Читать книгу Pasquale Paoli; ossia, la rotta di Ponte Nuovo - Francesco Domenico Guerrazzi - Страница 4

CAPITOLO II. Il mercante côrso

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Il signor Boswell, consultato il suo taccuino, si condusse senza sbagliare nella piazza grande: quando fu sopra la crociata del duomo, si girò a destra, e visto di fondo alla lunga strada spuntare parecchi pennoni di bastimenti, avviossi costà con passi accelerati, sicuro del fatto suo. In andando teneva la faccia voltata sopra la spalla sinistra, come le nottole nel volare costumano, e fissa a leggere il numero dipinto sopra gli stipiti delle porte de' casamenti. Di un tratto sta, rilegge il numero e mormora:

— Senz'altro è qui.

Guarda meglio, volta la faccia in su e mira una casaccia sciatta, scappata di mano all'architetto tra uno sbadiglio e uno starnuto, con certe nicchie ovali a tutti i piani nel sodo, tra una finestra e l'altra ornato di busti, i quali a tanta lontananza non sapevi distinguere se fossero di marmo o di bronzo o di che cosa si fossero; e peggio ancora non si conosceva se rappresentassero principi di corona o persone di garbo, o se turchi, ebrei o cristian rinnegati. Ai noti segni confermandosi nel suo giudizio, il signor Giacomo, dato un giro alla tabacchiera, ripetè:

— È qui.

Ma dove qui? abbacava poi dentro di sè. Da un lato gli si mostra una bottega con la insegna di una immane mignatta di lamiera tinta di verde, la quale vomitava un torrente di bambagine colorita nella robbia in simulacro di sangue e faceva fede lì dentro vendersi le mignatte. Ora pareva al signor Giacomo che un mercante rispettabile (anche a quei tempi in commercio chiamavasi rispettabile chi aveva quattrini, fuori di commercio divo ed augusto, e tuttavia si chiama) non avesse a trovarsi in combutta con le mignatte: e posto eziandio alla più trista che la prima qualità di mercante non facesse ostacolo, per la seconda poi di rispettabile non ci quadrava assolutamente. Dall'opposto lato dentro un'altra bottega, il più innocente dei peccati mortali, sotto la forma di marzapani e di zuccherini, tendeva le reti per uccellare anime al demonio. Quante insidie alla nostra salute! e la nostra umanità è tanto frale! Chi avrebbe mai presagito un dì che Satana, proprio lui, per perdere un'anima cristiana, avesse potuto assumere la figura di confetto parlante? Ci pensino i confessori, ci pensino seriamente e ci provvedano.

Però, se un mercante rispettabile non poteva avere pratica con le mignatte, molto meno era da credersi tenesse domicilio comune co' marzapani. Tuttavolta, quasi nascosta tra gli sporti delle due botteghe, a cui ci avesse con diligenza atteso, sarebbe riuscito scoprire un'altra porta angusta, nera nera nera poco meno della coscienza di un gesuita o di un moderato, chè ella è tutta una minestra; ma, a quanto appariva, la porta era di bottega; e tuttavolta non ci cascava dubbio, cotesto per lo appunto era il luogo che indicavano i ricordi del signor Boswell. Ora, poichè non ci lesse scritto sopra:

Uscite di speranza, o voi ch'entrate,

come su la porta dello inferno (e nello inferno il signor Giacomo non ci credeva; e quando anco ci avesse creduto, egli non ignorava che anco dallo inferno si esce, non fosse altro, agguantandosi ai peli dell'anguinaia del diavolo, a modo che Dante adoperò), il nostro eroe, risoluto, si mise dentro alle segrete cose.

Inoltrandosi nello andito lungo, a poco poco la luce illanguidì, cassò del tutto, tornò ad apparire annacquata, un po' meno; per ultimo venne a riuscire in una chiostra.

Chiostra ho detto, e doveva dire campo di battaglia non che museo delle geste e delle glorie del commercio, quivi disposto dalla mano della Memoria in trofeo. Colà il signor Giacomo contemplò botti, damigiane, caratelli incerati, involture di canapetta, brani di stuoie, casse di ogni maniera, fra le quali ne riconobbe parecchie di origine britannica, nobile orgoglio per un cuore inglese! Sul culmine del trofeo, come su l'elmo di quel Niccolino che combattè a Benevento e fu sì infesto al re Manfredi, sedeva un gatto.[1]

