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CAPITOLO TRE

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Jessie si teneva con tutte le sue forze alla maniglia dell’auto.

Ryan aveva acceso la sirena e stava sfrecciando tra le strade del centro, prendendo ogni svolta in modo brusco. A quanto pareva i media erano già stati informati del ritrovamento di un cadavere in un elegante hotel e fuori si stava già formando un discreto affollamento. Ryan voleva arrivare sul posto prima che la scena si facesse troppo caotica.

Jessie era tacitamente riconoscente di essersi accontentata di un toast per colazione, mentre veniva sballottata all’interno dell’auto. Nonostante fosse del tutto scombussolata, una cosa era fissa e chiara nella sua mente: Garland Moses aveva detto di sì.

Questo significava che, se si fosse sforzata di sfruttare al meglio il suo coinvolgimento, non avrebbe dovuto passare ogni momento libero del proprio tempo a dare di matto per la scomparsa di Hannah. Ora c’era qualcuno che se ne occupava e di cui lei si fidava, qualcuno che era certa l’avrebbe effettivamente aggiornata sullo stato del caso. Per mantenere la lucidità mentale, avrebbe dovuto affidarvisi e non fissarsi su quei pensieri ogni singolo secondo.

Cosa altrettanto importante, se intendeva rivelarsi utile in questo caso Bonaventure, o in qualsiasi altro caso futuro, doveva mantenere la mente sgombra. Lo doveva a chiunque fosse la vittima di omicidio in quella stanza d’albergo, doveva essere in grado di fornire la sua analisi più valida e ordinata. Come se le stesse leggendo nel pensiero, Ryan prese la parola.

“Non è stata una mia idea.”

“Cosa intendi dire?” gli chiese.

“Avevo pensato che potessi tornare con calma al lavoro con almeno uno o due giorni di noiose scartoffie da riordinare. Ma il capitano Decker ha insistito per mandarti fuori.”

“Non è da lui,” sottolineò Jessie.

“Normalmente no,” confermò Ryan. “Ma è stato piuttosto esplicito sull’idea di volerti assegnare un caso per tenerti occupata. Non vuole assolutamente che ti avvicini al caso Dorsey, e ha pensato che il modo migliore per evitarlo fosse di teneri occupata.”

“Ha detto così?” chiese Jessie.

“Praticamente. In effetti, penso volesse che ti passassi questo messaggio, una sorta di avvertimento.”

“Ok, ne ho preso nota,” disse Jessie, inizialmente dibattuta se raccontare a Ryan del suo incontro con Garland Moses.

Ryan sapeva che Hannah era la sua sorellastra, ma non conosceva molti altri dettagli. E poi lei non lo aveva informato su chi aveva appena incontrato e del perché. Sembrava dare per scontato che si fosse vista con Kat Gentry, e lei non aveva corretto la sua supposizione. Jessie era preoccupata che più Ryan sapeva sui suoi sforzi di avere dettagli sul caso di Hannah, e più si sarebbe trovato in una posizione vulnerabile professionalmente. Non voleva che fosse costretto a mentire al loro capo per il suo bene, se la questione fosse saltata fuori.

Poi, però, tenerlo all’oscuro le sembrava una sorta di tradimento. Si voltò a guardare Ryan Hernandez, un paio d’anni più di lei, e si chiese tacitamente se glielo dovesse. Dopotutto, anche se lui era un detective e lei era una profiler, lavoravano insieme alla maggior parte dei casi e si frequentavano informalmente, anche se la cosa non era ufficiale.

Oltre a questo, nel corso degli ultimi due anni, la loro relazione era evoluta da puramente professionale a professionalmente amichevole, diventando sincera amicizia e ora qualcos’altro. La moglie di Ryan aveva richiesto il divorzio qualche mese prima, dopo sei anni di matrimonio, e dopo qualche piroetta verbale, Ryan aveva recentemente confessato a Jessie di essere interessato a lei in un senso che andava oltre la collaborazione lavorativa.

Lei provava gli stessi sentimenti da un po’ di tempo, ma non aveva mai preso l’iniziativa. Lo trovava attraente da quanto l’aveva visto la prima volta, quando aveva fatto da insegnante per una lezione che lei aveva frequentato. Questo era successo ancor prima che lei venisse a sapere del suo impressionante curriculum in qualità di detective con un’unità di élite della divisione omicidi con scasso del LAPD, che si chiamava Sezione Speciale Omicidi, o HSS. L’HSS si occupava di casi di omicidio con alti profili o intenso scrutinio mediatico, dove erano spesso coinvolte diverse vittime o serial killer.

