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LETTERA DUE

La mattina in cui mi svegliai sorpresa di aver capito di essermi innamorata di te, per me fu una rivelazione. Forse non riesco ad esprime la immagine precisa e mi trovo incapace di descrivere la sensazione esatta, ma il ricordo mi emerge quasi nitido, come un dejà vu che aspetta di essere plasmato. Fino a quel momento ero solo un'amica per te, una compagna di circostanze alla quale ti affidavi nei tuoi momenti di noia come se fosse la distrazione più adeguata di qualsiasi adolescente.

Un'altra mattina rivelatrice, nella quale mi resi felice, fu quando mi desti quell'innocente bacio. Arrivando a casa mi coricai nell'amaca e, mentre il vento leggero sfiorava il mio viso felice, il ricordo del tuo tatto mi evocava sensazioni quasi epilettiche, scosse interne che mi smuovevano come insetti rivoltando il mio petto o come dolci piccoli vermi che solcavano le mie viscere.

Le mattine... Forse sono premonitorie, o dei segnali. Le mattine a scuola non sarebbero state piacevoli se non fosse stato per la tua presenza durante le ricreazioni, anche solo per sentire emergere dalla tua bocca qualche sillaba, dato che io (come in varie occasioni ti ho fatto notare) dovevo tirarti fuori le parole con il cucchiaio, metafora in realtà adeguata a quell'epoca in cui eri un ragazzino pallido e silenzioso. La cosa importante era percepire le nostre figure sedute sulla panchina, con le mie gambe unite e le mie mani appoggiate sulle ginocchia, e captare il movimento dei miei capelli che interagivano con te, come due magneti estranei che vogliono attrarsi ma unicamente si toccano in un via vai di tensione. Fu in quei giorni che mi innamorai di te, delle tue lunghe pause di silenzio, del tuo sguardo proiettato verso l'orizzonte alla ricerca di idee e che mi incitavano ad esplorare l'enigma della tua prudenza.

Era una mattina quando mi aspettasti sotto quella pioggia torrenziale. Insistetti sull'appuntamento, senza renderti conto che sarebbe stato più pratico eludere il diluvio e rimandare il nostro incontro fino all'uscita dell'arcobaleno. Erano le mattine quelle che ci facevano incontrare in quel parco pubblico, nell'angolo che ribattezzammo usando un nome stravagante e che avremmo usato codice nelle seguenti occasioni, sempre essendo coscienti che ogni coppia lo aveva rinominato con un nome conforme alla loro relazione. Era un mattino quando sfiorasti i miei seni con l'impudenza propria dei tuoi ormoni. Fu una mattina (voglio sognarlo così) quando accarezzasti le mie natiche al di sopra della tela del pantalone di quei jeans che odiavo.

Fu di mattina la prima volta che facemmo l'amore, anche se il nostro amore già era si era fatto molto prima. Forse perché a quel tempo solo avevamo degli spazi nelle prime ore della giornata, quando il cielo si faceva più chiaro e ci svegliavamo desiderando arrivasse l'istante dell'incontro. E dopo arrivavano i pomeriggi, che chissà non sono così premonitori, ma molto speciali, senza dubbio. Quando il mezzogiorno si avvicinava e con gioia mi preparavo per gli incontri in città.

Il nostro amore maturava, e noi con lui, queste vite pesanti e tristi a causa della distanza, ma nonostante questo ci sentivamo vicini.

Ricordi il tempo in cui non avevamo telefoni e riuscivamo a scambiarci messaggi grazie ad un quaderno o ad un complice momentaneo. Dopo tutti questi ricordi felici, mi tornano alla memoria le nostre situazioni contemporanee, quelle che stiamo costruendo e distruggendo. Un uomo russo disse che anche i più grandi riformisti della società sono dei criminali, perché al promulgare nuove leggi, aboliscono le antiche che venivano conservate come sacre. Per questo dico che, per continuare ad edificare, dobbiamo demolire alcune cose, esorcizzare i nostri errori, praticare una depurazione nella nostra relazione per non lasciarla morire.

Forse non mi comprenderai completamente, è la cosa più probabile. Ma continuo ad essere qui, cercando di dirti che voglio interpretare i codici della tua angustia e iniziare un cammino mano nella mano con te. Magari non una soluzione radicale, immediata, ma una che serva ad aggiustare l'equilibrio di questa relazione che sta tremando come un castello di carte costruito sul sedile di un treno in corsa.

Questa lettera è un simbolo del mio impegno. Mi sento sconcertata perché avverto che ti ho chiesto troppo e, nelle tue circostanze, non hai potuto soddisfare i miei capricci, non perché non lo volessi ma perché la natura della tua tristezza ti ha assorbito e non sono stata capace di avvertirlo, fino a questo momento in cui il giorno si fa più chiaro in quest'alba sconfortante.

Forse si, le mattine sono premonitrici. Perché, proprio ora, mi arriva l'immagine di un ipotetico futuro, con il tuo caldo corpo riposando insieme al mio in un abbraccio mattutino, in un risveglio mentre siamo ancora immersi nei sogni, quando la rugiada ha distillato il sudore sull'erba vicino e il primo crepuscolo della giornata evidenzia il calore che non sarà del sole ma del nostro risveglio.

Tua oggi, domani e sempre.

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