Читать книгу Il Look Perfetto - Блейк Пирс - Страница 5

CAPITOLO DUE

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Jessie Hunt sedeva nervosa al banco del Nickel Diner sulla South Main Street, a soli due isolati dalla stazione centrale del Dipartimento di Polizia di Los Angeles.

Anche se la persona che avrebbe incontrato non si sarebbe per niente curata del suo aspetto, voleva fare una buona impressione. In genere si considerava in forma. Aveva occhi verde chiaro e capelli castani che le arrivavano alle spalle e che attualmente erano più lucenti del solito. Si era premurata di indossare la camicetta e pantaloni più professionali che aveva prima di andare al lavoro oggi, abbinati a un paio di scarpe basse che non accentuassero la sua già notevole altezza di un metro e ottanta. Dubitava che chi la guardasse oggi la potesse scambiare per una modella, come succedeva a volte. Ma anche se mancavano poche settimane al suo trentesimo compleanno, sapeva di essere ancora capace di poter far voltare la gente a guardarla, quando le serviva.

Considerato tutto, pensava di cavarsela piuttosto bene. Dopotutto erano passati solo sette giorni da quando era stata drogata da un sospetto assassino e le avevano fatto una lavanda gastrica. Da allora, dopo essere stata dimessa dall’ospedale, era rimasta per lo più rinchiusa nel suo appartamento, sotto le cure e la protezione del detective Ryan Hernandez.

Ryan aveva insistito di stare con lei fino a che non avesse recuperato le forze. Quindi per l’ultima settimana aveva dormito sul divano letto in salotto e le aveva fatto da mangiare. Jessie aveva scelto di accettare l’aiuto e di non andare a interpretare troppo le azioni dell’uomo che a volte le faceva da partner nei casi, e altre volte di più.

In genere, dopo un periodo prolungato di assenza dal lavoro, Jessie avrebbe ricominciato a lavorare dopo aver partecipato, insieme a Ryan, a una riunione organizzativa con il capitano del LAPD Roy Decker. Ma oggi era una giornata insolita. Aveva deciso di fissare un piccolo incontro personale prima che il capitano iniziasse a imporre regole e limiti che vincolassero la sua ripresa del lavoro.

Anche se Jessie Hunt era una consulente profiler criminale per il Dipartimento di Polizia di Los Angeles e non un’effettiva agente di polizia, il capitano Decker era comunque il suo più immediato supervisore, e violare i suoi ordini poteva avere delle serie ripercussioni. Ma avere un semplice incontro con una persona e una discussione informale sull’andamento dell’indagine prima di ricevere ordini da Decker, beh, non poteva certo metterla nei guai.

Era per quel motivo che si trovava nell’affollata tavola calda alle 7.30 del mattino aspettando l’arrivo di un uomo con il quale aveva parlato solo occasionalmente e quasi sempre di sfuggita. Diede un morso al suo toast e sorseggiò la seconda tazza di caffè, ben sapendo che avrebbe fatto meglio a fermarsi dopo il primo. Lui entrò proprio mentre lei stava riappoggiando la tazza sul tavolo.

Garland Moses si guardò attorno nel locale e, notata Jessie, andò verso di lei. All’età di settantuno anni, con la pelle rovinata dal sole, i capelli bianchi spettinati e gli occhiali bifocali sempre sulla punta del naso, non attirò l’attenzione di nessuno dei clienti al suo passaggio. Nessuno di loro aveva idea di trovarsi al cospetto di uno dei forse più celebri profiler criminali dell’ultimo quarto di secolo.

Jessie non poteva biasimarli. L’uomo sembrava mantenere un’aria trasandata. Si trascinò verso di lei, apparentemente ignaro della camicia male infilata nei pantaloni e delle macchie sul suo gilet oversize. Il giubbotto sportivo grigio che indossava gli stava addosso come appeso su un attaccapanni e sembrava poterlo inghiottire da un momento all’altro.

