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CAPITOLO OTTO
ОглавлениеHannah Dorsey ricordò a se stessa che non era ancora morta.
Poteva anche apparire ovvio, ma una settimana fa a quest’ora non avrebbe potuto esserne così sicura. E ogni minuto che era in vita, era una possibilità in più. Almeno questo era ciò che continuava a ripetersi.
Sapeva che era più o meno mezzogiorno, perché vedeva dove il fascio di luce che filtrava dalla finestra arrivava a colpire il pavimento dello scantinato in cui era rinchiusa. Per un po’ aveva pensato che fossero usciti dalla California, perché lì non aveva mai visto uno scantinato prima d’ora.
Ma l’uomo – le aveva detto di chiamarlo Bolton – le aveva spiegato che il precedente proprietario era un immigrato dalla costa orientale, che aveva richiesto che gli venisse costruito un interrato nella sua casa sud-californiana, anche se a livello architettonico non aveva molto senso.
Bolton le aveva spiegato un sacco di cose.
Nelle prime ore dopo aver ucciso i suoi genitori affidatari e averla drogata e rapita, non aveva parlato poi tanto. In parte perché Hannah era troppo frastornata per poterlo capire, inizialmente. Dopodiché erano state le sue grida di panico a impedire ogni conversazione.
Ma dopo circa diciotto ore, era diventata afona a forza di urlare. Oltretutto, era talmente piena di paura e carica di adrenalina e confusione, che ascoltare la voce dell’uomo, con quel suo accento meridionale, era diventato quasi lenitivo. Se parlava, significava che non stava uccidendo. Quindi lei era felice che lui continuasse a blaterare.
Immaginava che sarebbe presto arrivato a fare una chiacchierata. Le portava sempre il pranzo attorno all’ora in cui la luce che entrava dalla piccola finestra colpiva il centro della stanza, e che lei pensava essere appunto mezzogiorno. Aveva capito qualche altra cosa nella settimana che aveva trascorso lì.
Prima di tutto sapeva che era passata più o meno una settimana perché era capace di fare ogni giorno un segno sul palo di legno a cui era incatenata, usando il cucchiaio che lui le aveva lasciato. In effetti era piuttosto sicura che fosse martedì. Sapeva anche che si trovavano in un posto isolato. Altrimenti Bolton l’avrebbe imbavagliata, o almeno avrebbe sbarrato la finestrella che le offriva quel brandello di luce.
Chiaramente non era preoccupato che qualcuno la sentisse chiamare aiuto, o spaccasse la finestra e la vedesse là sotto. E poi non aveva mai sentito una sola auto passare lì vicino, né un aereo volare o un allarme risuonare in lontananza.
Di notte, attraverso il vetro sporco di terra, era capace di vedere una luce lampeggiante rosa e blu in lontananza che proveniva dall’insegna di un locale chiamato Bare Essence. Lo stile dell’insegna suggeriva che si trattasse probabilmente di uno strip club. Ma dato che lei non si considerava un’esperta in materia, l’informazione lasciava il tempo che trovava.
Era anche piuttosto certa che lui non la volesse morta. Non per una mancanza di volontà di ucciderla. Ancora nella casa dei suoi genitori affidatari, prima di drogarla, ma dopo averla imbavagliata e legata, l’aveva portata tranquillamente in salotto e l’aveva fatta sedere nell’angolo in modo che potesse vedere mentre li assassinava.
Non l’aveva fatto di soppiatto. In effetti aveva dimostrato una certa leggerezza in quel massacro. Il padre affidatario era addormentato nella sua poltrona e la madre stava seduta sul divanetto accanto, intenta a guardare la TV.
Dato che non erano rivolti verso di lui, gli era bastato andare in cucina e tornarne fuori con due coltelli, uno di tipo più piccolo e seghettato, l’altro grosso e con la lama liscia. Aveva fatto un leggero occhiolino ad Hannah prima di fare il giro dietro alla coppia, mettendosi a sedere accanto alla madre affidataria, una donna poco appariscente, con i capelli grigi ma comunque ordinata e ben curata che si chiamava Caryn.
Caryn doveva aver pensato che fosse Hannah e si era girata a guardare solo quando era partita la pubblicità. Quando aveva visto lo strano uomo che, seduto accanto a lei, le sorrideva con un coltello in mano, aveva aperto la bocca per gridare. Era stato a quel punto che lui le aveva piantato la lama nella gola.
Ne era uscito uno strano suono gorgogliante, come di un palloncino fatto sgonfiare sotto all’acqua corrente. Il suo padre affidatario, Clint, che non era male come persona, ma partecipava all’affidamento solo per fare piacere alla moglie, si era un po’ mosso sulla sua poltrona, senza però svegliarsi.
Mentre il sangue di Caryn spruzzava a fiotti nel salotto, in parte finendo addosso a Bolton stesso, lui si era alzato e si era portato sopra a Clint. L’uomo non aveva reagito quando l’assassino aveva afferrato il telecomando e aveva iniziato ad alzare il volume al punto che Clint non potesse evitare di svegliarsi.
“Troppo alto,” aveva mormorato con tono irritato.
No ricevendo alcuna risposta, l’uomo si era strofinato gli occhi e aveva guardato lo schermo. Solo allora si era accorto di non poterlo vedere perché aveva davanti un uomo basso e traccagnotto con i capelli castani e radi e il doppio-mento. Bolton gli sorrideva, mostrando denti che avevano un disperato bisogno di intervento odontoiatrico, dato che molti stavano piegati a diverse angolazioni. I suoi intensi occhi castani non battevano ciglio.
Poi, come se la campanella della partenza avesse risuonato a una corsa di cavalli, si era lanciato in avanti e aveva piantato il coltello più grosso in mezzo al petto di Clint. Hannah non poteva vedere il volto del padre affidatario, ma solo la sua schiena mentre il corpo si irrigidiva un momento e poi si rilassava nuovamente indietro sulla poltrona. Non emise un singolo suono.
Bolton poi si era voltato a guardarla e aveva scrollato le spalle come a dire ‘Pensavo peggio’.
Hannah sapeva che avrebbe dovuto provare una paura folle. Ed era certa che poi qualche reazione sarebbe arrivata. Ma in quel momento, subito dopo il massacro di Caryn e Clint, non aveva fatto nulla. Avrebbe voluto poterlo fare, ma semplicemente non ce l’aveva dentro, non dopo tutto il resto.
Solo due mesi prima aveva vissuto qualcosa di ugualmente traumatico. Lei e i suoi genitori adottivi erano stati rapiti dalla loro casa nella San Fernando Valley e trasportati in una grande villa nei pressi del centro di Los Angeles. Quella volta il colpevole era stato un uomo più vecchio, probabilmente sui cinquant’anni, ed era stato molto meno scherzoso. Più tardi avrebbe appreso che il suo nome era Xander Thurman e che era un noto serial killer.
Ma al tempo, tutto quello che sapeva era di essere stata portata in questa strana casa da quello strano uomo. L’aveva legata a una sedia e l’aveva costretta a guardare mentre procedeva a torturare i suoi genitori adottivi.
Si era poi brevemente assentato, per tornare infine a concludere ciò che aveva cominciato. Poi una donna – Hannah aveva scoperto in seguito che si trattava di una profiler criminale di nome Jessie Hunt – era arrivata in quella casa, apparentemente cercandolo. Lui l’aveva sorpresa e aggredita, stendendola al tappeto.