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LETTERA UNO

Ti disegno, come se delineassi sotto il leggero strato di pioggia un viso immaginario e perfetto, in cui le deliziose fossette rimangono sospese sopra le guance. Ti faccio sorridere, facendo sì che si assopiscano i tuoi dolori e le tue obbligazioni quotidiane che muovono il tuo viso come burattinai del tuo destino. Ti faccio vivere il desiderio impiantato nella tua parte più profonda.

Cominciare una lettera d'amore è difficile, come dare inizio ad una storia che non contiene nessun elemento difettoso e che potrebbe essere manifesto della piena soddisfazione dello scrittore di fronte alla sua opera. Appagamento che, a mio intendere, non sarà mai soddisfatto, allo stesso modo che non lo sarà in queste righe.

Trascrivere i sentimenti a volte è una difficoltà quasi senza soluzione. Assomiglia al compito dello scultore che deve far nascere dal duro marmo la sottile narice del modello ed i suoi rotondi testicoli. Eroico è lo sforzo del pittore che, mescolando le sue vernici, riesce a riprodurre sulla tele la perfezione di una mascella perfetta, dei seni piccoli ma ben definiti e che contrastano con lo splendore di una vulva nascosta dai peli. Non meno ardua e complessa, per non dire impossibile, è il compito del poeta che, appollaiato sul suo momento di lucidità, deve far diventare inafferrabile ciò che è comodamente palpabile e, in un caso paradossalmente analogo, rendere evidenti le grazie che senza il suo intervento sarebbero inaccessibili.

Davanti a questa parete mi trovo in questo momento, non come pittore, scultore o poeta, perché le mie abilità non arrivano a tanto. Sbatto contro questo muro con come artista, ma come essere umano. La mia anima (chiamo in questo modo l'insieme delle mie scarse qualità, che non gli si dia altra accezione) si inorgoglisce di appartenere al gruppo di persone che loda la condizione dell'essere umano al di sopra di ogni artificio del mondo, per quanto sublime possa essere. Prima di tutto siamo umani, e come tale mi esprimo.

A volte mi chiedo il motivo per cui mi consumo scrivendo. La risposta non può essere semplice. Per denunciare i mali che affliggono la società? No, sicuramente. Per risolvere problemi personali, convertendo la letteratura in una grande masturbazione psicologica? Nemmeno. Per raggiungere la fama o la ricchezza, o per rendere attuale il modo in cui utilizziamo la lingua (non l'organo ma il sistema di comunicazione verbale)? Ancora meno. Mi spiego: il mio modello da seguire, per quanto riguarda il comportamento, è lo Scrittore Fantasma. Solo penso a scrivere, il resto non importa.

Forse le risposte sono meno pragmatiche di quello che, generalmente, si creda.

Cerco di rispondere: scrivo per comprendere in maniera migliore ciò che mi circonda. Magari la risposta è la stessa che mi do ogni volta che mi domando il perché io pratichi la lettura: per rendermi più umano.

Divento più umano scrivendoti lettere d'amore? L'amore cresce forse per il fatto di scriverti? E l’'amore, quindi, può crescere, proprio come fanno i neonati o i girini o i fiumi? O sarà invece che scrivendoti una lettera a poco a poco si staccano (come se si trattasse di un frattale infinito) i pezzi che costituiscono l'intero amore e, in questo modo, a poco a poco ne rimani senza? L'amore appassisce come fa un anziano, come carne alla brace o come frutta marcia? Probabilmente, l'unica risposta valida è questa: scrivere mi fa sorgere dubbi, inquietudini, allo stesso modo di quando l'intento di descrivere il profumo marcato dei tuoi capelli ritorna confuso, opaco di fronte a quello che la mia mente mi risputa fuori. O nello stesso modo in cui il tuo viso si converte nella parola che mi sfugge, o come l'adorazione per i tuoi occhi mi fa deglutire con la perplessità di chi è estasiato e non prova poi più piacere per le storie o le poesie.

No, non si tratta nemmeno di questo. Non lo so. Non ne sono così sicuro.

Tuo, Abelardo.

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