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III.
Rivoluzione nell'89.
ОглавлениеDopo queste premesse è facile comprendere perchè io opini che quella dell'89 fu una rivolta più che una rivoluzione. Certo la Francia aveva avuti ed avea momenti infelicissimi. Le carestie così ripetute e continuate che affermasi nel 1715 un terzo della plebe sia morta letteralmente di fame, e nel 1725 in Normandia si viveva dell'erba dei campi (Taine, pag. 431); e ai tempi di Fleury il paesano nascondeva il poco pane e il poco vino, per paura delle tasse, sicuro d'essere perduto se poteva credersi che egli non morisse di fame; e Massillon dice che i negri delle colonie soffrivano meno dei francesi plebei che si gettavano famelici sugli avanzi dei pranzi degli ufficiali.
La causa del maggior malessere era che tutto gravava sul popolo e i minimi proprietari, in ragione di 54 e perfino di 71 di tasse per 100 di rendita.
E giustamente nota Taine, che quando un uomo è misero si irrita, ma che quando è misero e proprietario, si irrita ancor più. Si può rassegnarsi all'indigenza, non allo spoglio.
E con tante perdite nessun compenso. La borghesia e il popolo minuto non erano calcolati, come non esistessero nello Stato. La nobiltà, il clero che pur contavano tutto, a lor volta avevano ogni attività paralizzata dall'accentramento monarchico, cosicchè non avevano nemmeno la potestà e i mezzi di proteggere il popolo che a loro un secolo prima affidandosi, aveva imparato, per gratitudine, ad amarli. La nobiltà, dice Taine, era uno stato maggiore in vacanza intorno ad un generale che invece di comandare teneva un salon. Il suo merito consisteva unicamente nell'etichetta di corte; i suoi privilegi non erano che quelli della prepotenza, non ultima delle cause della fame essendo, per esempio, i suoi diritti di caccia, per cui intere lande restavan deserte, e per cui se anche coltivate venivano invase dalle predilette fiere, che era delitto respingere colle armi.
Il monarca, dopo aver accentrato tutto, anche avesse voluto, non poteva provvedere ai mali, di cui del resto poco curavasi; la Francia era un suo dominio; se anche lo dissipava non era che roba sua; se faceva una guerra era per proprio puntiglio o per suo interesse; lo sperpero toccava il fantastico: la cameriera della regina spendeva 30.000 lire in candele; il capitano di caccia 20.000 lire in colombi. Vi erano a corte 295 ufficiali di bocca (noi li chiameremo cuochi), 75 cappellani, 48 medici e farmacisti, 45 lettori. Ogni principe aveva analoga corte speciale. L'alto clero che si trattava come i principi, non aveva altra missione che la persecuzione e l'arricchirsi; ancora nel 1716 i protestanti erano mandati in galera se si radunavano e i pastori appiccati.
Ma questi malanni che davvero avrebbero giustificato qualunque reazione, cominciavano a medicarsi radicalmente pel consenso stesso di quelli che più ne aveano colpa.
In grazia degli Enciclopedisti che avevano reso l'amor della libertà, una moda, un delirio epidemico, i nobili che accoglievano i letterati come loro superiori, a Berry avevano dichiarato doversi le imposte ripartire fra tutte le classi; avevano rinunciato spontanei a quasi tutti i privilegi. Nel '79 avevano perfino abbandonato le mode costose, e vestivano come i borghesi. Il re aveva soppresso le corvées, istituita la libera circolazione dei grani, reso lo stato civile ai protestanti, data libertà di stampa, nell'84 aveva soccorso con 3 milioni del proprio gli affamati. Alla Bastiglia nell'89 non vi erano più che sette individui di cui uno idiota. E chi di noi non ha sentito Il Tartufo e il Matrimonio di Figaro senza meravigliarsi che queste commedie fossero non solo tollerate, ma recitate davanti alla corte, al clero e a quella nobiltà, che criticavano così atrocemente? Noi crediamo di essere un popolo libero; ma mettiamoci la mano sul petto, confessiamo sinceramente: in quale città nostra si permetterebbe una commedia in cui ai magistrati pubblicamente si dicesse “senza il tocco e la toga noi non valiamo più niente„ e ai nobili “tutto ci è permesso, perchè abbiamo fatta la fatica di nascere„. Credo non andar errato nel supporre che si troverebbero non pochi magistrati pronti a condannarne gli autori per diffamazione, grazie alla famosa o meglio infame legge Zanardelli, o per eccitamento all'odio contro le classi sociali, e cittadini pronti se ei già non fossero da secoli morti, a mandarli per qualche mese a domicilio coatto. Libertà latina!
Ora le riforme esagerate dell'89, improvvisate colle stragi e in mezzo alle stragi, dalla prepotenza di pochi, provocando una naturale reazione, per la stessa loro eccessività, impedirono quella evoluzione lenta e feconda che si andava manifestando in tutte le classi.
Un centinaio di sconosciuti installati al municipio con un colpo di mano notturno rovesciano uno dei poteri dello Stato, soggiogano l'altro; sostenuti da 8 o 9 mila fanatici pervertono il corso della giustizia, impongono all'assemblea i loro capricci, che diventano leggi. Si appropriano dei tesori, a pagamento dei loro delitti. Per poter rimanere al Governo non hanno che la minaccia e l'audacia.
Chiudono tutte le porte, chiudono Parigi come in una grande trappola. Arrestano 3000 persone, giovani, vecchi, malati, e quando l'assemblea lor s'oppone risolvono il grande macello del settembre, e Marat che sarebbe il Drumont d'allora più la pazzia, e meno la disonestà, diventa il loro dittatore supremo.
La stessa dichiarazione dei Diritti dell'Uomo che parve e fu veramente la più bella delle manifestazioni di quell'epoca fu contraddetta nei giorni stessi in cui si emanava e da coloro che la dettavano. Mentre proclamavano che nessuno sarebbe stato condannato senza una sentenza di tribunale, essi lasciavano scannare, anzi colle proprie mani scannavano, centinaia di detenuti, auspice e complice lo stesso ministro della giustizia Danton. Mentre proclaman la libertà del pensiero, fanno ghigliottinare, auspice Robespierre, chi ricusava di adorare il loro Ente supremo. Mentre predicavano il rispetto per l'indipendenza dei popoli, avvertono il Bonaparte che sfrutti pure il Milanese, offa per l'Austria.[3]
E nella provincia Narbonne affamava Tolone; Roussillan rifiutava di soccorrere la Linguadoca; Tolone, e più tardi Marsiglia e Lione, si ribellavano; a Montauban i cattolici facevano strage dei protestanti e viceversa. Nè ritrovarono la pristina forza ed unità, finchè non caddero in braccio a quella dittatura militare che anche quando si copre di gloria nei campi di battaglia è il peggiore di tutti i governi, e non può convenire che a un popolo ed a un'epoca barbara. Ciò basta a dimostrarvi che l'89 fu un grave delitto politico, poichè senza migliorare le sorti della nazione, anzi peggiorandole, le fece soffrire dei parossismi così dolorosi e feroci; e per poco non ne mise l'esistenza in pericolo.