Il gatto da prima comparve degno dell'alto seggio a cui era stato assunto in virtù delle sue zampe (e troppi più che Dio non vorrebbe, per andare in cima, non posseggono cagione migliore di questa) mercè la fronte di bronzo e la immobilità veramente imperiale; e non senza quia dico imperiale, affacciandomisi al pensiero quel Costanzo Cloro, che riputò parte cospicua della sua dignità non soffiarsi mai il naso: se non che ad un tratto sprigionata una zampa dalla coda, che aveva tenuto fino a quel momento inanellata a mazzocchio attorno alle gambe, prima se l'accostò alla bocca e la baciò, poi se la stropicciò a più riprese pel capo disopra l'orecchia, e lungo il muso, quasi intendesse augurare il ben venuto al signor Boswell, secondo il costume degli orientali. Il signor Giacomo, senza rendergli nè anco il saluto, ed in questo non fu cortese, si girò intorno per vedere se incontrasse cosa che lo mettesse su la buona strada: ed ecco pararglisi davanti un cane ed un uomo, se uomo in buona coscienza poteva dirsi costui: berretto, giubba e ogni altra veste color marrone, pelosi quanto pelle di capra, e di vero tutte erano fatte di panno côrso, il quale le donne tramano co' ferri a mano come la maglia delle calze. Costui, che côrso era, aveva i piedi nascosti nella paglia, sopra la quale giaceva supino con le mani sotto il capo a mo' di capezzale ed il berretto tirato su gli occhi; i suoi capelli copiosi si mescolavano con la barba, ed entrambi apparivano coltivati quanto le boscaglie del suo nativo Niolo, e per di più nella tinta, pari al berretto e alle altre vesti; immobile affatto, se non che nella guisa che il fumo del cammino ti assicura che nella capanna perduta in mezzo allo scopeto ci vive l'uomo, i buffi fetidi dell'erba côrsa, che scoppiettando dentro la pipa ardeva, lo manifestavano vivo. Sopra la stessa paglia un cane di pelo corto, bianco brizzolato di rossigno, la coda a ricciolo su la groppa, il muso tra la volpe e il lupo, stava eretto su le zampe, appuntando le brevi orecchie e mostrando due file di denti acuti come lesine. Non brontolavano l'uomo nè il cane, ma pareva tenessero apparecchiate le armi alla zuffa, e con quattro occhi, pari a quattro punte di freccia su la noce della balestra, non lasciavano di seguitare il sopraggiunto in ogni suo moto.

Però il signor Giacomo cotesti allestimenti non badava o temeva, bensì esitava pensando se, per ottenere risposta profittevole, tornasse meglio voltarsi al cane od all'uomo; ma perchè aveva fretta, e la indagine sarebbe andata per le lunghe, s'indirizzò ad ambedue per via di domanda generale:

— Il signor Giacomini di Centuri?

Veramente rispose l'uomo, ma non si potrebbe negare che rispondesse anche il cane; imperciocchè se il primo levò la barba in su e adoperando la pipa come l'ago della bussola indicò una porta, il secondo abbassò il labbro superiore e nascose i denti come la fregata, calati gli sportelli, fa scomparire i cannoni, volgendo a sua posta il muso colà dove il compagno aveva appuntato la pipa. Il signor Boswell, in mancanza di meglio, si tenne per informato e andò oltre.

Stretta era la porta, e delle imposte una chiusa, l'altra semiaperta con una finestrina sopra munita d'inferiata: nè a questa finestra mancavano i suoi telai ed i vetri; se non che, quasi andasse ella stessa capace che in quel luogo non poteva compire veruno degli ufficii pei quali vengono aperte le finestre, e come vergognosa di reggere il sacco all'architetto ignorante, si era da molto tempo velata la faccia con un sudario di ragnateli; meritandosi, in difetto di altro migliore, il nome di sincera.

Il signor Giacomo, guardata prima la finestra, che non mandava lume, aperse l'uscio, fece un passo e stette. Curioso uomo costui: caso mai gli fosse toccato di morire di freddo, egli era strumento da tornarsi indietro dal campo santo per ispecolare sul termometro con quanti gradi sotto il zero e' lo avesse ucciso.

Egli guardando vide un magazzino a volta grandissima, sorretto da parecchi pilastri; a manca intorno alla parete molte tavole assicurate sopra mensole fitte nel muro: e su le tavole, ciotole piene di saggi di grano alternati da mucchi di pietre focili e sacchetti di pelle; anzi in qualche corbello (insegnamento supremo a popolo che non vuole soggiacere a tirannide, rivendicarsi in libertà) mescolati palle e grano; in terra alla rinfusa corami, scarpe, sciabole, cappotti, di ogni ragione ferramenta, piombo in pani e perfino due colubrine turche, coperte in parte con la bandiera côrsa, rappresentante la immacolata Concezione.


