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CAPITOLO SETTE

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Jessie era sorpresa dal proprio nervosismo.

Andava raramente al secondo piano della centrale, che veniva usato per lo più come archivio e per gli uffici amministrativi. In effetti, mentre percorreva il lungo corridoio, non incontrò anima viva.

Si fermò davanti alla porta del piccolo ufficio contrassegnato con la semplice targa ‘G. Moses’ e bussò timidamente. Sentì un movimento di carte all’interno e poi quello che sembrava lo scricchiolio di vecchie ginocchia che si stendevano. Il rumore le fece scorrere un brivido lungo la schiena. Un secondo dopo, Garland Moses aprì la porta.

“Ho perso,” disse con la sua familiare voce roca quando la vide.

“Perso che cosa?” chiese Jessie sentendo la pressione sanguigna che improvvisamente aumentava.

“Avevo fatto una scommessa contro me stesso se saresti venuta a tormentarmi per la prima volta prima o dopo mezzogiorno. Sono le undici e cinquantasei, quindi ho perso. Devo a me stesso dieci dollari.”

Jessie fu sollevata che la stesse solo prendendo in giro, permettendole un momento di respiro prima di rispondergli.

“Beh, speriamo che tu sia veloce a pagare. Ho sentito che i tuoi metodi di riscossione debiti sono piuttosto rudi.”

“Non puoi neanche immaginare,” le disse Garland, rivolgendole qualcosa di molto simile a un sorriso. “Diciamo solo che c’è coinvolto anche l’utilizzo forzato di Metamucil.”

“Carino,” commentò Jessie con una risatina. “Quindi, per quanto dovrò ancora parlare educatamente della tua consueta routine prima di poter ricevere aggiornamenti sulla situazione?”

Garland fece un altro mezzo sorriso. Sembrava essere diventata un’abitudine.

“Entra,” le disse, spostandosi di lato.

Jessie fece un passo nell’ufficio prima di rendersi conto di non poterne fare uno di più senza andare a sbattere contro la sua scrivania.

“Pensavo che la gente parlasse con sarcasmo, ma questo era realmente uno sgabuzzino, vero?”

“Non mi serve un sacco di spazio,” le rispose, chiudendo la porta e passandole accanto per andare a prendere posto nella sedia dall’altra parte del piccolo tavolo. Oltre a questo, c’era una sola sedia per gli ospiti, una lampada da scrivania e un piccolo schedario. Per il resto la stanza era vuota.

“Immagino che tu non venga mai sommerso dalle carte, dato che ti assumi solo pochi casi all’anno.”

“Mi è sempre piaciuto ridurre al minimo le scartoffie, anche quando lavoravo a pieno regime. Una scrivania intasata corrisponde a una mente intasata.”

“Confucio?” gli chiese Jessie scherzosa.

“No, Moses, ma non quello della Bibbia,” le rispose. Prima che lei potesse ribattere, proseguì. “Passiamo quindi al tuo caso.”

“Sì?”

“Non ho niente.

“Cosa?” gli chiese lei incredula.

Lui parve indifferente davanti alla sua reazione.

“La verità è che non ci ho ancora neanche provato.”

“Perché no?” chiese Jessie.

“Pensaci, Hunt,” le disse con pazienza. “Non è che posso andare così all’ufficio locale dell’FBI, farci un giretto dentro e chiedere agli agenti incaricati come stanno andando le loro indagini, soprattutto non lo stesso giorno in cui la profiler più collegata a Crutchfield torna al lavoro. Quello che sto facendo apparirebbe ovvio. Chiuderebbero le serrande. Tu finiresti nei guai. E io perderei il mio status ufficiale di ‘celeberrimo ed emerito’. Non va mica bene.”

“Lo fai sembrare impossibile,” protestò Jessie. “Indipendentemente da come li approcci, sarebbero comunque in guardia.”

“Non necessariamente, soprattutto se capita che mi stia godendo il pranzo in un posto che so essere frequentato da loro. E se loro si siedono con me per la questione del ‘celeberrimo ed emerito’, magari poi si mettono a parlare. Magari vogliono fare colpo sul vecchio e spifferano un po’ di più di quanto dovrebbero. Magari io sembro disinteressato e loro mi dicono ancora di più, giusto per dar prova della loro tempra. Alla gente piace fare così quando mi sta attorno.”

“Per il tuo status di ‘celeberrimo ed emerito’,” ripeté Jessie.

“Ora stai iniziando a capire,” le disse. “Ma nessuno mi dirà una parola se salto fuori e chiedo direttamente. Sono agenti dell’FBI, non bambini di seconda elementare.”

“Quindi perché non sei andato a pranzo?” insistette Jessie.

“Perché loro non vanno mai in questo posto prima dell’una. Per questo ho chiamato il proprietario e gli ho detto di tenermi un tavolo per le dodici e quarantacinque. Un tavolino in fondo, con un po’ di privacy e spazio per tre persone.”

“L’hai già fatto?”

“Sì.”

“Scusa,” disse Jessie, sinceramente impressionata. “Non avrei dovuto saltarti alla gola così. È solo che Hannah è là fuori e Dio solo sa cosa le sta capitando. Ti ho visto qui tranquillo e mi sono infervorata. Non avrei dovuto dare niente per scontato.”

“Lo apprezzo, Hunt. E non biasimarti. Con un vecchio come me, ti si può perdonare per aver pensato che mi sia dimenticato della nostra chiacchierata di questa mattina. Ma posso darti un piccolo consiglio?”

“Certo,” gli disse lei.

“Devi allentare un po’ la presa.”

Jessie annuì.

“È davvero dura per me,” ammise.

“Capisco,” le rispose. “Sono stato così io stesso a lungo. Ma il fatto è che con quello che facciamo ci sarà sempre qualche pazzo là fuori. Ci sarà sempre una vittima in pericolo. Ci sarà sempre un orologio che scandisce il tempo. Ma se tu tieni il piede schiacciato sull’acceleratore per tutto il tempo, vai a sbattere. È inevitabile. E poi non vali più niente.”

Jessie annuì. Tutto quello che stava dicendo aveva senso. Prima che potesse confermarglielo, lui continuò.

“So che non è facile, soprattutto adesso, quando la persona a rischio è la tua sorellastra. Ma a volte devi premere il freno. Devi trovare un qualche equilibrio nella tua vita. Altrimenti ti bruci. E persone che avresti potuto salvare moriranno. Non sto dicendo che non devi lavorare sodo. E non sto dicendo che dovresti fregartene. Ma devi trovare quella linea dove puoi fare questo lavoro ed essere comunque un essere umano funzionante. Altrimenti sarai infelice. Sai cosa intendo dire?”

Jessie si sentiva come se non avesse mai capito niente in modo migliore di così in vita sua.

“Sì,” si limitò a dire.

“Bene,” le rispose lui. “Allora sparisci dal mio ufficio. Devo fare un pisolino prima di pranzo.”

E con quelle parole di saggezza ancora nelle orecchie, Jessie lo lasciò al suo riposo.

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