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CAPITOLO DIECI

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14:05 ora della costa orientale

Studio Ovale

Casa Bianca, Washington DC

“Proprio non ci credo che facciamo questa riunione,” disse Susan.

Non disse quello che pensava dentro di sé: Che voglia di torcere il collo a Stone.

Invece guardò Kat Lopez, appollaiata su una sedia dall’alto schienale dall’altra parte del salottino dello Studio Ovale. Kat sembrava fresca e rilassata. Come Kurt Kimball, Kat era un coniglietto della Duracell – andava avanti e avanti e avanti.

“Dammi i dettagli,” disse Susan.

“RAS,” disse Kat. “Ritorno Alla Saggezza. Più di trentamila membri per tutti gli Stati Uniti, e i numeri sono in crescita. Il quartier generale si trova qui a Washington, e hanno un dedito pool di donatori in tutti gli Stati Uniti, soprattutto tra i benestanti della Bible Belt. Sono stati fondati e originariamente finanziati dal magnate di mais del Midwest Nathan Davis. Come lobby la loro influenza sta crescendo, soprattutto tra i conservatori del Congresso. Hanno raccolto e speso più di quindici milioni di dollari nell’ultimo anno fiscale, senza contare altri milioni, dai cinque ai dieci, raccolti dal loro braccio no-profit, la Fondazione americana per l’educazione della famiglia.”

“E Lucy?” disse Susan.

“Lucy Pilgrim,” disse Kat senza esitare. “Attuale presidente dell’organizzazione RAS. Sessantasette anni. Lucy è stata una hippy e un’attivista politica in gioventù – contraccezione, ambientalismo, antinucleare. Nella metà degli anni Settanta lei e un gruppo di seguaci si sono recate a Central Park in topless ogni domenica per tre estati di fila. Se potevano farlo gli uomini, potevano farlo anche le donne.”

Kat fece una pausa.

“Un po’ per uno…”

“Giusto,” disse Susan quasi ridendo. “Non fa male a nessuno. Era intelligente. Lo sai tu o ce l’hai negli appunti?”

Kat scrollò le spalle. “Ho saputo di Lucy al college. Studi sulle donne. Una volta è venuta a parlare.”

Susan scosse la testa. “È un fenomeno.”

Kat sollevò una mano. “A un certo punto, Lucy dev’essere diventata religiosa. O magari un lato religioso l’ha sempre avuto ma non ha mai avuto troppa voglia di parlarne. Comunque è presidente della RAS da otto anni. Si dice che nel prossimo futuro darà le dimissioni. Le è stata diagnosticata una forma aggressiva di malattia di Parkinson, due anni fa. Pare che la cosa non l’abbia rallentata per niente, ma dovrebbe avere chiaro che forse dovremo accordarci con un’anatra zoppa.”

Susan puntò il suo sguardo più severo su Kat. “Non dovremo accordarci per niente, Kat. Che accordi dovremmo fare? Questa è un’organizzazione che vuole che le donne americane restino a casa a fare altri bambini, ho ragione? Per via di un’idea errata sull’esclusione degli immigrati?”

Kat annuì. “Dubito che loro la metteranno così, ma sì, più o meno.”

Susan scrollò le spalle. “Teniamo questa riunione per fare un favore al vicepresidente e nient’altro. Finiamola presto così possiamo andare avanti con il resto della giornata.”

Kat andò all’ampio monitor della tv a circuito chiuso appeso alla parete e lo accese. Era un pugno in un occhio, ma rendeva comodo comunicare con il vicepresidente Stephen Lief. Si trovava lì dall’insediamento di più di un mese prima. Ma da allora Susan aveva cominciato a pensare che lei e Stephen dopotutto non avrebbero comunicato poi tanto. Un attimo in carica, e aveva subito cominciato a oltrepassare i suoi confini.

La faccia occhialuta di Lief apparve sullo schermo gigantesco; era seduto nello studio del piano di sopra dell’Osservatorio navale. Lo studio di Susan. Argh. Che fastidio. Lo studio era la sua stanza preferita della casa migliore che avesse mai avuto. Lui se ne stava lì come se quel posto fosse di sua proprietà.