Il signor Giacomo, pazientissimo uomo, attendeva in piedi, che il signor Santi si fosse accorto di lui. (pag. 21)

Di profilo, prossimo alla sola finestra che traverso vetri verdissimi mandava un cotal poco di luce colore di cavolo cappuccio, compariva il banco tinto di cenerino col piano inclinato, coperto di cuoio nero confitto con bullette dalla capocchia di ottone; dal lato destro sur un ripiano di legno si apriva la bocca del calamaro, quasi orefizio di vulcano; il qual paragone tanto meglio calzava se ponevi mente agli schizzi che, simili alla lava, infiniti e per così dire procellosi prorompevano da tutti i lati. Anche le penne con la chioma a strappi, dalle morsicature lacere, assai davano aria alle povere piante che si ostinano ad abbrustolire intorno cotesti fornelli della terra, vere anime dannate della vegetazione. Sopra lo scrittoio, fitti al muro uno su l'altro, tre quadri condotti a olio da artista più che mediocre, e splendidi per cornice indorata: quello di mezzo rappresentava la Concezione di Maria, al patrocinio della quale si commisero i Côrsi, quando, partito dall'isola il principe di Würtemberg, si dettero al re di Spagna che non li volle accettare. Nel medesimo modo e con pari fortuna i Fiorentini elessero Gesù Cristo re della repubblica; donde si ricava che gli uomini opereranno sempre direttamente a confidare negli aiuti celesti, a patti che non trascurino i terreni. Sopra la Concezione l'arme côrsa, che faceva testa di moro, e allora con la fascia intorno al capo: circa alla quale fascia è da sapersi che ab antiquo i Côrsi la finsero calata su gli occhi del moro per la medesima ragione che persuase il Buonarroti ad effigiare la Notte addormentata sul sepolcro di Giuliano dei Medici; cessata la sventura e con questa il danno della servitù, i Côrsi rimossero la benda dagli occhi del moro e gliela cinsero al capo in segno di dignità. Quando poi i Francesi con forze prepotenti e con frode oppressero la nobile isola correndo l'anno 1770, ardirono levare via del tutto la benda e se ne vantarono con un verso latino che sonava così: altri finse sollevarla, noi l'abbiamo tolta davvero. Ahimè! vi è tale ch'è nato per imbiancare i sepolcri come i Savoiardi per pulire i camini. Disotto la immagine del generale Paoli e davanti a quella pendente dal palco il signor Boswell vide accesa una lampada. Difficile cosa per altrui ed anco pel signor Giacomini sarebbe stato distinguere a quale dei tre quadri egli più particolarmente accendesse la lampada; imperciocchè se ne fosse formato nel suo cuore un insieme indivisibile, di cui il tutto non potesse andare senza la parte, nè la parte senza il tutto. Degno uomo! Non basta avere la patria sventurata soltanto, ma bisogna anco averla magnanima per amarla, siccome il signor Giacomini l'amava.

Santi Giacomini, côrso di Centuri, stava seduto sopra un seggiolone di cuoio nero; comecchè fossimo entrati in aprile, egli teneva la persona inviluppata dentro una coperta di lana, e dietro le spalle ed ai lati parecchi guanciali da letto lo sorreggevano: tossiva continuo, ora languido, ora da rompergli il petto: con angoscia spurgava; poteva del suo sembiante conoscersi poco, perchè un berretto a maglia di seta nera, il cappello ed una ventola di taffettà verde gli coprivano col capo buona parte del viso, e, come se tanto non bastasse, difendeva la vista con occhiali verdi; la parte inferiore della faccia quasi tuffata dentro il fascettone da collo.

Quanti fossero i suoi anni non appariva giusto; ma, pochi o assai, si leggeva chiaro che la morte stava in procinto di tirarne la somma. La pelle sul naso aveva tesa così, che gli spigoli della costola mostravano gli angoli taglienti; le narici attenuate e cosparse di quella tale forfora che sembra mazzamurro di ossa tritate; la pelle colore di cera vieta e madida di sudore; sul sommo delle guancie una striscia vermiglia quasi raggio estremo del sole che, posato sopra le alture, chiami le campane al lamento dell'avemaria. Come mai in cotesto stato potesse vivere, non si capiva: l'amore di patria lo teneva attaccato alla vita, ed era appunto miracolo, e non il solo, dello amore di patria: questo, e non altro, con tale una tenacità da sbalordire il fisiologo, contrastava in lui la morte, e da un anno a questa parte egli le respingeva in gola ogni giorno il fiato che costei già soffiava per ispegnerlo: così la foglia a mezza verno dura, mutata di colore, a tremare al vento, in virtù di una delle mille fibre che un dì la tennero appesa sull'arbore, nè ella vuole morire se prima non abbia veduto spuntare sul ramo la gioconda sua erede.

