Читать книгу Pasquale Paoli; ossia, la rotta di Ponte Nuovo - Francesco Domenico Guerrazzi - Страница 10
CAPITOLO VII. Il cattivo incontro
ОглавлениеFrate Bernardino, uscito all'aperto, scrollò quattro volte e sei la testa, e parve ricrearsi nel refrigerio dell'aria fresca, che gli s'insinuava per la barba e pei capelli: nè ciò bastandogli, fatta delle mani votazza, pigliava l'aria a guisa di acqua, e se la gettava nel viso. Così temperato alquanto l'ardore, s'incamminò tastoni verso la poppa, alla quale appressandosi gli fu domandato:
— Chi è là?
Il frate, riconoscendo la voce, rispose:
— Oh capitano, siete voi?
— Buon giorno, padre Bernardino; già mi figuro, che non avrete chiuso occhio tutta la notte.
— Io no, e nè anco voi sembra che siate andato a riposare.
— Per me la faccenda è diversa; quando navigo non dormo mai, e in terra poco: mi sfogherò a dormire dentro la fossa.
— Ma dove ci troviamo adesso? Qui dintorno buio, parmi essere entrato nel pozzo di san Patrizio; sento fischiarmi il vento sul capo mentre la galera barcolla appena, che novità è questa capitano?
— Voi avete la fantasia accesa, padre Bernardino; diversamente avreste indovinato a un tratto che ci siamo messi a ridosso della Capraia.
.... ridotto a sostenere la guerra con solo otto compagni, gli tesero insidie, e lo lasciarono crivellato di ferite sopra la pubblica strada.... (pag. 86)
— È vero sì, ma perchè non avete continuato il cammino?
— Perchè ho fatto il conto, che a proseguire era più la perdita del guadagno: della bussola non poteva giovarmi avendo dovuto per certa ragione, che non importa palesare, interdire rigorosamente qualunque fuoco a bordo; e il mare, comechè non procelloso affatto, impediva inoltrare senza molta fatica, nè a vela si poteva ire, e co' remi a stento, sicchè ammazzandoci tutta la notte saremmo arrivati a giorno chiaro in prossimità della costa del Macinaggio, dove temo che corseggino parecchie navi francesi. Trovandomi sotto vento alla Capraia ho pensato: piano ma sano: qui passeremo la giornata al sicuro, e stassera, per la bruna, con gente fresca e il mare abbonacciato, in quattro o cinque ore schizzo al Macinaggio.
— Pace e pazienza, e morte con penitenza, rispose il frate: da che non ci si para di meglio sbarcherò a visitare i religiosi che ci abitano, e mi consolerò a vedere i luoghi nobilitati dal valore dell'Achille côrso; non sapreste mica dirmi se ci sia rimasto egli stesso a governarla?
— Nè manco per ombra; il comandante Achille Morati dopo la conquista tornò al fianco del generale: credo che ci abbiano mandato il commissario Astolfi.
— E qual è costui?
— Per me non lo conosco; ha fama di essere uomo di stocco, e dicono, che sarebbe capace di farsi mettere in quattro sui cannoni prima di renderla.
— Dammelo morto.
— Come! non conoscete il commissario Astolfi e ne diffidate?
— Oibò! mi fido... cioè mi fido come uomo che sa quanto sarebbe grazia di Dio potere non fidarsi di alcuno.
— Badate, padre, al proverbio che dice: Il diavolo è triste perchè è vecchio; o meglio, ricordatevi del precetto: Non misurate se non volete essere misurato.
— Santa fede! quando si ha per le mani la salute della patria bisogna pesare e misurare tutto il giorno, e non basta, perchè la peggior carne a conoscere è quella dell'uomo.
— Voi altri fate professione di carità, ond'io devo credere che voi non parlate a vanvera; parlatemi chiaro; avete qualche motivo per dubitare del commissario Astolfi?
— In ispecie io non ne ho veruno; però voi sapete quello che dicono i vecchi: fidati era un galantuomo, ma non fidati poi era più galantuomo di lui: per ultimo ve l'ho da dire come in confessione?
— Dite pure.
— Mi sento il cuore peso, e questo mi dà cattivo augurio: mira un po' da levante ora che incomincia a schiarire; non vedi come il cielo paia tinto di ferro, e cotesti nuvoloni, che precipitano per costà non ti sembrano le anime del purgatorio, che strascinando i lenzuoli sepolcrali si affrettino alle antiche sepolture?
— Padre mio, poco più poco meno i giorni si rassomigliano; speranze lunghe, tribulazioni perpetue, e prosperità a spizzico, come il pepe su la minestra. I poeti cantano mirabilia su l'alba che nasce, e in cui non se ne intende mettono la voglia in corpo di ruzzolare da letto avanti giorno: fantasie! Per me ho visto il più delle volte alzarsi in mezzo ad una nebbia di sangue, e rassomigliare lui stesso all'occhio del parente, che abbia pianto tutta la notte il morticino in casa. — Di vero io non capisco in che avrebbe il sole a gioire uscendo a illuminare questa culla della sciagura. — Io vedo il sole che, come tutte le altre cose di questo mondo, per diventare più luminoso e bello, bisogna che staccandosi dalla terra si avvicini al cielo.
— Voi parlate come un dottore, capitano Angiolo: pure vi hanno fra tanti neri dei giorni bianchi, quantunque rari; e il cuore sembra che vi annunzi con qualche segno così gli uni come gli altri.
— Sua eccellenza il generale Paoli mi disse: che l'uomo deliberato di vivere e di morire per la patria non abbisogna altramente di attendere ai presagi; imperciocchè avvenga che può, in questo mondo non si muoia mai alla gloria presso gli uomini, nell'altro al merito presso Dio.
— Egli parlava da cristiano, ed io ti parrà che parli da pagano, pure io dichiaro riuscirci più facile negare, che astenerci dal dare retta ai presentimenti; così vero questo, che il generale, in onta della sua sapienza, io so ch'ei ci crede. Ma orsù il dì comincia a farsi chiaro, e tu che aspetti, figliuolo mio, a inalberare la santa bandiera, e a salutarla con la cannonata?
— Aspettiamo che butti giù la maschera quella torre costà; — e così favellando il capitano Angiolo additava al padre Casacconi una torretta quadrata, che costruita su di una pendice sta come a cavaliere su la scala della Capraia, e serve pei segnali. Quivi tutte le notti accendevasi, e tuttavia si accende, una lanterna, la quale manda tanta luce, giusto quanto basta per vedere in quale razza di scogli ti scaraventi il grecale a perdere anima e corpo.
— Per fermo, soggiunse il frate, quando tu sarai assunto al comando supremo del nostro naviglio, veruno negherà che la Corsica possiede un ammiraglio prudente.
E il capitano che intese la botta, sorridendo rispose:
— Io non lo nego; mi trovo carico di ferro e di paura; come dice il nostro proverbio, e lo vedrete: d'altronde metto subito a profitto la vostra lezione sopra la diffidenza...
— Certo... certo la cautela non fu mai troppa...
Intanto ch'egli profferiva queste parole, ecco tirarsi su lungo l'antenna della torre la bandiera; subito dopo, il saluto di un colpo di spingarda. Il vento, il quale, sebbene abbassato pure soffiava sempre con violenza, spiegò in un attimo la bandiera inalberata e ci mostrò dipinta la insegna di Francia; scudo celeste con gigli di oro, tenuto ritto da due angioli in campo bianco.
Me ne rincresce proprio per la reputazione di padre Bernardino, che egregia anco ai dì nostri gode in Corsica; ma come storico mi trovo in obbligo di raccontare, ch'egli proruppe in un sacramento coi fiocchi all'aspetto della odiata bandiera; strinta con man rabbiosa la barba, se ne strappò due ciocche o tre, e quando la passione sfocata gli concesse la favella, non rifiniva mai di esclamare:
— E ora, che novità è questa? O come sta questa cosa? Che l'abbiano assediata, non ci è pericolo; ne avremmo avuto odore a Livorno. Santa fede! il diavolo al sicuro ci ha messo dentro la coda.
Diciamolo in onore del frate: quantunque egli sciorinasse dottrine di diffidenza da disgradarne Macchiavello, in pratica fino a quel momento aveva creduto spesso, e spesso ingannato, non si era ancora corretto, e però non gli passava nè manco per ombra nel cervello il sospetto, che l'Astolfi, corrotto per denari, avesse reso la Capraia ai Francesi, senza nè anco un simulacro di assalto, che valesse a colorire la brutta compra e la più brutta vendita. Però il sospetto, che ultimo si offerse alla mente del frate fidente, speculativo, fu il primo che venne nel pensiero del fiducioso pratico, di cui la faccia diventò bianca come panno lavato: senonchè dopo un brivido leggiero per tutta la persona, ed un aggrinzamento appena visibile dei labbri, disse:
— Padre, andate sotto coperta.
— Vo' restare io; vo' vedere il fatto mio; scendiamo armati e tentiamo ricuperare l'isola per forza.
