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CAPITOLO OTTO
Оглавление12:15 ora della costa orientale
Sala stampa
Casa Bianca, Washington DC
“Buongiorno,” disse Susan. “Non ho molte informazioni per voi, quindi sarò breve.”
Era sul palco. Guardava una cinquantina di giornalisti e più o meno altrettanti fra telecamere e microfoni, cosa che sapeva avrebbe portato il suo volto e le sue parole quasi in ogni angolo del globo. Da molto tempo aveva smesso di preoccuparsene.
Per un breve momento, lasciò vagare lo sguardo per la stanza. Era una tetra mattinata invernale. Pareva che la gente non avesse voglia di starsene lì. Nemmeno lei. Le notizie erano brutte, e non voleva essere lei a darle. Ma la situazione richiedeva leadership, e così…
“Come tutti sapete, circa alle quattro del mattino, alle undici secondo l’ora locale, un aereo charter si è schiantato avvicinandosi all’aeroporto di Sharm el-Sheikh sulla penisola del Sinai, in Egitto. A bordo c’erano il deputato degli Stati Uniti per il Texas Jack Butterfield così come altri nostri stretti amici, incluso Sir Marshall Dennis del Regno Unito e il console generale egiziano a Londra, Ahmet Anwar. A bordo di quell’aereo è morto un totale di ottantatré persone, inclusi ventisette americani e persone provenienti da altri dieci paesi. Non ci sono stati sopravvissuti.”
Susan fece una pausa. Le telecamere ronzavano e ticchettavano nel silenzio.
“I filmati di videosorveglianza dell’aeroporto e i nostri dati satellitari hanno ora confermato quello che molti di noi sospettano fin dall’inizio – l’aereo è stato abbattuto da un missile terra-aria sparato dalle montagne circostanti. Condanniamo senza mezzi termini questo attentato codardo perpetrato ai danni di persone innocenti, e ci uniamo alla comunità internazionale nella determinazione di sconfiggere gli agenti del terrore.”
I reporter stavano già parlottando e borbottando, preparandosi a gridarle dietro domande. Anche se erano stati informati in anticipo che lei non avrebbe risposto.
“Facciamo le nostre sincere condoglianze alle famiglie delle vittime. I nostri pensieri e le nostre preghiere sono con voi.”
A Susan si fermò il fiato in gola. Per un attimo si sorprese a trattenere le lacrime. Pensava di aver superato quel genere di cose, di essere stata tanto indurita dalle tragedie che le emozioni non l’avrebbero più riguardata. Ma si sbagliava. Lo schianto di quell’aereo, la perdita subita dalle famiglie dei passeggeri, aveva innescato in lei qualcosa – la perdita di tantissime persone negli ultimi anni, le sue perdite, e la paura di altro in arrivo.
Le venne in mente un’immagine improvvisa – quella di sua figlia Michaela, sotto tiro, legata e assicurata a una passerella di quasi cinquanta piani su Los Angeles. La scacciò. Venne sostituita dalla brevissima, fuggevolissima immagine di un’esplosione sottoterra, una grossa porta d’acciaio che scoppiava e le fiamme che inglobavano l’uomo dei servizi segreti che camminava appena davanti a lei – il disastro di Mount Weather.
Adesso nella stanza la fissavano tutti.
Smise di seguire il discorso preparato e proseguì improvvisando. “In senso molto reale, non siamo solo con voi, ma noi siamo voi. Non per minimizzare il dolore personale di qualcuno, ma di recente tutti noi abbiamo passato le pene dell’inferno. Abbiamo perso famiglie, abbiamo perso amici – io ho perso alcuni dei miei migliori amici sulla Terra – e abbiamo perso la sensazione del sicuro e sensato mondo che un tempo avevamo. Ma riotterremo quella sensazione, e la passeremo ai nostri figli e ai nostri nipoti. Queste atrocità terroristiche si fermeranno!”
Quasi involontariamente, alcuni giornalisti e operatori televisivi si misero ad applaudire.
“Ancora non sappiamo chi siano stati i perpetratori di questo attentato. Ma prometto a tutti i qui presenti e a tutti nel mondo che lo scopriremo, e che a quel punto agiremo repentinamente per consegnarli alla giustizia. Vi ripeto anche che stiamo lavorando sodo, insieme a molti alleati e amici, per creare un mondo in cui incidenti del genere non accadano.”
Adesso ci fu quasi silenzio. Stava cominciando a ripetersi. Era questo che succedeva a virare rispetto agli appunti preparati.
Un robusto uomo con la barba della prima fila sollevò una mano grassoccia. Susan non se n’era accorta, ma lui parlò lo stesso. “Quando dice ‘consegnarli alla giustizia’,” disse, “intende un tribunale?”
Susan conosceva bene quel giornalista, ma al momento le sfuggiva il nome. Era quel tipo di giornata. “Quando ne sapremo di più, ne saprete di più anche voi,” disse.
Giunse un’ondata di domande. Parlavano tutti insieme, e Susan riusciva a malapena a distinguere una parola dalla successiva. Il suo contingente dei servizi segreti cercò di farla scendere dal palco. Lei si avvicinò al microfono un’ultima volta.
“Grazie,” disse.
Attraversò la pesante porta verde a destra del palco, con dei grossi corpi che la fiancheggiavano su ogni lato. Kat Lopez era in corridoio, con in mano un portablocco. Incrociarono lo sguardo.
Susan scosse la testa. “Penso che sia andata piuttosto bene,” disse.