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L’IGNOTO
V

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La bionda era seduta a una tavola, presso al focolare. Poggiava le mani aperte e la faccia su qualcosa che pareva un fagotto. Un lieve soffio inclinava accanto a lei la fiammella d’un lume a olio piantato sulla tavola tra le bucce d’un’arancia.

Letizia urlò:

– Marta!..

Ma come? Oh, Dio! Dio! Quella che il furiere aveva presa dopo di lei, quella per la quale l’aveva lasciata! Marta, Marta, là dentro! Nella casa di don Placido!..

La bionda, come istupidita, la bocca schiusa, gli occhi incertamente affisati, allungava la testa nell’ombra. Poi congiunse le mani, come accordandole a una muta implorazione. E Letizia, che s’appressava, la udì infine mormorare con voce quasi di pianto:

– Tu si’ Letizia d’ ’a Riva Casilina…

E a un tratto si sentì afferrare le mani, se le sentì avvincere ai polsi e piegò, e quasi s’abbandonò su quel corpo palpitante e un po’ molle da cui, nell’ombra afosa della stanzuccia, vaporava un alito tepido di gioventù e di salute.

La bionda balbettava:

– Mbe’, perdòname, perdòname!..

Ora piangevano, piano, sedute vicino, così vicino che i loro ginocchi si toccavano e la scarsa fiamma della lampa, di volta in volta investita e piegata dal soffio esterno, stentava a disegnare e a separare que’ due corpi quasi immoti…

L'ignoto: Novelle

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