perchè quando la sala era affollata non bastava da solo.

Questi, dice la cronaca, erano scelti da Mesmer tra i più giovani e i più belli dei suoi discepoli. Gli ammalati erano già disposti in circolo intorno al baquet, quando cominciava la seduta di magnetismo. Mesmer si presentava nella sala vestito di seta color lilla. I medici tenevano in mano una bacchetta di ferro, e toccavano gli ammalati sulla faccia dietro la testa e sulla parte malata. Facevano dei cenni e talora palpavano colle dita. La cosa più importante, diceva Mesmer, era di saper dirigere bene i poli magnetici; senza di ciò non potevasi ottenere alcun effetto.

Quando l'azione della bacchetta di ferro e il contatto colle dita e i passi magnetici non bastavano, si aggiungeva l'effetto psichico di uno sguardo intenso, e colle mani si premeva dolcemente l'addome. Se questo non bastava a provocare una crisi, Mesmer prendeva un contegno assai più intimo ed energico. Si sedeva davanti alla malata e stringeva le gambe e i ginocchi della paziente tra le sue gambe e le sue ginocchia, le applicava le mani sul basso ventre e quanto più era possibile nella direzione dell'ovaia, e scorreva palpando sulle parti più sensibili del corpo, mentre gli occhi ardentemente fissi in quelli della malata andavano avvicinandosi fino a che le bocche quasi si toccavano.

Conferenze tenute a Firenze nel 1896

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