Tutto questo non faceva che migliorare ancora di più la figura che già presentava. Ryan era alto un metro e ottantacinque per novanta chili di muscoli ben delineati. Eppure, sotto i capelli neri corti, i suoi occhi castani emanavano un inaspettato calore.

Ora, da soli con le loro montagne di bagaglio personale a impedire loro di fare il passo successivo, si stavano lentamente conoscendo ed esplorando a vicenda. C’era stato un bacio, ma niente di più. A essere onesti, Jessie non era sicura che nessuno di loro due fosse pronto per qualcosa di più.

“Dimmi del caso,” gli disse, decidendo di trattenersi e non raccontargli del suo incontro con Garland, almeno per ora.

“Non so ancora molto,” le rispose Ryan. “Il corpo è stato trovato da una cameriera al piano da circa un’ora: un uomo sulla quarantina. Nudo. Portafoglio vuoto, nessuna identificazione, né carte di credito o contanti. L’iniziale causa della morte sembra essere lo strangolamento.”

“Non possono identificarlo controllando chi ha prenotato la camera?”

“Anche questo è un po’ strano. A quanto pare la carta che è stata usata per fissare la camera è registrata a nome di una società di facciata. E il nome nel registro è John Smith. Sono sicuro che risulterà inesistente, ma per il momento ci stiamo occupando di un John Doe qualsiasi.”

Arrivarono all’enorme Hotel Bonaventure, con le sue numerose torri e i famosi ascensori esterni, quelli resi famosi dal film Nel centro del mirino. Ryan mostrò il suo badge per oltrepassare il blocco della polizia e accostò accanto alla zona di scarico merci.

Un agente li accolse e li accompagnò all’ascensore, quindi da lì all’ampia lobby. Mentre la attraversavano per andare al blocco di ascensori principale, Jessie non poté fare a meno di sentirsi sopraffatta dalle dimensioni e dal numero di atri e intricati corridoi e scale. Era come se quel posto fosse stato progettato apposta per creare confusione.

Jessie seguiva Ryan e l’agente, prendendosi il suo tempo, permettendo alle implicazioni della mattina di dissiparsi dalla sua mente mentre si concentrava sul compito che aveva ora per mano. Il suo lavoro era di dare un profilo del crimine, di determinare potenziali colpevoli. E questo significava avere piena consapevolezza dell’ambiente in cui il crimine aveva avuto luogo, non solo della camera da letto, ma anche dell’hotel nel suo complesso. Non poteva ignorare nulla.

Passarono accanto a un gruppo di turisti che si stavano dirigendo verso una delle uscite, vestiti in modo da suggerire che la loro destinazione fosse un parco divertimenti.  Subito dietro di loro, all’interno di una zona bar circolare chiamata Lobby Court, diversi uomini eleganti stavano già iniziando a bere. Qualcun altro girovagava qua e là. Alcuni portavano degli auricolari, evidentemente personale addetto alla sicurezza. Jessie non riusciva a decidersi se stessero intenzionalmente tentando di essere discreti o se volessero solo dare quell’idea di facciata.

Quando furono davanti agli ascensori, uno di loro li raggiunse e aspettò in silenzio l’apertura delle porte.

“Come va la mattinata?” chiese Jessie con voce cinguettante, incapace di trattare l’uomo con la solennità che chiaramente avrebbe richiesto.

Lui annuì ma non disse nulla.

“Stai finendo il turno o lo inizia ora?” insistette lei facendosi più severa, scocciata dalla mancanza di risposta.

Lui la guardò, poi spostò lo sguardo su Ryan che lo fissava con freddezza. Poi rispose con riluttanza: “Ho iniziato alle sei. Siamo stati chiamati dal servizio in camera alle sette.”

“Come mai le cameriere sono entrate in camera così presto?” chiese Jessie. “C’era una richiesta di pulizia appesa alla porta?”

“La donna ha detto che dalla stanza veniva uno strano odore.”

Jessie guardò verso Ryan, che aveva un’espressione rassegnata.

“Mi pare un modo divertente di cominciare la mattinata,” disse, leggendogli nel pensiero.

L’ascensore arrivò e loro vi entrarono. La guardia li accompagnò al quattordicesimo piano. Quando le porte si aprirono, Jessie non poté evitare di meravigliarsi della veduta. L’ascensore si affacciava sulle Hollywood Hills, e in questa mattinata piuttosto limpida, l’insegna bianca di Hollywood luccicava ammiccando verso di loro. Sembrava tanto vicina da poterla toccare. Accanto ad essa era arroccato l’Osservatorio di Griffith Park, in cima a una collina del parco. La zona circostante era cosparsa di numerosi studi cinematografici, come anche migliaia di veicoli che scorrevano lungo le strade già intasate dal traffico.