— Fra Bernardino, qui comando solo. Rammentate che l'ubbidienza è uno dei vostri voti, ed obbedite. Svegliate il pilota, e ditegli che venga tosto da me.
Il frate abbassò il capo, ed eseguì il comandamento; indi a breve comparve il pilota, il quale, desto di soprassalto, si fregava gli occhi come mezzo assonnato.
— Memè, gli susurrò negli orecchi il capitano Angiolo, abbiamo dato nella bocca al lupo. La Capraia è venuta in potestà dei Francesi, ed allungato il braccio additava al pilota la bandiera sopra la torre.
— Oh! proruppe Memè sbarrando gli occhi.
— Va, metti tutta la gente al remo, tira su l'àncora, dammene il segno; attenti al fischio, e giù in un attimo i remi dagli scarmi; — il timone lo reggo io.
— E da quei frati non si potrebbe cavarne partito?
— Il bisogno è grande; parlane a padre Bernardino, digli da parte mia che i primi discepoli di Gesù Cristo furono pescatori, ed ora importa ch'egli se ne rammenti.
Si udì un fischio da prua, a cui rispose un altro da poppa, e in meno che non si dice amen, la ciurma sfrenellando mise i remi in voga, ed arrancò a golfo lanciato: il capitano Angiolo, pratico del luogo, lasciò prima correre la galera diritta per un cento palate: poi spingendo di uno strettone la manovella a destra la fece girare a poggia; la nave cedevole piegò come vela di molino a vento rasentando gli scogli, e sempre scivolando a pelo della costa irta di punte, con destrezza mirabile trapassò di sotto al forte, senza che i cannoni la potessero offendere.
— Anche questa è passata, esclamò frate Bernardino, quando la galera, spuntato capo Fico, mise la prua verso ponente, e fermo sul remo raccoglieva con la mano il sudore che gli sgocciolava dal viso, gittandolo lontano da sè sul ponte.
— Non dir quattro finchè la noce non è nel sacco.
— Per la Immacolata! O che ti pare che non basti la perdita della Capraia? Per soddisfare un presagio malurioso non ti par egli che ce ne sia d'avanzo?
— Padre! padre! Avete visto?
— Che cosa? rispose il frate voltandosi di sbalzo.
— Due legni — due legni francesi a mezzo tiro di cannone.
— Io non ho visto... io non vedo niente.
Ed avevano tutti e due ragione, però che il vento fosse abbassato, ma il mare si mantenesse grosso, e rotolando immani volumi di acqua, ora, come dentro capacissima valle, celavano le navi, ed ora la sospingevano quasi sopra la cresta di un monte; donde l'apparire e lo scomparire di due grossi sciabecchi francesi, legni molto usitati in Francia a quei tempi, dopochè ella ebbe smesso fino dal 1740 le galere e le mezze galere.
— Santa fede! oh! li vedo; li vedo ancora io, prese a urlare di un tratto frate Bernardino, cui si fecero a sua volta palesi i due legni nemici. Ecco là cotesti scomunicati gigli d'oro, ma ciò che mi fa più saetta sono quegli angioli che li sostengono: che cosa ci entrino qui gli angioli io non mi so capacitare, a meno che non fossero di quei briganti che Dio agguantò per il petto, e arrandellò giù dal paradiso. Su da bravo, capitano Angiolo; spiegate la bandiera côrsa e andiamo contro questi cani, salvo il battesimo; presto chè lo indugio piglia vizio; uno dopo l'altro come le ciliegie.
E non a torto il frate parlava parole avventate, chè il capitano Franceschi, bianco come un busto di marmo, pareva non sapesse a qual santo votarsi; di modo che il frate dubitando cotesta inerzia, paura, gli si accostò borbottando: — Ai cani mansueti ogni lupo par feroce.
Gli occhi del capitano balenarono; un lampo solo, e le labbra ricomposte al consueto risolino, rispose:
— Padre Bernardino, a voi piacciono i proverbi, e garbano anche a me; ora meditate su quello che dice: dove la pelle del lione non arriva, bisogna aggiuntarvi quella della volpe.
Senz'altre parole scese sotto coperta, dove venutigli intorno gli ufficiali e i passeggeri, così palesò con succinto sermone il suo concetto:
— Signori, abbiamo sopravvento due sciabecchi francesi, però noi non possiamo fuggire, chè il bastimento oltre a trovarsi stracarico, a cagione del mare grosso i remi non giovano; ma quando fossimo vuoti, e il mare più tranquillo, col vento che tira non potremmo mai salvarci dalla caccia dei Francesi: quanto a menare le mani, noi non dobbiamo combattere.
— O come non dobbiamo combattere? uscì fuori frate Bernardino arrapinandosi; e il capitano Franceschi di rimando:
— State zitto, padre, per lo amore di Dio, ch'io so quello che mi dico; noi non possiamo... noi non dobbiamo ricevere palle a bordo. Innanzi ch'essi ci chiamino alla obbedienza, io faccio conto di andare ad incontrarli. Memè, buttate in mare il caicco; voi, signore Inglese, vorrete usarmi la cortesia di accompagnarmi; mi pare che siate munito di passaporto per Bastia, firmato dal console francese di Livorno.
— Così è, rispose il Boswell, ed anco porto meco lettere commendatizie per parecchi gentiluomini francesi.
— Tanto meglio; voi lascerete parlare a me; solo approverete, quanto starò per dire.
— Bene, non ci è da fare di meglio: tuttavolta chiedo licenza ammonirvi, che se le cose le quali voi siete per esporre, fossero troppo lontane dal vero, io non saprei in coscienza approvarle.
— Confesso che questo intoppo m'imbroglia la matassa: ma andate franco: io procurerò che le cose intorno alle quali attesterete, le sieno vere: quanto al rimanente non ci porgete attenzione; figuratevi, che non sieno fatto vostro.
— E badate, aggiungeva frate Bernardino, che le bugiarderie fra noi altri cattolici si pagano sette anni di purgatorio l'una; onde voi vedete il bel guadagno che fareste a confessarvi cattolico; e non finisce qui, chè per le bugiarderie che vi accadesse profferire adesso, come dirette a fine di bene, voi potreste contare sopra il ribasso almanco di un cinquanta per cento.
E il signor Giacomo sorridendo rispose:
— Un bel ribasso in verità, maggiore di quello che costumano le fabbriche di Birmingham; ma è meglio non mentire.
— Memè, continuava il capitano Angiolo favellando al pilota, il quale aveva fatto gettare il caicco nell'acqua; intanto che noi andiamo a bordo al francese, voi senza parere fatto vostro vi scosterete bel bello uscendo dal tiro del cannone: allora, se vi riesce, mettetevi alla cappa; se fra due ore, o meno, vedrete tornare il caicco con bandiera a prua, aspettateci; se non vedete nulla, approfittatevi del campo preso e salvatevi all'Elba.
Giocante Canale, che senza dir verbo, mentre questi casi avvenivano, aveva tratto fuori le armi ed osservato se la polvere stava bene nello scodellino, udite le parole ultime del capitano, le rimise da parte borbottando:
— Qui i soldati fanno da cappuccini, i cappuccini da soldati: ma tradimento non ci è.
Altobello, che pure lo intese, non sapendo che cosa pensarne, si strinse nelle spalle: quanto al signor Giacomo, che aveva assunto per regola di condotta la impresa dell'Accademia del Cimento provando e riprovando, disse fra sè: — Tiriamo innanzi, chè chi volge il dorso non fugge sempre; — e poi a voce alta riprese: — Eccomi pronto a seguitarvi.
Il capitano, come uomo che si sottragga dalla tentazione, corso alla banda del bastimento e agguantata la corda scivolò giù per essa di tonfo nel caicco: dove assicuratosi bene in piedi si affrettò a porgere aiuto al signor Giacomo, mal destro a pericolarsi su quei rompicolli di scale, massime in mezzo al mareggiare dei marosi: ma il signor Giacomo, sebbene quattro volte e sei gli sprazzi lo infradiciassero fino alla camicia, e sebbene altrettante stesse a un pelo di dare il tuffo nell'acqua, nè con atto nè con detto disonestò la pacata gravità del suo portamento; per lo contrario, seduto appena sul banco, trasse fuori la scatola che, prima di lasciare la galera, aveva avuto cura di riempire, e prese, con la consueta pace, la sua presa di tabacco.
Il capitano Angiolo drizzò il timone del caicco verso lo sciabecco più vicino, e dopo molto menare di remi pervenne alla banda di quello.
I Francesi avevano calato giù a posta loro scala e funi; e così persuadendoli la indole loro certamente servizievole, non furono scarsi di aiuto per tirare su il capitano Angiolo e il signor Giacomo Boswell: i quali, senza mettere tempo fra mezzo, furono intromessi al capitano dello sciabecco, che gli accolse vestito in gala, e appena vistili sciorinò questa diceria:
— Noi vi salutiamo, signori, come amici di S. M. cristianissima, imperciocchè senza aspettare altramente la cannonata, che vi chiamasse alla obbedienza, siete venuti a renderci conto dello essere vostro e della causa che vi conduce per questi mari.