Stone!

Poteva biasimare Luke Stone per Stephen Lief. O poteva biasimare se stessa per esserci stata. O poteva biasimare la biologia umana e le endorfine dell’amore rilasciate dall’intimità fisica – facevano perdere al cervello le capacità di ragionamento.

Susan conosceva Stephen da molto. Quando lei era al Senato, lui era la leale opposizione dall’altra parte della navata, un conservatore moderato, mediocre – cocciuto ma non pazzoide. Ed era un uomo gentile.

Ma era anche del partito sbagliato, e per questo lei si era beccata molte critiche accese dagli ambienti liberali. Era un possidente terriero aristocratico, di famiglia ricca – uno della Mayflower, la cosa più simile alla nobiltà che avesse l’America. A un certo punto, pareva che avesse pensato che diventare presidente fosse suo diritto di nascita. Non certo il tipo di Susan; gli aristocratici che si credevano dei privilegiati tendevano a mancare del tocco comune che aiutava a connettersi con le persone che, ipoteticamente, si dovevano servire.

Dimostrava quanto Luke Stone le fosse entrato dentro anche solo che avesse preso in considerazione Stephen Lief. Era stata un’idea di Stone. Ricordava il momento preciso in cui gliene aveva parlato. Erano stesi insieme nel grande letto presidenziale. Lei stava riflettendo ad alta voce sui possibili candidati alla vicepresidenza, e Stone aveva detto:

“E perché non Stephen Lief?”

Lei aveva quasi riso. “Stone! Stephen Lief? Ma dai.”

“No, dico sul serio,” aveva detto.

Era disteso sul fianco. Il suo corpo nudo era magro ma duro come la roccia, cesellato e coperto di cicatrici.

“Sei bellissimo, Stone. Magari però i ragionamenti lasciali a me. Tu puoi adagiarti lì, a fare il bello.”

“L’ho interrogato alla sua fattoria, in Florida,” disse Stone. “Gli ho chiesto che cosa sapesse su Jefferson Monroe e sui brogli elettorali. Lui è stato chiaro con me fin da subito. Ed è bravo con i cavalli. Delicato. Deve pur voler dire qualcosa.”

“Lo terrò a mente,” disse Susan. “La prossima volta che cerco un cowboy.”

Ma dopotutto aveva scelto lui. C’entrava qualcosa il fatto che conservatori e liberali si unissero per ricostruire la fiducia nel governo. C’entrava qualcosa il fatto che Stephen fosse un mago al Congresso, e finalmente aveva fatto passare un progetto di legge sulle infrastrutture – una cosa necessaria al paese. Però finora la realtà di Stephen Lief era stata nel complesso meno impressionante della fantasia.

Nella mente di Susan cominciò a prendere forma un’idea, per Stephen Douglas Lief. Si sarebbe fatto un mese o giù di lì di viaggio negli Stati Uniti occidentali per un giro di assaggio di chili. Poteva partire dal remoto oriente, tipo dall’Ohio, provare un po’ del chili di Cincinnati famoso in tutto il mondo, meglio se come copertura letale di hot dog, e poi spostarsi a sudovest verso Louisiana, Texas, Arizona e California del Sud.

Difficile dire che fosse una punizione – si trattava di posti molto piacevoli in cui passare l’inverno. E inoltre avrebbe sviluppato uno stomaco di ferro, e Susan era sicura che un uomo come Lief, laureato in compassate scuole dell’East Coast come Choate, Princeton e Yale, avrebbe adorato scendere in strada per incontrare gente normale, tanto per cambiare. Susan ne prese nota mentalmente – Kat avrebbe assegnato a qualcuno il compito di cominciare a organizzare questo importante tour sociale non appena terminata quella conversazione.