Un leggero tintinnio la riportò al momento presente e Jessie uscì dall’ascensore, seguendo la guardia e Ryan fino alla fine del corridoio. Erano a metà strada quando Jessie percepì una folata di quello che doveva aver colto l’attenzione della cameriera.

Era l’odore dei gas batterici putridi emanati dal corpo della vittima e che fuoriuscivano, spesso accompagnati da liquidi altrettanto maleodoranti. Anche se era sempre spiacevole, Jessie ci si era in qualche modo abituata. Dubitava che una cameriera potesse sentirsi altrettanto a proprio agio.

Un agente che aspettava fuori dalla stanza riconobbe Ryan e porse a lui e Jessie dei copri-scarpe di plastica alzando poi il nastro di delimitazione per farli entrare. Con soddisfazione di Jessie, l’agente non permise l’accesso alla guardia dell’hotel.

Una volta all’interno, Jessie si fermò sulla porta e osservò la scena. C’erano diversi tecnici della scena del crimine che scattavano foto e raccoglievano impronte digitali. Diversi segni sulla moquette erano stati notati e contrassegnati con dei numeri.

Il corpo giaceva sul letto, nudo, gonfio e scoperto. La prima descrizione della vittima appariva accurata. Sembrava un uomo sulla quarantina. Quando Jessie si avvicinò, capì che era stato effettivamente strangolato. Sul collo aveva segni violacei lasciati dalle dita, anche se non si notavano evidenti tagli o graffi che indicassero delle unghie conficcate.

L’uomo era in buona forma fisica se si ignorava il gonfiore. Era chiaramente ben curato, con unghie recentemente tagliate, un trapianto di capelli che era stato eseguito in maniera impeccabile per donargli una spruzzata di grigio in mezzo ai capelli neri, oltre a delle iniezioni di Botox sapientemente eseguite attorno a occhi, bocca e fronte.

I calzini, ora tesi per l’eccesso di fluidi raccolti alle caviglie, gli pendevano mestamente dai piedi. Le scarpe erano posate al lato del letto. I suoi vestiti, che includevano un abito dall’aspetto costoso, un paio di boxer e una maglietta, si trovavano ordinatamente piegati su una sedia vicino alla scrivania.

Nella stanza non c’erano ovvi effetti personali: nessuna valigia, niente abiti in più, nessun orologio od occhiali accanto al letto. Diede un’occhiata nel bagno e vide la stessa situazione lì: nessun oggetto per la toletta, nessun asciugamano usato, niente che suggerisse che l’uomo avesse trascorso molto tempo nella camera.

“Cellulare?” chiese Ryan all’agente che stava nell’angolo.

“L’abbiamo trovato nel cestino,” gli rispose l’investigatore della scena del crimine. “Era rotto, ma il team tecnico pensa sia recuperabile. La SIM era ancora dentro. L’hanno portato al laboratorio.”

“Portafoglio?” chiese Ryan.

“Era sul pavimento vicino al letto,” disse l’investigatore. “Ma era stato ripulito. Quasi ogni cosa potenzialmente identificabile rimossa: niente carte di credito né patente. C’erano un paio di foto di bambini. Immagino si possano usare alla fine per stabilire l’identità. Ma sospetto che il cellulare ci darà più velocemente dei risultati!”

Jessie si avvicinò al corpo, assicurandosi di evitare tutti i segni di prove sulla moquette.

“Nessuna evidente ferita di difesa,” notò. “Niente graffi sulle mani. Nessun livido sulle dita.”

“Difficile credere che se ne sia stato fermo a farsi soffocare, a meno che non fosse parte di un giochino sessuale. Ovviamente è già successo in passato,” disse Ryan, riferendosi a un complicato caso risolto recentemente che aveva coinvolto del sadomasochismo.

“Oppure avrebbero potuto averlo drogato,” ribatté Jessie, indicando il bicchiere vuoto che si trovava sulla scrivania vicino a un’altra prova contrassegnata. “Se qualcosa è scivolato nel suo bicchiere, potrebbe essere stato incapacitato a reagire.”

“Quindi immagino che stiamo escludendo il suicidio,” disse Ryan avvicinandosi al corpo.

“Se ha fatto questa cosa da solo, sarebbe un risultato davvero notevole,” disse Jessie.

Guardò l’espressione di Ryan mutare da divertimento a curiosità.

“Cosa c’è?” gli chiese.

“Penso di riconoscerlo.”

“Davvero?” chiese Jessie. “Chi è?”