Ma se lo si guardava meglio, apparivano chiare altre cose. Dietro agli spessi occhiali, gli occhi attenti sfrecciavano rapidi in tutte le direzioni, osservando in un istante l’ambiente. Anche se i capelli erano spettinati, la barba era ben fatta e non dava il minimo accenno di essere incolta. I denti erano ancora bianchi splendenti e in perfetta condizione. Le unghie erano ben tagliate e i lacci delle scarpe legati con il doppio nodo. Garland Moses proiettava l’immagine alla bell’è meglio di un cittadino di mezza età in stile Colombo. Ma come Jessie ben sapeva, era tutta una messinscena.

Moses aveva risolto alcuni fra i casi di omicidio più difficili nel paese nell’arco di quarant’anni. Aveva partecipato al primo in qualità di membro della celeberrima Divisione di Scienze Comportamentali dell’FBI con base a Quantico, Virginia. Poi, alla fine degli anni 90, dopo vent’anni passati a incontrare il peggio che l’umanità avesse da offrire, era andato in pensione nel soleggiato sud della California.

Ma dopo pochi mesi dal suo arrivo, il LAPD gli aveva fatto la corte perché prestasse servizio come consulente profiler. Lui aveva accettato, ponendo diverse condizioni. Primo, non sarebbe stato un formale dipendente, quindi non soggetto a regole e normative del dipartimento, libero di andare e venire come più gli piaceva. Secondo, i casi se li sceglieva lui. E, cosa per lui più importante, non avrebbe dovuto seguire nessun dress-code.

Il dipartimento era stato contento di acconsentire. E nonostante avesse un atteggiamento espressamente burbero o fosse, come un agente lo aveva chiamato, uno “stronzo taciturno e privo di pazienza”, non se ne erano mai pentiti. Rintanato nel suo ufficio isolato e grande come uno sgabuzzino al secondo piano della stazione di polizia, Moses eseguiva il suo lavoro, e si poteva contare su di lui perché risolvesse dai tre ai quattro casi di alto profilo all’anno, generalmente quelli che mettevano in difficoltà chiunque altro.

Per motivi che Jessie non aveva mai capito, Garland Moses sembrava apprezzarla, o almeno non avere niente contro la sua esistenza, che era praticamente la stessa cosa per lui. Le aveva anche dato degli occasionali consigli su qualche caso, di tanto in tanto.

E anche se non l’aveva mai riconosciuto, lei era venuta a sapere che la sua raccomandazione era stata determinante per la sua ammissione alla tanto decantata Accademie dell’FBI, corso di dieci settimane che lei aveva completato l’anno precedente.

Il programma, fortemente selettivo, accoglieva il meglio dai dipartimenti locali di polizia per fornire un addestramento che includeva le ultime tecniche investigative dell’FBI. Di solito era disponibile solo per detective con esperienza e con uno storico di alto decoro. Ma Jessie, una relativa principiante, era stata in qualche modo ammessa. Mentre si trovava lì, non solo aveva imparato da istruttori dell’unità di Scienze Comportamentali e famosi in tutto il mondo, ma aveva anche seguito un intenso allenamento fisico che includeva istruzioni nel campo delle armi e lezioni di auto-difesa.

Senza dubbio, il suo successo nella risoluzione di diversi importanti casi di omicidio, per non parlare dell’aver sventato un attentato alla propria vita da parte del proprio marito, avevano giocato un buon ruolo nella sua ammissione. Ma immensamente significativa era sicuramente stata la buona parola detta a suo credito da numerosi agenti di polizia di alto livello a Los Angeles, tra cui appunto anche Moses.