— Eccellenza, rispose il capitano Angiolo, ossequiandolo coll'abbassare la berretta fino alle ginocchia, atto così turpe di brutta servilità, che il signor Giacomo sentì venirsi la nausea al cuore. Lo stesso Francese, cui pure piaceva lo incenso, sentendosi arrivare da una fumata un po' troppo ardita, rispose:
— Questo titolo in Francia spetta agli ammiragli; basterà che ci diate dell'illustrissimo.
— Illustrissimo, dunque, perdonate all'ignoranza, — senza scomporsi continuò il Côrso sempre in accento carezzevole, — il mio nome vi sarà senza dubbio ignoto, ma per vostra regola io vi chiarisco chiamarmi Francesco Maria Semidei, comandante da parecchio tempo cotesta vecchia carcassa, di cui è armatore un tale Salvatore Padovano côrso, domiciliato a Livorno. Ora importa che sappiate com'egli avendomi fino a questi ultimi tempi spedito in Sicilia, in Provenza e in Barberia, le faccende succedessero di bene in meglio. Tutto a un tratto mi carica di grano, e di non so quali zacchere, e mi dice: — Capitano, piglierete le spedizioni per Corsica. — Va bene, rispondo io; andrò a mettermi in regola col console di Francia. — Che Francia, e che non Francia, prese a urlare il vecchio matto, io vi spedisco al generale Paoli, e voi avete a procurare, girato il Capo Côrso, di surgere all'isola Rossa, donde darete avviso al generale, che vi manderà l'ordine circa a mettere in terra il carico. Allora, udendo con giusta indignazione che si trattava di venire in aiuto di briganti, risposi: — Armatore, mi maraviglio di voi, che essendomivi mostrato fin qui uomo religioso e dabbene, mi spingiate a commettere cose contrarie ai comandamenti di Dio, i quali c'insegnano ad obbedire ai principi, che governano per volere divino, senza darci briga di indagare dond'essi vengano; e se nel caso lo volessimo cercare, avendoci S. M. cristanissima comprato, è chiaro, che non potrebbe avere conseguito titolo migliore di disporre di noi anime e corpi: tuttavolta, mi parve dovere di aggiungere, tuttavolta messo da parte questo, degnandosi un re potentissimo, qual è quello di Francia, aprirci le braccia e accettarci per sudditi e servitori, o dove avete messo il cervello a rendergli morsi per baci? E poi, che prosunzione è questa di stare a tu per tu col Cristianissimo? Oh! non corrono più i tempi nei quali David ammazzava Goliat con una sassata; e avvertite ancora, che ciò non accadde senza miracolo di Dio, essendo Goliat filisteo. Ora se aspettate che Dio operi miracoli in danno del suo prediletto il re di Francia, starete fresco. Per ultimo, ma vi par egli giudizio, che mentre tante armate formidabili vanno di su e di giù pei nostri mari, possa vivere un pezzo questa capretta di Corsica, lasciata lì appesa ad uno scoglio senza che veruno la difenda? Sapete che ci è di nuovo, signor armatore? Voi dovreste ringraziare Gesù a mani giunte, come faccio io, di averci sortito al bene di servire il re Luigi. Di qual popolo più degno del francese potevamo noi desiderare riuscire vassalli? Di qual principe più magnanimo di Luigi XV diventare servitori? Luigi chiamato dai suoi fedelissimi sudditi la delizia del mondo.
— Veramente, interruppe il capitano francese con rara ingenuità, il suo giusto titolo è bene amato.
— Voi avete ragione: perdonate alla ignoranza; Luigi il bene amato. Ora per finire, illustrissimo, dirò che l'armatore finse pigliare le mie considerazioni in buona parte, e rispose: Ci penseremo. Fortuna volle, che un buon religioso mi avvertisse in segreto, l'armatore meditare il tiro di levarmi di punto in bianco il comando del bastimento. Allora dissi fra me: Che faccio? Permetterò io che questo legno, il quale dovrebbe glorificarsi con la bandiera dei gigli d'oro, si veda scorrere i mari sotto la brutta insegna della testa di moro? Può egli un buon cristiano in coscienza sostenere questa infamia, mentre sta in lui impedirla? Non lo può, e non lo deve: questa mezza galera prima di disfarsi abbia la grazia di aiutare quanto può la signoria del suo re in Corsica... ma, illustrissimo, era più onorato pigliare, che agevole compire il partito preso; da un lato mi bisognava fare presto e bene, dall'altro salvarmi dalle spie, che mi codiavano. Andare in consolato di Francia per ottenere la patente era un guastarsi l'uovo in bocca, indugiarsi era perdersi: insomma, io dissi: Che fai? Che pensi? A restare, il danno è certo; a partire, ti possono accadere tre casi, o traversare il mare senza imbattere in cosa molesta, o venire trattenuto da qualche nave francese e lasciato ire, ovvero essere accompagnato fino alla Bastia: certo questo ultimo sarebbe un grossissimo smacco; certo ciò non meriterebbe la tua fede pel re di Francia, nè il tuo trasporto per l'illustrissima nazione francese: ma che importano le apparenze a patto che si salvi l'onore, il quale consiste nello impedire qualunque ostilità contro il benigno sovrano, che vuole deliziare del suo governo la Corsica? Ed essendo venuto in cognizione come questo gentiluomo inglese intendesse passare in Corsica, dove si ripromette essere accolto lietamente, a cagione del merito guadagnatosi or ora dalla Inghilterra presso la Francia, per avere vietato ai suoi sudditi, sotto asprissime pene, di aiutare i ribelli côrsi, lo presi a bordo; molto più che, provvisto di passaporto francese e di commendatizie pei principali del governo, avrebbe in ogni caso ottenuto fede nella testimonianza di tutte quelle cose del mio racconto...
E qui gittò di scancio una occhiata sul Boswell, e vide come questi arrossisse, e imprimesse col dito una furiosa giravolta alla scatola: però da quel solenne pilota ch'egli era, con una stretta maestra di timone scansando lo scoglio aggiunse: — che riguardano la sua persona.
Alla coscienza degli Inglesi basta non dire il falso: quanto al vero è un altro paro di maniche: chiunque non sa, o non può pescarlo dentro le loro parole, suo danno: onesti fino alle porte dell'inferno, non già fino a quelle del paradiso: e pei mercanti è anche troppo; onde il signor Giacomo credè potere affermare senza rimorso: Per quanto mi spetta, io faccio fede del vero. E subito dopo, non aspettando invito, si cavò di tasca il portafoglio, e lo porse al capitano francese, il quale, composti i labbri al sorriso, tuttochè protestasse che non faceva caso, lo prese, lo aperse ed esaminò diligentemente le carte dentro al medesimo racchiuse. Il passaporto egli trovò in perfetta regola, delle lettere una andava al marchese di Graind-maison, un'altra al conte Narbonne Pelet di Fritzlar, eravene una pel conte Gabrielle Riquetti di Mirabeau, quel desso di cui la vita assai si rassomigliò alle processioni, le quali, dopo aver vagato un pezzo per poche strade buone e per moltissime cattive, rientrano sempre colà donde uscirono: conte nacque, e conte morì. Ma la lettera che, sopra tutte le altre, percosse il capitano, fu quella diretta a sua eccellenza Luigi Carlo Renato conte di Marbeuf, gentiluomo di camera del fu re di Polonia, duca di Lorena e di Bar, luogotenente del re nei quattro vescovati dell'alta Bretagna, commendatore, eccetera, tenente generale delle milizie regie in Corsica, eccetera, eccetera: questa, trovandola senza suggello, spiegò e lesse. Le lodi che in essa si facevano al signor Giacomo, comechè peccassero di esagerazione e non poco, bisogna dire però che nella massima parte egli meritava. Eravi ricordata la sua qualità di membro del parlamento inglese: nè vi si taceva il grandissimo conto in cui lo tenevano i medesimi ministri della Corona. Poichè il capitano l'ebbe scorsa fino alla firma, che trovò nientemeno essere quella del segretario del duca di Choiseul, si affrettò a restituirla ripetendo più ossequioso che mai: — Mio signore, vi aveva pur detto che non faceva caso, e mi sono piegato a leggerla proprio per farvi piacere. Capitano Semidei, quanto avete operato in servizio di sua maestà nostro padrone e signore vi manifesta perfetto galantuomo: in Francia si ammira lo zelo e si premia: signor Boswell, sono desolato, che con questo mare sottosopra non potrò farvi l'accoglienza che meritate, ma imperversino mare e vento quanto sanno e vogliono, non sia mai detto, che essendosi incontrate tante brave persone, non abbiano bevuto un tratto alla salute del re.