Seduta accanto a Lief nello schermo c’era Lucy Pilgrim. Sembrava fragile e dimostrava più della sua età – tutt’altra cosa rispetto alla giovane bellezza che aveva ai tempi dell’attivismo in strada. Con la mente, Susan colse un’immagine di giornale in bianco e nero di una giovane Lucy che urlava in un megafono a un qualche raduno – giovane, energica, molto carina con i capelli lunghi e lisci che le arrivavano alla vita, in sbiaditi blue jeans aderenti e camicia a fiori. Prima o poi, col tempo dovevano farci i conti tutti.

“Salve, Susan,” disse Stephen Lief. “Voglio ringraziarla di aver accettato questa riunione.”

Susan fece spallucce. “Figurati. Sono sicura che comprendete entrambi che questa è una giornata difficile e che dovrò…”

Lief la interruppe. “Certo che capiamo. Jack Butterfield era un mio amico. Domattina andrò in Texas, per esserci all’arrivo del corpo.”

“E dovresti rimanerci, per il chili,” quasi disse Susan, ma non lo fece.

Invece guardò dritta verso Lucy Pilgrim. “Salve, Lucy, come sta?”

“Susan, è un piacere vederla. Grazie di questa chiacchierata con me.”

“Be’, ha dalla sua un campione, con l’ex senatore della Florida. Lui non accetta un no come risposta, a quel che ho capito.”

“Io e Stephen ci conosciamo da moltissimo.”

Susan fissava lo schermo. Lanciò un’occhiata a Kat, pensando di presentarla, e poi cambiando idea. Che senso aveva prolungare le carinerie?

“Lucy, in cosa posso esserle utile? Sono la presidente degli Stati Uniti, come penso che probabilmente sappia. Non sono io a fare le leggi. Non ha senso fare pressioni su di me.”

Lucy scosse la testa. E così Susan vide l’effetto di quel leggero movimento sul corpo della donna. Parve che la sua intera figura seguisse lo scuotimento del capo e poi continuasse per qualche altro secondo. L’effetto era sottile ma evidente. E quasi sicuramente contemporaneo al lavoro dei farmaci per controllare i tremori.

Susan sospirò. La vita. Andava così. Era molto, molto bello avere soldi, ma la salute costituiva la vera ricchezza.

“Susan, voglio solo farle sapere quello che stiamo facendo, e vedere se ci sono punti di incontro in cui potremmo trovare giovamento l’una all’altra.”

“Lucy, magari non se n’è accorta, ma adesso mi trovo in mezzo a una crisi internazionale.”

Lucy annuì. “E penso che la stia gestendo meravigliosamente. Ho seguito il suo discorso al notiziario poco fa. Sono rimasta colpita come sempre dalla sua abilità nell’inoculare emozioni potenti nella connessione con la gente. Ma, come tutte le crisi, anche questa passerà. E i nostri problemi interni saranno ancora lì. Le crisi internazionali non fanno sparire i problemi interni.”

“Né viceversa,” aggiunse Stephen Lief con un certo disagio.

“Esatto,” disse Lucy.

Susan quasi sorrise. Era una cosa molto simile a uno sketch di un programma comico notturno.

“Ok,” disse. “Sentiamo.”

Lucy si lanciò.

“Susan, sono cambiati i tempi da quando io e lei, soprattutto io, eravamo giovani. Magari non ci pensa quotidianamente perché la cosa non sembra avere rilevanza per lei, ma ci troviamo per le mani una bomba a orologeria demografica e culturale. Con ogni prossima generazione, donne bianche in quella che chiameremo età feconda continueranno a rimandare la decisione di avere figli. Donne della cosiddetta generazione X hanno rappresentato una svolta radicale col passato – una ogni sei ha scelto di non avere figli. La cosa sarebbe uno sviluppo notevole di per sé, se fosse temporanea. Ma le cosiddette donne Millennial apparentemente raddoppieranno questa cifra, e rimandano pure il matrimonio. La situazione peggiora a mano a mano che scendiamo con l’età. Le ragazze delle superiori, se interpellate sul desiderio di avere figli, mettono la cosa molto in basso nella loro lista delle priorità. Il matrimonio si trova in fondo alla lista.”

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