Mentre si sedeva di fronte a lei, Jessie fu certa che già percepisse lo scopo della sua richiesta di incontro la mattina presto fuori dal posto di lavoro. Nonostante il proprio nervosismo, fu per lei quasi un sollievo. Se lui poteva già immaginare quello che lei voleva, Jessie poteva fare a meno di ogni vezzo, persuasione e adulazione tipicamente necessarie per una richiesta come quella che doveva fare lei. Dopotutto lui era qui. Questo significava che era almeno leggermente interessato.

“Buongiorno signor Moses,” disse Jessie quando lui si fu accomodato.

“Garland,” rispose lui con il suo tipico ringhio roco, facendo cenno alla cameriera di portare un caffè. “Sarà meglio che ci sia un buon motivo, Hunt. Sei stata molto criptica al telefono. Non mi piace interrompere la mia routine mattutina. E tu l’hai decisamente interrotta.”

“Sono piuttosto certa che troverai valida la riprogrammazione,” gli assicurò. Poi decise di andare dritta al punto. “Ho bisogno del tuo aiuto.”

“Questo me l’ero immaginato. Nessuno chiede un incontro con me per discutere di tazzine da caffè+, anche se la cosa mi mortifica,” disse con volto serio.

Jessie decise di prendere la battuta come buon segno e stette al gioco.

“Sarò felice di farlo dopo, Garland, se ne hai davvero voglia. Ma per ora, il mio interesse è meno concentrato su tazzine e piattini, e più sui serial-killer rapitori di ragazzi.”

La cameriera, che era già arrivata con la sua caraffa di caffè, lanciò a Jessie un’occhiata scioccata. Una quarantenne bionda dal volto tondo e serafico il cui cartellino diceva ‘Pam’. Si riprese in fretta e distolse lo sguardo, mentre riempiva la tazza di Garland.

“Ti ascolto,” disse Garland dopo che la cameriera si fu allontanata. “A quanto pare anche Pam ti ascoltava.”

Jessie decise di non chiedergli come facesse a sapere il nome della donna, dato che non l’aveva mai guardata. Si lanciò invece nel proprio discorso.

“Sono sicura che sei al corrente del fatto che Bolton Crutchfield è ancora uccel di bosco e che solo la settimana scorsa ha rapito una diciassettenne di nome Hannah Dorsey.”

“Sì,” le rispose senza aggiungere altro.

Non c’era bisogno che lo facesse. Non c’era bisogno di essere un celebre profiler criminale per conoscere il mostruoso passato di Bolton Crutchfield, che aveva assassinato dozzine di persone con elaborata brutalità e che era recentemente scappato da una prigione psichiatrica.

“Ok,” continuò Jessie. “Probabilmente sai anche che ho un certo passato con Crutchfield: che l’ho intervistato una dozzina di volte quando era rinchiuso nel penitenziario psichiatrico del DNR, e che in quelle occasioni mi ha raccontato che il mio vecchio paparino, il serial killer Xander Thurman, era il suo mentore e che erano stati in contatto.”

“Sapevo anche questo. So anche che, nonostante la sua ammirazione per tuo padre, quando è giunto il momento di scegliere tra voi due, ti ha messa in guardia sulla minaccia da parte del tuo genitore, potenzialmente salvandoti la vita. Questo credo complichi i tuoi sentimenti nei suoi confronti.”

Jessie prese una lunga sorsata del suo caffè mentre ponderava la risposta da fornire.

“Sì,” gli concesse alla fine. “Soprattutto dato che ha specificato di volermi lasciare in pace da ora in poi, per andare a seguire altri interessi.”

“Una sorta di pausa.”

Pam tornò titubante per prendere l’ordinazione di Garland.

“Prendo quello che ha preso lei,” le disse, indicando il toast di Jessie. Pam parve delusa, ma non disse nulla e tornò in cucina.

“Giusto,” disse Jessie. “Ovviamente ero riluttante nell’accettare la parola di un feroce assassino che affermava di vivere e lasciar vivere. E poi si è preso la ragazza.”

“Questo ti ha preoccupato,” notò Garland, esprimendo ciò che sapeva essere ovvio.