— Bene; con tutto il cuore, rispose il Boswell stringendo la mano al capitano e scotendogliela alla dirotta. Intanto che aspettavano il vino, il capitano Angiolo, cui premeva avere carte in tavola, uscì con queste parole:
— Illustrissimo, dell'ottima mente che vi degnaste mostrare verso di me, vi rendo grazie quanto posso maggiori: spero e desidero, che come questa fu la prima volta che c'incontriamo, così non sia l'ultima. Ora vi pregherei a mettere il colmo alla vostra cortesia veramente di gentiluomo francese concedendomi due cose: di cui la prima è il presto di una bandiera di sua maestà cristianissima, affinchè la mia galera possa con quella fare il suo onorato ingresso nel porto di Bastia; l'altra un certificato, che renda testimonianza delle mie dichiarazioni e della obbedienza prestatavi prima di qualunque richiamo.
— Ma ci s'intende, ci s'intende: anzi vi chiedo perdono se non vi ho offerto prima la bandiera: capisco benissimo quanto vi angustii entrare senza di lei in un porto francese: però voglio darvi la bandiera, ma ad un patto, ed è che ve la teniate in dono per amor mio, circa alla dichiarazione ci aveva già pensato: e mi corre anzi l'obbligo di munirvene per discarico mio non meno che vostro: solo mi rincresce, che gli sbalzi del bastimento non mi consentiranno dilungarmi quanto vorrei io e meritate voi.
— Illustrissimo, o breve o lungo, voi non potete fare altro che bene — rispose capitano Angiolo abbassando le palpebre per nascondere gli occhi che gli smagliavano come quelli del gatto salvatico; poichè volete ch'io tenga la vostra bandiera, sarà mia cura darvene un'altra.
In questa venne il mozzo coi bicchieri e col vino. Allora il capitano francese con bella cortesia sollevando il bicchiere; invece di propinare pel suo re, fece brindisi per sua maestà Giorgio III re d'Inghilterra, cui il signor Giacomo prontamente replicò bevendo alla salute di sua maestà Luigi XV re di Francia, e il capitano Angiolo, facendo coro ad entrambi con urli da spiritato, gridava: Viva il Re, viva il Re, vivano tutti i Re!
La marineria, comecchè non convitata a bere, pure a cotesto grido sentì commoversi le servili viscere, e dal ponte, dalle coffe, dalla sentina con tuono formidabile di voce rispose viva il Re! Lo sciabecco intero parve avere preso senso di umanità francese, per fare atto di servitù. — A cotesti tempi (bisogna pur dirlo) i Francesi erano ebbri di dispotismo peggio che di vino; e per le storie occorre, come a certa ciurma di vascello in procinto di sprofondare nell'oceano, nulla calse di patria, di famiglia e nè di Dio, bensì coll'urlo di viva il Re, disparve nella morte. Di tal gente nacquero coloro, i quali nel passato secolo vennero a insegnarci libertà, e in questo a ministrarci servitù, aspetto diverso di una medesima tirannide. Qualche menno d'ingegno vorria che queste cose non si avessero a dire: non gli date retta; l'adulazione è delitto di lesa maestà presso i popoli grandi.
Il capitano francese non capiva dentro la pelle, abbracciava il signor Giacomo, stringeva il capitano Angiolo fino a levargli il respiro, e non rifiniva di gridare, come Gargantua quando uscì fuori dall'orecchio sinistro della madre: — Da bere! da bere! — Però rammentandosi della promessa, chiesta licenza scese nel suo camerotto, donde, scorso spazio non lungo di tempo, tornò con la bandiera e col foglio, dove con elogi sgangherati metteva il Franceschi col nome di Semidei innanzi ai massimi difensori della patria antichi e moderni, perchè tradiva la sua. Pervertimento di senso morale, di cui l'anima nostra va contristata con esempii quanto schifosi, altrettanto spessi. Consegnati il foglio e la bandiera, il capitano Angiolo, in grazia del primo, venne a conoscere il nome del capitano francese, per la quale cosa riempito il bicchiere a modo di addio propinò alla salute dell'illustrissimo signor capitano Torpè di Rassagnac, cavaliere di san Luigi, invitando il Boswell ad imitarlo, cosa che questi fece senza esitazione: ma il capitano Torpè si tenne obbligato per cortesia a rispondere al Franceschi e al Boswell separatamente. Alcuni ufficiali del bordo, richiesti di pigliare parte alle libazioni, non ebbero mestieri di scongiuri, onde in breve incominciarono tutti a parlare, nessuno ad ascoltare, mareggiando per proprio conto assai più, che pel barcollamento dello sciabecco. Il capitano Angiolo, colto il destro, chiese in cortesia al capitano Torpè gli desse licenza, imperciocchè, quantunque il vento calasse di minuto in minuto, pure restando il mare gonfio, e dovendo egli bordeggiare per accostarsi alla spiaggia, gli pareva non aver tempo da perdere se disegnava entrare in porto prima di notte e così farsi onore con la sua bandiera. Il capitano Torpè, abbastanza pratico del mare, per conoscere ch'egli aveva ragione, gli dette commiato, non però prima di essersi reiterate fra loro le proteste di stima scambievole, e le promesse di rinnovare l'amicizia in Marsiglia o in Bastia.
Il capitano Angiolo scese nel caicco, considerato il mare e il vento, che lo spingeva al suo cammino in filo di ruota, lasciò il timone in mano del marinaro: egli assettavasi di contro al signor Giacomo, fischiando. Ma il signor Giacomo, uso ad almanaccare sopra gli uomini e i casi che si passavano tra le mani, battuto coll'indice un colpo sul coperchio della scatola, interrogava sè stesso: — Questo côrso è galantuomo? — e dopo lieve intervallo data un'altra percossa alla tabacchiera, domandò: — Questo côrso non è galantuomo? — È galantuomo: e allora o perchè non si è industriato di accostarsi ad uno dei due sciabecchi, e giratogli da poppa col vantaggio dei remi spezzarlo con una scarica diagonale, che gli avrebbe dato in un attimo la vittoria, e poi subito serrarsi alla vita dell'altro? Ma posto eziandio ch'egli dubitasse di potere ridurre felicemente a termine questo partito, a che pro la spontanea obbedienza? O non poteva egli, sforzando le vele e i remi senza avvilirsi con tante invenie rifugiarsi all'Elba o a Livorno? O di che cosa temeva? Con questo rullo di flutti male si possono assestare i tiri, e se il diavolo, ficcandoci la coda, avesse voluto che il Francese lo cogliesse di una palla, non sarebbe poi stato il finimondo, massime adoperandovi i remi. — Non è galantuomo, ma in questo caso come si spiega l'ordine dato al pilota di levarsi bel bello dal tiro, e di riparare all'Elba, se non ci avesse veduto di ritorno fra due ore? Perchè non si è messo addirittura nelle mani del Francese? Perchè non chiese gente dallo sciabecco per marinare la galera? Perchè a questa ora non ci troviamo tutti prigioni? — Per altra parte, chi lo capisce è bravo, se col Francese egli parlò in celia, io ne disgrado il Garrik a fingere meglio di lui. Ho letto nella relazione di Gerardo, visconte di Argentina, fatta a Federico imperatore, ch'egli giudicava i Côrsi tutti curiali: altro che curiali! Se rassomigliano a questo, ognuno di loro può vantarsi di tenere il bacile a quattro avvocati ad un tratto. — E in mezzo a cosiffatte ambagi l'animo suo tentennava sospeso, se non che adesso gli venne fatto di fissare gli occhi in viso al capitano Angiolo, e lo mirò così sereno di onesta baldanza, e direi quasi illuminato dalla interna contentezza, che la bilancia dello esame tracollò giù di piombo a favore del capitano, per la quale cosa, picchiando egli colla mano aperta sul coperchio della tabacchiera, disse a voce bassa: — È galantuomo, e poi a voce alta: — E lo vedremo tra breve.
— E che cosa vedremo noi di corto? gli domandò il capitano Angiolo, con tali un suono ed un gesto, da far comprendere al signor Giacomo, ch'egli non visto avesse assistito in terzo all'arcano ventilare tra lui e la sua coscienza; ond'ei con certa paura rispose:
— Eh! vedremo il Paoli.
— Ah! voi lo vedrete, soggiunse il capitano Angiolo con un sospiro; io no, chè il dovere mi chiama in altra parte, e chi sa per quanto tempo e con quali fortune: però voi quando lo vedrete gli direte....
— Che cosa gli dirò?
— Quello, che avrete veduto, aggiunse il capitano come pentito di essersi lasciato troppo ire: nè al signor Giacomo, per quanto vi s'industriasse con varii trovati, riuscì cavargli una parola di bocca.