Questo miracolo di ostinato volere teneva nella destra un fascio di carte e nella manca un temperino. Nello scorrere i fogli talora abbandonava il capo sopra la spalla così spasimato, che se la morte fosse giunta in quel momento, sarebbe ita oltre senza toccarlo dicendo: «Questo è lavoro fatto;» tale altra poi le pupille di sotto ai vetri verdi mandavano fuoco, le labbra parole indistinte fremevano, ed egli feriva della punta del temperino i fogli con la ferocia con la quale il Côrso si butta a corpo perduto sopra l'odiato nemico.

Il signor Giacomo, pazientissimo uomo se altri mai ne visse al mondo, e se ne vantava, attendeva in piedi che il signor Santi si fosse accorto di lui; intanto, dondolando la scatola fra le dita, squadrava l'uomo e ne avvertiva i cenni; all'ultimo, ciò che aveva presagito accadde: al vecchio Côrso venne fatto notarlo, ond'ei si rimescolava e con voce scorrucciata proruppe:

— Come voi qui? che volete? qual siete? come vi chiamiate? andate via... e subito. — E con la punta del temperino gli mostrava la porta.

Ed il Boswell, senza moversi nè anco per ombra, pacato, di rimando:

— Caro signore, salva la grazia vostra, io non veggo nelle vostre parole quella sana logica che ogni gentiluomo deve recarsi a pregio di professare: quietatevi, e con la quiete verremo a capo di tutto.

— Ma qual siete? vi dico, qual siete?

— Voi lo vedete: molto vi preme di sapere chi sia; ora ditemi, che Dio vi benedica, come giungereste a saperlo se cominciassi ad andarmene? Dunque principierò dal restarmi e dal mettermi a sedere.

Il signor Giacomo nel compire questo moto si accorse essersi ingannato e di molto nel supporsi solo in compagnia del signor Santi, però ch'ei si vedesse il cane dietro a un pelo dai garretti con la batteria dei denti scoperta, e dopo il cane l'uomo castagno con la destra dentro una tasca di giubbone, dove era più che probabile che non ci avesse il rosario, o almeno non ce lo avesse solo. Però a liberarlo da coteste due minaccie bastò un cenno della punta del temperino del signor Santi (pare che al signor Santi il temperino fosse come il bastone ai marescialli), e le due creature, l'uomo dico e il cane, nel modo che senza rumore erano entrate, senza rumore se ne andarono.

— Molto bene! — disse il signor Boswell quando le vide fuori dell'uscio. Poi rivolto al Côrso, soggiunse:

— Ora sappiate che mi chiamo Giacomo Boswell e vengo d'Inghilterra e voglio andare in Corsica.

— Andateci. E come c'entro io co' vostri viaggi? In Corsica! Oh! che ci andate a fare?

— Dirò: molte cose ho sentito contare di voi altri Côrsi.

— Sì, eh?

— Sì, e ne ho anche lette e non poche.

— E che avete sentito dire dei Côrsi? che cosa ne avete letto? Poveri, ma onorati, per la Immacolata! e sopra tutto liberi.

— Io ho inteso dire ed ho letto, la Corsica essere una macchia di uomini salvatichi, dentro la quale l'uno cerca l'altro per ammazzarsi.

— Lo avete inteso?

— Già: ancora, che siete barbari così che, paragonandovi con gli orsi, ingiurieremmo questi animali dabbene.

— Lo avete inteso?

— Ed in fede della incomportabile barbarie vostra adducevano che i vostri montanari non portano parrucca e non si danno la cipria.

— Ed anche questo avete inteso voi?

— Questo non intesi, bensì lessi nel libro di monsieur Jaussin sopra la Corsica.

Il signor Santi fece spallucce e senza ira soggiunse:

— I Francesi fanno numero, ma non fanno gente; la lode di costoro mi avrebbe oltraggiato, ma l'oltraggio non mi affligge.

— Però ne ho sentito contare delle peggio da altri che pure non sono francesi.

— Peggio?

— Peggio: perchè vi predicavano bugiardi, infingardi, cupidi dello altrui, avari del proprio, vendicativi, ingannatori e traditori....

— Traditori? Per Dio santo! anco traditori?