“Sì,” disse Jessie. “Si tratta di una ragazza che avevo trovato tenuta prigioniera da mio padre in una casa con i suoi genitori adottivi. La stava torturando. È sopravvissuta per un pelo, come me. Le persone che le facevano da famiglia, no. Quindi, quando solo poche settimane dopo Crutchfield l’ha rapita uccidendo i suoi genitori affidatari, mi è sembrato…”

“Personale,” disse Garland completando il suo pensiero.

“Esatto,” confermò Jessie. “E ora, dopo una settimana di congedo forzato, una settimana in cui Hannah è rimasta tra le grinfie di Crutchfield, torno oggi al lavoro.”

“Ma c’è un problema,” disse Garland continuando il suo discorso, e spronando così Jessie a proseguire. E così lei fece.

“Sì. Il caso è stato assegnato all’FBI. So che quando varcherò la porta della stazione di polizia, mi verrà proibito di partecipare, a causa… dei miei collegamenti personali. Ma conoscendo la mia natura dopo quasi trent’anni su questo pianeta, non sarò per niente in grado di levarmi questa cosa dalla testa e badare ai fatti miei. Quindi ho pensato di richiedere l’assistenza di qualcuno che non sia vincolato dai regolamenti che invece terranno legate a me le mani.”

“Eppure,” disse Garland mentre il suo toast arrivava. “Ho la netta sensazione di non essere la tua prima scelta per questo compito.”

Jessie non aveva idea di come potesse averlo capito, ma non tentò di negarlo.

“È vero. Di norma non chiederei a un celeberrimo ed emerito profiler di farmi un favore, se potessi evitarlo. In particolare non mi piace chiedere alla gente di fare lo sporco lavoro di tentare con discrezione di capire ciò che sta accadendo nelle indagini di qualcun altro. Ma purtroppo la mia prima scelta non è disponibile.”

“Chi sarebbe?” chiese Garland.

“Katherine Gentry. Era responsabile della sicurezza nella prigione del DNR. Abbiamo stretto amicizia durante le mie tante visite. Ma quando Crutchfield è scappato e diverse guardie sono state assassinate, lei è stata licenziata. Da allora è diventata un’investigatrice privata. Kat è nuova nel settore, ma è brava. L’ho usata per altre ricerche in precedenza.”

“Ma…” insistette Garland.

“Ma è nel mezzo di un altro caso che richiede un sacco di sorveglianza fuori città, quindi non ha realmente il tempo di starmi dietro. E poi ho pensato che la cosa potesse essere un po’ troppo cruda per lei, considerata la sua connessione con Crutchfield. Temo che potrebbe essergli troppo vicina.”

“Capisco,” disse lui con tono malizioso. “Quindi sei preoccupata che una persona possa non essere in grado di valutare oggettivamente la situazione a causa della propria connessione personale alla situazione. Una tale descrizione si applica a qualcun altro di tua conoscenza?”

Jessie lo guardò, ben consapevole di quello che voleva insinuare. Ovviamente, se avesse saputo quanto personale fosse questo caso per lei, probabilmente sarebbe stato ancora più preoccupato. Poi le venne in mente un pensiero, un pensiero che avrebbe potuto fargli rivalutare la sua visione delle circostanze.

“Hai ragione,” gli disse. “Non sono oggettiva, ancora meno di quanto tu pensi. Vedi, Garland, ciò che solo mezza dozzina di persone al mondo sanno è che il padre di Hannah Dorsey era Xander Thurman. È la mia sorellastra, una cosa che ho scoperto meno di un mese fa. Quindi non sono per niente oggettiva in questa faccenda.”

Garland, che stava per prendere un sorso di caffè, fece una breve pausa. A quanto pareva aveva ancora la capacità di sorprendersi.

“Questa è una complicanza,” affermò.