Arrivarono per ultimo su la galera, la quale aveva fatto quanto poteva per rammezzare loro la strada. Saliti sul ponte, il primo oggetto che si parasse dinanzi gli occhi del capitano Angiolo, fu Giocante, il quale reputandolo, se non traditore, almanco codardo, non intendeva ormai rispettarlo nè obbedirlo: all'opposto a manifestargli disprezzo gli pareva quasi fare opera meritoria; però, in onta al divieto rigorosissimo del capitano di accendere fuoco a bordo, egli fumava a gloria. Il capitano Angiolo gli si accosta mansueto e quasi peritoso, quando poi gli fu presso, agile come il gatto, gli strappa la pipa di bocca, e glie la scaraventa lontana nel mare. Se il sangue saltasse agli occhi di Giocante non importa dire, e concitato mosse a pigliare le armi; senonchè il capitano afferrandolo pel braccio, gli ci ficcò le dita con tanta violenza, che, malgrado i panni, ne portò la impronta livida per giorni parecchi, e con voce tutta soavità gli disse:
— Signor tenente, se movete un passo, io vi mando a tenere compagnia alla vostra pipa. — E siccome l'altro infellonito stava lì lì per pronunziare qualche sproposito, egli pronto gli turò la bocca aggiungendo: — Guardatevi da dire cosa che io come comandante avessi a punire: per ora basti così; giunti a terra mi troverete disposto a darvi la soddisfazione che saprete desiderare.
— E la vorrò di certo.
.... il padre Bernardino proruppe in un sacramento coi fiocchi all'aspetto dell'odiata bandiera; strinta con man rabbiosa la barba, se ne strappò due ciocche o tre.... (pag. 101)
— Sia come vi piace.
In questa taluni della ciurma o dei passeggeri si erano accostati a loro dubitando di qualche sconcio ma il capitano, lasciato il braccio di Giocante, continuò a dirgli piacevolmente tre o quattro parole quasi sequela di discorso, facendo credere che il tratto della pipa fosse stato uno scherzo. E al punto stesso volto al pilota: — Memè, gli disse, tira su la bandiera di Francia all'albero di mezzana, poi vedremo di salutarla con un colpo di cannone da prua.
Frate Bernardino, contemplando sventolare la bandiera di Francia su la galera côrsa, strinse il pugno, e sollevato il braccio, glielo vibrò contro aprendo la mano come se volesse tirargli una sassata, e con quanto aveva di voce in gola gridò: — La maledizione di Sodoma sopra di te....
E proseguiva, senonchè il capitano Angiolo lo interruppe dicendo: Padre Bernardino, i Francesi non possono sentire le vostre parole, ma possiedono ottimi cannocchiali per vedere i vostri gesti: andate sotto coperta; io ve lo impongo.
Ma siccome dai moti di stizza del buon frate il signor Giacomo conobbe, che il suo voto di obbedienza stava sul punto di ricevere un serio affronto, gli bisbigliò destramente negli orecchi: — Venite che vi racconterò tutto il successo su lo sciabecco francese. Il frate, curioso come tutti i compatrioti suoi, non se lo fece dire due volte, ed i compagni lo seguitarono.
Il signor Giacomo raccolse tutte le sue virtù oratorie per fare un racconto a modo e a verso, capace di tenere ferma l'attenzione dell'uditorio; e su questo aveva abilità da rivendere. Più difficile gli riuscì presentare le cose in maniera, che tornassero in vantaggio della reputazione del capitano Angiolo: tuttavolta, quantunque ci mettesse dentro ottimo volere, ebbe a concludere che quanto alla fedeltà del capitano gli pareva potere dormire, e con esso lui tutti i gentiluomini a cui aveva l'onore di parlare, su due guanciali: forse non tanto si sarebbe confidato nella sua audacia: ma permettersi osservare che nel caso presente l'avventatezza poteva per avventura perderli, mentre la prudenza e la sagacia gli aveva salvati....
— Ma noi abbiamo bisogno di audacia, gridò il frate, e sempre audacia; davanti a questa i Francesi cagliano, l'umiltà altrui ne cresce la superbia.
— Eh! sarà come dite, mio signor frate; ma dacchè sembra, che anche per tutt'oggi noi dobbiamo restarci sul mare, non vi parrebbe opportuno di finire il racconto delle fortune côrse? Assicuratevi, ch'io ne ricavo diletto pari alla istruzione.
E fu colpo maestro del signor Giacomo, e quasi un grattare la pancia alla cicala: imperciocchè il frate, premuroso di provare come i Côrsi, nelle frequenti loro ribellioni e vendette, avessero fatto opere da meritarsi il paradiso, rispose: — Sicuramente che io ve la vo' finire la mia storia; e vera, sapete, non come l'hanno raccontata tanti bricconi di Genovesi, che il diavolo confonda: però mi bisognerà toccare i sommi capi, e su i casi minori scorrere di volo, chè altrimenti la sarebbe faccenda lunga. Voi lo sapete, gl'invasori rassomigliano un po' noi altri frati: quando chiudiamo la sepoltura diciamo: chi sta dentro se n'è andato in pace: però noi caliamo nella tomba i morti, mentre gl'invasori presumono metterci i vivi. Così i Genovesi a noi. Levateci le penne maestre, invece di blandire l'angoscia della indipendenza perduta, essi presero a bucare gli statuti pattuiti peggio dei vagli; con la forza talora tappavano i pertugi, ma ogni dì si tornava da capo; la fame fu reputata arte di regno, e così la ignoranza, e così lo sperpero delle famiglie. Voi vi avete a figurare che a tale intento moltiplicarono fino a sessantasette i conventi dei frati, mentre di monache ne concessero a pena uno...
— Io non comprendo, disse l'Inglese, a cui il frate si affrettò rispondere:
— La è chiara come l'acqua, perchè le donne stando a casa si maritano e stremano le famiglie per via delle doti, e gli uomini, rendendosi frati, in virtù del voto di castità non danno opera allo incremento della popolazione.
— Il signor Giacomo guardò il frate sottecchi, per conoscere se e' burlasse o dicesse da vero, ma visto che il frate non aveva muscolo che non fosse di buona fede, data una giravolta alla scatola riprese:
— Bene! ora capisco.
— Ogni giorno una ferita: ora esclusero i Côrsi dalle dignità ecclesiastiche tutte, perfino dai benefizii semplici, ora dagli officii civili di luogotenenti, cancellieri, capitani di presidio, sindacatori, castellani, notari, massari, munizioniere, esattore; e via via rinfrescandosi i divieti negarono loro gli ufficii di giusdicente, capitano, alfiere, sergente, caporale, ed anco di soldato nei presidii. Rispetto a ladri io ben vi voglio dire altro che questo: certo patrizio genovese, parente di un governatore, reduce della Corsica, gli domandò: le montagne ce le hai lasciate? Ed un altro, quando sentiva sonare a morto, innanzi di recitare il de profundis, domandava: tenne ufficio in Corsica il defunto? — se gli rispondevano: lo tenne; egli ripigliava: allora è fiato buttato; dallo inferno nessuno lo può cavare. Signor Inglese, ponete mente, non siamo noi Côrsi che giudichiamo, bensì sono questi giudizii di Genovesi su Genovesi.
— Bene, bene, ma gli raccontate voi altri, mormorò il Boswell fra i denti.
— Però non vi date mica ad intendere che le apparenze offendessero la onestà, anzi il decoro: la tirannia appena nata si agguantò alle gonnelle della ipocrisia, come i putti costumano a quelle della balia per non cascare. Tutti gli oppressori, o vuoi domestici o vuoi forestieri, hanno imparato da Caco a tirarsi dietro i peccati mortali per la coda, affinchè la gente vedendo le orme impresse in terra alla rovescia, li creda usciti, mentre all'opposto sono entrati in casa al tiranno; ma le sono arti che non salvarono nessuno dalle mazzate di Ercole. Di vero non si poterono lungo tempo nascondere le discordie da loro aizzate, gli omicidi promossi come la più grossa delle entrate. Un degno ecclesiastico, il padre Cancellotti della compagnia di Gesù, computa che, durante 30 anni di dominio genovese, la Corsica annoverò 28,000 morti di omicidio, e non furono tutti; e questo perchè? Perchè giudicando il Governatore ad arbitrio o come dicevano ex informata conscientia, vendeva le condanne, poi le grazie o salvocondotti di venire liberamente in paese, detti di tutto accesso, donde le ire riardevano, e quindi morti, ed incendii, e assassinii, desiderata messe di guadagno pei magistrati egregi. Genova faceva pagare un occhio per la patente del porto di arme, e ne vendeva settemila all'anno. Supplicata, vieta le armi, e per ricatto del provento delle patenti, impone due lire per fuoco, ma poi continua a dare le licenze per danaro, ed ella stessa vende ai Côrsi di contrabando le armi, sicchè quando nel 1739 il Magliaboia le levò, furono trovati ai Côrsi mille schioppi proprio con la croce della serenissima Repubblica di Genova. Ma sentitene un'altra: dopo averci immesso alla sordina gli schioppi, ella fustibus et gladiis mena a frugarli, e se li trova, guai! chè fra carcere e multe tu sei rovinato. L'assassinio, come per lo innanzi, tenuto in pregio di arte di regno: Giafferi, Venturini e Natali seppero a proprie spese, come lo stile della cancelleria genovese stesse a petto dello stile della romana curia, provato già da quel povero padre di fra Paolo Sarpi. Ho sentito dire, che procedessero i nostri oppressori libidinosamente, non meno che avaramente e crudelmente, e ci credo, perchè tutte queste qualità si tengono compagnia; ma come a religioso a me non addice allargarmi su questi tasti, ed anche dubito, che presto passasse loro la voglia di toccare i ferri sul banco del magnano: imperciocchè essendosi certa volta vantati di fare strazio delle donne della Isola-rossa, le quali di concerto coi mariti la difendevano, ributtati che gli ebbero dalle mura, esse sortirono arrabbiate, e presine 400 li nudarono, e li percossero con mazzi di ortica tanto, da parerne tanti ecce homo. Dopo l'assassinio non parrà strano nè forte, se l'incendio e la desolazione si reputassero dai Serenissimi pratiche di governo.