“Non ne sono sicuro. Penso possa essere un politico locale, o magari uno del consiglio comunale?”

“Dovremmo confrontare la sua foto con quelle dei politici del posto e di altri funzionari,” suggerì Jessie.

“Giusto,” confermò Ryan. “Se la cosa è confermata, allora potremmo pensare a un movente politico.”

“Vero. Può darsi che qualcuno fosse scontento di una votazione recentemente ottenuta, o prossima. Ovviamente si potrebbe pensare che mostrare delle foto di lui stesso nudo e drogato in un hotel sarebbe stato sufficiente.”

“Buona considerazione,” le concesse Ryan. “Magari è una sorta di messaggio per qualcun altro.”

“Anche questa è una possibilità,” disse Jessie, guardandosi attorno nella stanza, alla ricerca di qualcosa che forse le stava sfuggendo. “Ma sarei propensa a pensare che, per il modo in cui si muovono i messaggi, due proiettili alla testa avrebbero avuto maggiore impatto. Penso che sia necessario scoprire chi è questo tizio prima di poter trarre delle reali conclusioni.”

Ryan annuì soddisfatto.

“Perché non scendiamo alla reception,” le disse. “Vediamo cos’hanno da dirci sul nostro John Smith.”

*

L’addetto alla reception che aveva fatto il check-in per “John Smith” della City Logistics aveva terminato il turno alle sei di mattina e avevano dovuto richiamarlo lì. Mentre aspettavano il suo arrivo, Ryan diede istruzioni all’ufficio della sicurezza di fornire loro i video di sorveglianza dall’ora del check-in, oltre a ogni strisciata della carta che dava accesso alla stanza del defunto.

Jessie era seduta nella lobby insieme a Ryan, in attesa, e osservava il via vai della routine dell’albergo. Alcune persone stavano facendo il check-out. Ma per lo più c’erano turisti che gironzolavano o gente d’affari che usciva per quelle che sembravano faccende da ‘titani dell’industria’.

Capì che il receptionist era arrivato nel momento in cui lo vide entrare. Vestito con blue jeans e una maglietta casual, il ragazzo – sulla ventina e con la faccia piena di acne di un bambino – sembrava essere stato svegliato da un sonno profondo, avendo a malapena il tempo di mettersi addosso qualcosa, figurarsi di pettinarsi i capelli. Aveva anche un’altra caratteristica che sembrava avvolgerlo come un cappotto invisibile: paura.

Jessie diede un colpetto a Ryan e indicò il giovane. Si alzarono e lo raggiunsero proprio mentre lui si avvicinava al banco. Fece un cenno di saluto a un manager, che gli indicò di andare all’estremità del banco, lontano dagli ospiti.

“Grazie per essere venuto, Liam,” disse il manager.

“Nessun problema, Chester,” rispose il giovane, anche se sembrava inquieto. “Hai detto che era urgente. Di che si tratta?”

“C’è della gente che ha delle domande per te,” disse Chester seguendo le istruzioni di Jessie sul non essere specifico riguardo al motivo per cui Liam era stato richiamato.

“Chi è che ha delle domande?” chiese Liam.

“Noi,” disse Ryan da dietro di lui, facendolo sobbalzare e un quasi saltare sul posto.

“Chi siete?” chiese Liam, cercando di apparire tutto d’un pezzo, ma senza riuscirci.

“Mi chiamo Ryan Hernandez e sono un detective del LAPD. Questa è Jessie Hunt. È una profiler criminale per il dipartimento. Perché non andiamo in un posto privato dove possiamo parlare liberamente?”

Per mezzo secondo Liam parve sul punto di poter scappare. Poi sembrò ricomporsi.

“Sì, direi che va bene.”

“C’è una piccola sala conferenze alla fine di quel corridoio,” disse il manager Chester. “Dovrebbe consentirvi una certa privacy.”

Quando furono all’interno della sala conferenze, con la porta chiusa e tutti seduti ai loro posti, Liam parve irrigidirsi di nuovo. Poteva essere per la presenza di due agenti di polizia che lo stavano fissando, o il non sapere il motivo dell’interrogatorio, o lo strano rumore bianco che si sentiva nella stanza altrimenti silenziosa.  Jessie sospettava fosse una combinazione di tutti quegli elementi. Qualsiasi fosse il motivo, Liam non fu in grado di contenersi.

“È per le casse di birra?” mormorò. “Perché mi hanno detto che era una fornitura extra e che le avrebbero buttate, quindi ho pensato non fosse un grosso problema se le prendevo.”

“No, Liam” gli rispose Ryan. “Non si tratta di casse di birra. Si tratta di un omicidio.”

Il Look Perfetto

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