“Sì,” disse Jessie, chinandosi decisa in avanti. “E sono piuttosto sicura che Crutchfield l’abbia presa per modellarla e farla diventare una serial killer come mio padre e come lui stesso. Era quello che mio padre stava cercando di fare con me. Quando l’ho rifiutato, ha cercato di uccidermi. Penso che Crutchfield stia tentando di riprendere da dove Thurman ha lasciato.”

“Cosa te lo fa pensare?” chiese Garland.

“Mi ha mandato una cartolina che fondamentalmente lo diceva chiaro e tondo. E poi ha lasciato un messaggio scritto con il sangue sulla parete della famiglia affidataria, reiterando lo stesso messaggio. Non sta facendo tanto il sottile in merito.”

“Sembra piuttosto ridondante,” le concesse Garland.

“Giusto,” disse Jessie, sentendo che l’uomo si stava ammorbidendo davanti alle sue richieste. “Quindi sono la prima ad ammettere di non essere esattamente la persona più indicata per questo caso. E capisco perché il capitano Decker rifiuterebbe di concedermi di occuparmene. Ma come ho detto, mi conosco. E mi è impossibile fare finta che là fuori non ci sia un serial killer che sta tentando di trasformare la mia sorellastra nella versione più piccola di se stesso. Ecco perché ho pensato di rivolgermi a qualcuno che possa essere più razionale, tenendo d’occhio il caso e aggiornandomi. Altrimenti potrei impazzire. E questa persona deve essere qualcuno capace di accedere alle informazioni, senza essere vincolato dai divieti del Dipartimento di Polizia di Los Angeles.”

Garland si chinò sul bancone, spostando i bicchieri da davanti al suo naso. Sembrava perso nei suoi pensieri.

“Garland,” disse Jessie, la voce sommessa, quasi un sussurro. “Bolton Crutchfield sta tentando di creare un mostro a sua immagine e somiglianza, e lo sta facendo con una ragazzina traumatizzata. È una cosa orribile, anche se lei non fosse la mia unica familiare vivente, una sorella che non ho ancora avuto il tempo di conoscere. Ma lo sta facendo intenzionalmente per giocare con me. Un altro dei suoi giochi sadici. Capisco quello che sta succedendo. Ho la mente chiara al riguardo. Ma se pensi che comprendere la situazione significhi che sarò in grado di starne alla larga per una direttiva impartita dal mio supervisore, ti stai tristemente sbagliando. Se dici di no, seguirò questa cosa da sola, incurante delle conseguenze. Sto chiedendo il tuo aiuto, in parte perché sei più bravo di me in questa cosa. Ma in parte anche per salvarmi da me stessa. Non voglio fare la tragica e dire che il mio futuro è nelle tue mani… Ma il mio futuro è nelle tue mani. Cosa dici?”

Garland rimase seduto in silenzio per un momento. Poi si chinò in avanti, pronto a rispondere. Improvvisamente il cellulare di Jessie suonò. Lei abbassò lo sguardo era Ryan. Lei mandò la chiamata alla segreteria e risollevò lo sguardo sull’uomo che aveva di fronte. Poi sentì una vibrazione. Abbassando lo sguardo vide un messaggio da parte di Ryan che diceva semplicemente: “911, rispondi.” Un attimo dopo il telefono suonò di nuovo. Jessie rispose.

“Sto facendo una cosa,” disse.

“C’è stato un omicidio all’Hotel Bonaventure,” le disse Ryan. “Decker ce l’ha assegnato. Ha detto che ha spostato la nostra riunione con lui e vuole che andiamo lì subito. Sto venendo a prenderti. Sarò lì davanti tra due minuti.”

Riagganciò prima che lei potesse rispondere. Jessie guardò Garland.

“Mi hanno appena chiamata sulla scena di un omicidio. Il detective Hernandez sta venendo qui a prendermi. Ho bisogno di una decisione. Cosa dici, Garland?”

Il Look Perfetto

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