Così la storia nostra registra 120 villaggi arsi di un tratto, provincie intere disertate, popoli spenti: e' pare che per ultimo si trovassero contenti di essere salutati re del deserto. — Nè in casa nè fuori i Genovesi seppero reggere da cristiani mai; ma quando alla incapacità si aggiunse l'odio pauroso, o l'avara gelosia, allora, a giudizio dei loro medesimi concittadini, vinsero quanto ricordano d'immane le storie antiche e le moderne. Essendosi ribellata Savona ventilarono in senato se la si dovesse smantellare delle fortezze, e parve di sì; ma la spesa atterriva; allora sorse in piedi un senatore di casa Doria, il quale così favellò: — Se pur volete ruinare le mura di Savona, senza spenderci un quattrino d'intorno, io ve ne propongo il modo: mandateci due governatori simili all'ultimo, ed è lavoro fatto. Così durò il popolo côrso una lunga agonia, e sarebbe morto, se fosse possibile a un popolo morire: alla fine proruppe; molti fuori, e parecchi in casa, come l'andasse per lo appunto o non sanno o mal sanno: io vi dirò proprio il modo in che fu fatta, perchè mi ci trovai. Piloti pratichi delle tempeste civili a più di un segno avrebbero presagito imminente il turbine; con parole ardenti alla scoperta si andava tastando ora questo, ora quello spediente che pungolasse il popolo con maggiore efficacia; s'incominciò dal sale, che prima pattuimmo ci fosse venduto 4 lire il moggio, e poi lo aumentarono oltre al giusto, ma non partorì l'effetto; aggiunsero voler soppressa la tassa pel rimborso del presto stanziato alla Corsica nel 1680 in occasione della fame: buono anche questo, ma il popolo non si mosse. Meglio operò quest'altro: nel presidio di Finale un soldato côrso per certe maccatelle fu messo alla panca: i terrazzani allo strazio aggiunsero lo scherno menandogli dietro la baiata; della quale cosa egli infellonito mise mano all'arme, e sovvenuto da parecchi soldati suoi compatrioti, molti uccise, troppi più ferì; furono tutti impiccati: pensate voi se i parenti dei morti, saputa la nuova, bollissero; e la gente a soffiare in quel fuoco non mancava; ed io con i miei religiosi ci spargemmo per le pievi come seme di libertà componendo in pace vecchie discordie, ed avventando le ire côrse contro la abborrita tirannide. Ora sul finire del 1729 il luogotenente del governatore Pinelli si condusse a Corte, dove volendo starsi a bell'agio senza un pensiero al mondo, si tolse per segretario un prete cortinese chiamato Matteo Pieraggi, il quale gli faceva ancora da cappellano: e fin qui non ci era male: il male fu che non gli volendo dare un becco di quattrino per salario, lo facultò a imporre un balzello di 8 danari a fuoco per farsi l'assegnamento; donde gli venne il nome di prete baiocca, perchè appunto 8 danari formano una baiocca, e se non è morto a questi giorni, tuttavia gli rimane. Intanto essendo sopraggiunto il tempo di pagare la tassa dei seini, certo paesano, chiamato Cardone, andò a Bozio per pagare a modo e a verso i suoi due seini: dopo aver pagato i seini gli chiesero la baiocca, ed egli rifiutò darla: allora l'esattore gli rese i seini, rimandandolo con una carta d'ingiurie. Cardone che zoppo era, ranchettando per la via, contò la cosa a quanti paesani incontrava, i quali tentennando il capo avevano esclamato: — La vuol ir male; — e recatisi gli arnesi in spalla, chè il giorno voltava a sera, lo accompagnarono facendogli dietro codazzo fino alla piazza della terra. Giusta in quel punto ci capitava io, però mi posero in mezzo raccontandomi il successo, e domandarono consiglio.
Io risposi alla ricisa che non dovevano pagare la baiocca nè i seini; quella perchè imposta nuova, e le imposte per antico convegno non si potevano alterare; ad ogni modo non poterlo il luogotenente: questi perchè compenso del provento pel porto di arme, che avevano promesso proibire, ed all'opposto avevano continuato, cavandone maggior profitto di prima. E come dissi fecero, nè solo in Bozio, bensì a Tavagna e altrove. Il governatore Pinelli manda una squadra di sbirri e un esattore a Tavagna per mettere capo a partito ai malcontenti. I Tavagnini, non estimando gli sbirri gente da potersi combattere con onore, gli accolgono senza contrasto, gli albergano e convitano; nella notte gli legano, alla dimane gli rimandano disarmati con un carpiccio di busse delle buone! l'esattore non ebbe a deplorare altro danno che vedersi trasformato durante la notte il suo cavallo in asino. Cotesto fu stoppino buttato sul pagliaio; indi a breve lo incendio si dilatò per modo, da non temere più trombe: talune brigate corsero fino a Capocorso dove nessuno le aspettava e s'impadronirono alla sprovvista delle armi nelle torri: altre scesero nella Balagna, con la vista di sorprendere le armi e le provvisioni dell'Algaiola, senonchè il luogotenente avutone odore, valendosi dello aiuto dei paesani, potè metterle al sicuro in Calvi. I Côrsi tanto si arrovellarono contro i loro compatriotti per questo fatto, che di cima in fondo nabissarono l'Algaiola. Gli Algaiolesi certo avevano pessimamente operato, meritavano quello e peggio, ma non istava ai Genovesi punirli se la obbedienza a loro avessero anteposto alla carità della patria; in effetto non li punirono; all'opposto gli rimunerarono, e udite come (però devo avvertirvi prima, che io non burlo; e da questo apprenderete larghezza genovese che sia): con pubblico decreto il senato genovese compartì agli Algaiolesi il privilegio di andare accattando per la città di Genova.
— Dunque, osservò Altobello, una baiocca fu l'origine di questa guerra, che dura a un bel circa quarant'anni?
— Non è così, rispose il frate, non può il primo granello nè l'ultimo vantarsi di dare il tratto alla bilancia; ci hanno del pari merito tutti; quello, che la fa traboccare, somministra nome, non cause al tracollo.
— E se, con voce solenne aggiunse il Boswell, i popoli oppressi si movono per cagione vile, non s'incolpino essi, bensì coloro che gl'imbestiarono. — La più parte dei tumulti popolari nascono dalla fame, e sta bene; il tiranno, rapito al popolo il pensiero dell'uomo, bisogna pure che gli lasci l'istinto della bestia: moltiplice, non contentabile mai, divino il pensiero; unico l'istinto: però quanto procurano i tiranni sopprimere quello, altrettanto mettono studio a soddisfare questo; e tuttavolta neppure a questo possono provvedere le arti schiave, imperciocchè le industrie, o vogli agricole o vogli commerciali, desiderano ingegno educato, e la educazione non esce fuori se la mano della libertà non la semina, e la libertà non semina mai un seme solo, nè forse lo può; donde avviene, che da qualunque parte tu pigli le mosse, uscirai perpetuamente alla conseguenza che se qualche uomo è fatto per la tirannide, gli uomini non sono fatti per la servitù.
— O caro, sclamò frate Bernardino levando le mani al cielo, voi parlate come un quinto evangelista; e voialtri, figliuoli, sappiate che se metterete questi precetti alla coda di quelli del decalogo, voi non farete altro che bene.
Ma andiamo innanzi: tanta accendeva a quei giorni la smania di possedere armi i petti dei Côrsi onde adoperarle in pro' della patria, che parecchi di loro venderono i bovi per comprare uno schioppo. Circa 300 armati trassero alla Bastia, e presa di un tratto Terravecchia, fanno le viste di assaltare Terranuova. La storia non rammenta tutti i nomi di quelli, che su le prime mosse capitanarono il popolo, e dei pochi che ricorda dice appena il nome e la fine; miserabile fra tutti quella di Fabio da Loreto o Fillingheri, il quale, caduto in podestà dei Genovesi, ebbe mozzo il capo, poi fu squartato; Angiolo Taddei, richiesto di parlamento dal comandante genovese di Monserrato, con quattro compagni a tradimento rimane ammazzato; di Emmanuele Ciatra non so darvi ragguaglio, ma già la è cosa vecchia, chi inforna la rivoluzione non la mangia; e il popolano non si appaga di rumore di fama; tanto le lodi sono foglie, qual prima qual poi, cascano tutte; ma quando il verno ha spogliato l'albero, rimangono il fusto e i rami per riprodurle da capo, il popolo dura erede di ogni gloria dei suoi padri e dei suoi figliuoli, se la intende con Dio, e da lui spera misericordia e conforto nel giorno che quieterà nel suo seno come il Golo, dopo il rotto cammino, riposa nelle acque del Mediterraneo. Poco chiedevano i Côrsi, e da quello che domandavano voi piglierete argomento della giustizia della domanda: essi volevano il sale si pagasse un seino a bacino; si concedesse facoltà a tutti di portare arme, poichè nonostante la tassa dei 2 seini, a tutti non si negava, e la parzialità noceva più dell'uso universale, la tassa a soldi 20 per fuoco, com'era in antico, si restituisse; gli ufficii almanco in parte ai Côrsi si conferissero; i fuorusciti si richiamassero; il carico della vitella si sopprimesse.
— E che è di grazia questo carico della vitella? — interrogò il Boswell.
— Abbiate pazienza voi altri, ch'egli è forestiere e non ha obbligo di sapere le cose nostre come noi; in due parole mi sbrigo. In capo ad ogni due anni la repubblica scambiava il governatore in Corsica, il quale ci si trasferiva con la famiglia; ora le zitelle delle nostre comuni presero il costume d'ingrassare una vitella e donarla alla nuova governatrice per tenersela bene edificata: certa volta essendo accaduto che ci venisse un governatore scapolo, le zitelle giudicarono potersi astenere da presentare la vitella, tanto più che ella era pretta elargizione: ma il governatore che, se non aveva condotto la moglie, ci aveva portato l'avarizia, mutò con violenza il dono della vitella in balzello di pecunia, costringendo tutte le comuni a pagare ad ogni nuovo governatore 17 lire di buona moneta; e poichè questo iniquissimo aggravio non vergognarono i Genovesi di mantenere, i Côrsi, per ricordarne sempre la origine, continuarono a chiamare il peso della vitella. — In questo sollevamento non fu penuria per parte del governatore Pinelli delle solite tagliole ricoperte con le frasche delle scuse, delle promesse e delle ciurmerie, nè difettarono i benestanti, cui i garbugli danno la febbre, d'interporsi sminuzzando i bocconi al lupo ammalato; e molto meno la castroneria nel popolo di rimettersi a patti col padrone impaurito: certo, povero popolo! i suoi svarioni pagò, secondo il solito, in moneta di sangue; ma non importa; mentre i tiranni si rallegrano nella fede di avergli tagliato il capo, si accorgono che non gli hanno scorciato altro che le ugna, le quali col tempo crescono due cotanti più rasoi di prima.
Però non vi era tempo da perdere, e bisognava dare base a questa faccenda, chè il tumulto va a catafascio come Dio vuole, ma per la guerra ordinata è un altro paio di maniche. Nel decembre del 1730 giusto l'antivigilia di pasqua di Ceppo, i Côrsi convenuti nella pianura di san Pancrazio si accordarono facilmente sopra i partiti da praticarsi; solo non sapevano dove darsi di capo per la scelta di un generale, quando di un tratto vedono passare, montato sur un mulo, il signor Andrea Ciccaldi, uomo nobile e facoltoso di Vescovato: lo fermano e lo eleggono capitano: egli bada a ringraziare, e dichiarandosi indegno dell'onore lo rifiuta: gli rispondono, accetti, altrimenti come a nemico torranno la vita e ne diserteranno i poteri. Se però il signore Andrea prese a contragenio il comando, non lo esercitò con minor fede o prodezza; e quando in appresso io gli rinfacciai cotesto suo schermirsi, egli mi rispose sorridendo: — Che volete, padre Bernardino? anche Gesù Cristo parve aver caro gli fosse rimosso il calice della passione dai labbri; in effetto codesto comando fu, per quel signore, calice di passione, e quanto amaro! Oltre le fatiche, le cure e i pericoli manifesti, appene potè sfuggire le insidie, massime quando Camillo Doria (i generali genovesi trattavano meglio il veleno della spada) tentò farlo avvelenare da Petruccio di Orezza; e i beni si vide arsi, le case disfatte; parecchi dei suoi morti, ed egli finalmente ebbe a esulare in Ispagna; dove, a vero dire, si trovò accolto a braccia aperte e promosso a colonnello di fanteria, ma ad ogni modo quel dovere vivere fuori di casa è una gran pena al cuore; adesso che i suoi occhi avrebbero potuto deliziarsi nello aspetto della patria risorta, glieli ha chiusi la morte. Dio esalti la sua anima secondo i meriti. — Il signore Andrea, col consenso dell'assemblea, si aggiunse nel comando Luigi Giafferi di qua dai monti, e di là Luca d'Ornano e Domenico Raffaelli preti: il pievano Aitelli, uomo capace di governare un regno, fu eletto a segretario, anzi si deve a lui la scelta dei compagni che fece il signore Andrea, la quale non poteva cascare in persone più acconcie al fine di raccogliere in mazzo tutti gli umori della isola, imperciocchè egli rappresentasse l'ordine dei nobili, il Giafferi i popolani, Luca la memoria di Sampiero primo vendicatore della libertà côrsa, il prete Raffaelli, gli ecclesiastici svisceratissimi dell'indipendenza della patria. Questo, a mio parere, fu ottimo partito e da seguitarsi da quanti s'affaticano nelle civili rivolture, imperocchè importi nei casi di momento impegnare tutti i cittadini a sostenerli coll'arco del dosso, e la esclusione partorisce superbia da una parte ed odio dall'altra; dove poi occorrono umori dei quali tu a verun patto ti possa servire, allora dà un'occhiata alla punta della tua spada, un'altra al cielo, e dopo decidi quello che tu ne abbia a fare. — I generali, assembrata la consulta in Corte, questa, non contrastando alcuno, bandì la libertà côrsa e la decadenza della Repubblica genovese dalla sovranità della isola: poco dopo diciotto teologhi convenuti nel monastero di Orezza, disputata sottilmente la materia, dichiararono giusta la guerra contro Genova, come quella che se mai aveva avuto diritto a reggere l'isola, la trascinava tiranna: questa sentenza confermò più tardi con nobilissimo scritto monsignor Natali, vescovo di Tivoli, nato in Oletta, il quale, da quel valentuomo ch'egli era, prese a chiarire tirannia che fosse, e potersi, anzi doversi, combattere il tiranno. I Genovesi commisero a certo azzeccagarbugli di rispondergli, ed egli lo fece con uno scritto sciatto, intitolato Anticurzio; ma non lo trovando concludente, incombenzarono un sicario a confutarlo meglio; questi vi adoperò uno stilletto a tre tagli, e ne ferì nel ventre monsignor Natali, che si condusse a fine di vita, la quale però gli fu salva per l'intercessione della Immacolata, e mercè le cure del suo compatriota Saliceti, archiatro di sua santità Pio VI.
E poichè nella ingenerosa mercatanzia si apprende a truffare forse, ma si disimpara a reggere e a vincere i popoli, i Genovesi, sfidati di venire a capo della ribellione côrsa, si volsero per aiuto allo imperatore Carlo VI: qual coltello tal guaina: il tedesco di Austria, povero e avaro, in bottega o nella reggia, traffica sempre; sennonchè nella reggia, vende sangue; di fatti Carlo VI si chiamò pronto ad accomodare la Repubblica di dieci e più mila Tedeschi se le garbasse, a patto, che vivi gli mantenesse e morti glieli pagasse; la Repubblica spilorcia rispose per ora gliene basterebbero 3000, e tanti ebbe dal conte Daun, governatore di Milano, condotti dal barone di Schemettau, ma poi parvero pochi, e ne chiesero altri duemila. A prima giunta questo gentame ci fece del male assai, ed io lo so, perchè sortito, quando ce l'aspettavamo meno, da Bastia, ruppe i nostri, ed io ci cascai prigioniero: taccio gli strazi che patii; qui fu che esposto alla berlina non dubitai confermare sotto il patibolo, in profitto della libertà, la testimonianza che aveva palesata in Orezza; però dissi con gran voce queste parole: «La guerra che fanno i Côrsi è giustissima; io fui primo a chiarirla tale nella consulta di Orezza: e per dimostrarvi come per la patria e per la libertà io voglia patire tutto, ripeto qui la medesima cosa, intendo dire, ch'è giustissima la guerra impresa dai Côrsi contro Genova.» Ma come fossi quinci remosso a vergogna, trasferito a Genova, condannato a morte e salvato, non importa raccontare; bensì giova che voi sappiate, come i Tedeschi movessero contro la torre di san Pellegrino, e l'ebbero per tradimento; ma i nostri ce li chiusero dentro, per modo che non potendo cavare il vivere tranne dalla parte di mare, e questo indiavolato non permettendo gli approdi, furono costretti di venire a mercede. Il generale Giafferi aborrì di mettere a morte i supplichevoli, concedendo loro abilità di tornare a Bastia, e tregua di due mesi: sperò il generale che i modi onesti fruttassero qualche via di accordo ragionevole, e s'ingannò, perchè spirata la tregua i Genovesi bandirono la taglia di cento lire per testa di Côrso, e gli usseri, ubbriacati dalla cupidità del premio, ne portarono parecchie in Ajaccio e l'esposero, com'essi dissero, in esemplare corona su i merli della città. Avrebbero potuto in vendetta i Côrsi vendere i prigioni genovesi ad Aronne giudeo, che ne profferiva 80 mila piastre, ma non lo vollero fare, chè carne battezzata, quando è nemica, si ammazza, non si vende; e indi a breve una grossa mano di Tedeschi, condotta dal colonnello Vius e da Camillo Doria, uscita da Calvi, assalta Calenzano: erano 500, e prima di sera l'imperatore potè spedirne la fattura alla Repubblica in 50 mila fiorini, perchè erano tutti morti, e a 100 fiorini per testa sommano a tanto. Noi gli seppellimmo in luogo a parte, ed ogni anno celebriamo una messa per l'anima loro, ed aspergiamo le fosse con l'acqua santa: ah! signore Inglese, voi non siete prete e non potete sentire la dolcezza tutta divina di pregare pace pei nemici sepolti nella nostra terra.... e con le nostre mani.
Il signor Giacomo, cui parvero coteste parole feroci, si voltò verso il frate con la intenzione di fargliene rimprovero, senonchè lo vide così compunto di compiacenza, e sto per dire quasi trasfigurato dall'estasi, che dando un grossissimo colpo alla tabacchiera pensò: — Si danno certi sentimenti, che su due piedi non si può giudicare se meritino salire in alto per fermarsi su la forca o per continuare fino al paradiso: ci mediteremo a comodo.
— Nè questi furono i soli; nell'ottobre verso san Pellegrino accadde il memorabile fatto di arme, nel quale più di mille Tedeschi rimasero morti sul campo; ormai gli animi inviperiti ruggivano, i quartieri da una parte e dall'altra non si davano e nè si chiedevano. Parve bene mutare registro; allora vennero il principe Luigi di Wurtemberg, il barone di Schemettau e il principe di Culbah accompagnato da quattromila uomini; i sopraggiunti ne toccarono e ne fecero toccare; Schemettau assaltò il Nebbio, e prese Lento e Tenda, ma alla Chiesa Nera ne rilevò una battosta delle buone; il principe di Wurtemberg non potè penetrare, come divisava, in Balagna; allora pubblicò l'editto col quale si bandiva perdono universale, promessa di udire le istanze ed appagarle se ragionevoli; l'imperatore garantirebbe ogni cosa. Dei Côrsi alcuno accettò volentieri, parendogli duro avere a cozzare coll'Impero, tal altro mal volentieri, chè avendo gustato di già le promesse genovesi se ne sentiva ancora alleghiti i denti; ai generali, considerando che se rimasti uniti era malagevole resistere, impossibile riusciva allora che gli animi andavano divisi, parve bene accordare; ebbero dai Tedeschi carezze infinite; il principe di Wurtemberg li convitò a pranzo, bevve alla salute; partito egli, Wactendock, che aveva ruggine co' generali per le sconfitte sofferte, d'accordo col commissario genovese Rivarola, gli arresta, e li manda a Bastia: quinci imbarcati spedisconsi a Genova, che senza un rispetto al mondo li caccia, contro la fede dei trattati, in prigione a Savona. Da prima si bociava volessero strozzarli, poi si disse la Repubblica starebbe contenta a tenerli prigioni: di cotanta infamia si commossero i Côrsi, e, a lode del vero, non pure uomini principalissimi, bensì popoli interi di Europa; il canonico Orticoni, personaggio di bello aspetto e ben parlante, corse fino a Vienna a far valere la ragione dei traditi presso la corte: vi s'interpose lo stesso principe di Wurtemberg, che, nonostante tedesco, pare che fosse galantuomo; vi adoperò di ogni maniera ufficii il barone di Neuhoff, allora oratore di Carlo VI a Firenze, ma sopra tutti valse il principe Eugenio di Savoia, nell'anima del quale l'onore della giustizia superò quello della gloria. I Genovesi, volendo sgararla, mandarono alla volta loro a Vienna un marchese Girolamo Pallavicino con buone genovine e con cattive ragioni. L'imperatore s'intascò prima le genovine, poi disse, che lo esposto dall'oratore genovese era bugiardo, e tillato dal cervello di dieci curiali; sicchè mettessero i prigionieri in libertà e presto: allora i Genovesi non potendo calmare la paura, vollero compiacere alla vanità, ed introdotti i generali Ciaccaldi e Giafferi, il pievano Simone Aitelli e il prete Simone Raffaelli nella sala del gran consiglio alla presenza di una moltitudine di gente, ebbero a protestarsi pentiti dell'operato e ringraziare la Repubblica della restituita libertà.
Questi furono i benefizii degli Austriaci alla Corsica: Genova ci spese meglio di 8 milioni di scudi; dei regali ai Wurtemberg si fece un gran dire a quei tempi; appena la nave che lo condusse a Genova sorse nel porto, lo salutarono con le artiglierie; posto piede a terra, cannonate da capo; fu ricevuto da due deputati del consiglio grande, che lo menarono con le carrozze del governo nel convento dei Carmelitani, dove gli avevano fatto apparecchiare l'alloggio; lo invitò il Doge alla grande; e di ritorno a casa fu presentato con casse di cioccolate e di varia ragione liquori; ancora di una canna d'India diamantata e di una spada altresì, intorno alla impugnatura della quale si leggevano incise le parole: — Mi acquistasti con gloria, conservami con onore. — Per ultimo venivano quadri rappresentanti le sue imprese di guerra e di pace operate in Corsica, e si crede di certo che il pittore, cui furono commessi, ebbe a sudare meno di quello che dipinse le geste di Alessandro Magno. La fama raccontò che il valsente dei regali sommasse a meglio di 80 mila genovine; ma forse fu iattanza dei Genovesi, i quali, quanto sottili nel dare, altrettanto sono larghi a magnificare; ad ogni modo spesero molto, e non levarono un ragnatelo da un buco, anzi opinarono parecchi che avessero peggiorato le loro faccende, e fu appunto in proposito di questa guerra, che il marchese di Argens inventò l'apologo dell'ortolano e del cacciatore, il quale, come giocondo molto, vi voglio raccontare. Certo ortolano non poteva venire a capo di salvare i suoi cavoli, chè una maladetta lepre quanti ne nascevano, tanti gliene mangiava, ond'ebbe ricorso a certo cacciatore suo vicino, raccomandandosi che andasse a cacciargliela: questi glielo promette, ed un bel giorno arriva co' cani, che sguinzagliati sopra la lepre, la perseguitano di su e di giù facendo maggior danno in un'ora, che la lepre in un anno; al fine la lepre scappa; il cacciatore chiede la mancia, e consiglia l'ortolano a turare le buca della siepe donde la lepre potrebbe rientrare nel verziere. — I Genovesi, costretti ad osservare, almeno in apparenza, i termini dello editto imperiale, mettono su con poche lire una mano di furfantoni a chiedere grullerie, le quali subito concedendo, intendevano potere affermare di avere largito quanto i Côrsi avevano saputo chiedere, anzi qualche cosa di più; ma sventarono il tranello Giacinto Paoli, Simone Fabiani, G. Giacomo Ambrosi e Angiolo Luciana e Antonio Marengo, i quali prima chiarirono come quei ribaldi non avessero ricevuto veruna commissione dal popolo, e poi che coteste l'erano cianciafruscole, e ci voleva di altra maniera riforme per riparare i vecchi abusi; così bisognò alla fine promulgare un regolamento, dentro il quale non si sguazzava, ma si lasciava vivere; l'imperatore l'approvò e ne guarentì l'adempimento; i Genovesi lo sottoscrissero e deliberarono non osservarlo. Dio sta in alto e il re abita lontano, dicevano i vicerè di Napoli; i Genovesi non lo dicevano, ma lo pensavano, ed operavano giusto secondo tale opinione. — Siccome lo espediente più corto e ad un punto più sicuro di ottenere il silenzio sta nello ammazzare chi parla, così Simone da Campoloro, Giovanfrancesco Lusinchi assassinano, l'Alessandrini imprigionano, citano a comparire in Bastia Giangiacomo Ambrosi, Giacinto Paoli ed altri parecchi; domandando essi salvocondotto, si mandano 450 soldati in Rostino sotto il comando del capitano Galliardi ad arrestarli; i Côrsi gli assaltano e rompono. Felice Pinelli, surrogato a Girolamo Pallavicino, bandisce perdonerebbe la ribellione a patto gli consegnino i capi.