— Anche traditori; insomma tali, che i Romani, i quali di uomini se ne intendevano, non giudicandovi buoni nè anco per ischiavi, vi buttavano via come cani tignosi.

— Qual è lo sconsagrato che ha detto questo, perch'io gli passi il cuore? — urlò il vecchio levandosi a mezzo sul seggiolone e scompigliando i guanciali, di cui due cascarono in terra. Il signor Giacomo li raccolse, e, intanto che a bello agio li riassettava, proseguiva con la solita flemma:

— E che bisognava condursi proprio in Corsica per toccare con mano che chi disse sette i peccati mortali, disse uno sproposito, perchè il diavolo in Corsica ne aveva annoverato fino a settantamila e non si era anco rimasto dal contare.

— E voi ci avete creduto?

— Io? vado a vedere.

— Ma io vi domando se voi ci credete?

— No, non ci credo: anzi credo il contrario, perchè ho fatto a dire: la libertà non è fungo che nasce dal fracido; ella deriva come sequela da premessa di virtù e completa il sillogismo della dignità umana. I Romani vi odiarono e vi portarono per bocca perchè nello stritolarvi si scorticarono le mani; i corpi vostri essi vinsero, non le anime, le quali, durando a loro marcia voglia, inconcusse nello aborrimento di qualunque tirannide, eglino screditarono per selvatiche. La gente odierna corrompere ed essere corrotta appella civiltà; prosuntuosa quanto vile, non le basta chiamare la pazienza imbelle accortezza, la paura sagacia, temperanza l'astio misero di ambiziosa impotenza, bensì provocando scredita ogni generoso irrompere alle armi, come febbre di mente feroce o partito da matto, il quale metta il fuoco a san Pietro di Roma per cuocersi una coppia d'uova;

— È vangelo! — esclamò il Côrso; e prese un mazzolino di mughetti che gli stava accanto sul banco e, sollevati gli occhi alla immagine della Immacolata, riprese:

— Era per lei, ma adesso lo profferisco a voi, e la nostra Avvocata non se ne arrecherà di certo.

— Per lei fu côlto e a lei sta bene, — rispose il Boswell alzandosi e facendo quello che forse aveva dimenticato il signor Giacomini, cioè porre il mazzetto dentro un bicchiere davanti la immagine. Nel riassettarsi però vide il Côrso il quale, rannuvolato da capo, sfondava col temperino i fogli che teneva sul banco. Successe un silenzio lungo, per ultimo interrotto da un sospiro del Giacomini, cui tenne dietro la dolorosa esclamazione od interrogazione:

— Ma ahimè! voi siete inglese...

— Sì certo, la Dio grazia: avreste per avventura in uggia gli Inglesi, signor Giacomini?

— Eh? gl'Inglesi no, l'Inghilterra sì. A me gl'Inglesi paiono tante partite di un conto corrente, scritte dagli angioli, l'Inghilterra poi la somma tirata dal diavolo in persona.

— Oh!

— Io non posso pensare alla Inghilterra senza che mi si affacci alla mente il mio Monterotondo: più che si salisce, più è freddo; in cima ghiaccio perpetuo. Gli uomini vostri, finchè privati, sentono e palpitano; fatti ministri, eccoli bilancia e iarda: allora il popolo più meritorio per essi è quello che logora maggior copia di balle di bambagino, l'ottimo dei governi quello che franca dai dazi le manifatture inglesi e grava le altrui.

— Egli è un dannato governo.

— Vedete? ne andate d'accordo ancor voi. Il primo dovere di un popolo libero non istà nel sovvenire gli altri popoli a liberarsi dalla schiavitù?

— No, signore. Il primo dovere dei popoli e di chi li governa consiste nel procacciarsi la maggiore somma possibile dei beni.

— Come, come?

— Senza dubbio. Prima che i popoli diventino Cristo, il quale si fece crocifiggere per la salute dei genere umano, tempo ci vorrà; ed anco Cristo fu solo.

— Dunque perchè mormorate contra al vostro governo?

— Io gli do torto perchè i governi, promovendo gli interessi proprii, devono avere occhio agli altrui: altrimenti ogni cagione di alleanza durevole casca. Ora l'Inghilterra, proteggendo la Corsica a conservare la sua libertà, metterebbe un altro piede nel mediterraneo; sostenendo voi altri nella vostra indipendenza, si assicurerebbe la vostra amicizia. L'ingegno degli uomini di stato, mio caro signore, non mette allo sbaraglio le cose proprie per avvantaggiare le altrui, bensì s'industria di toccare la cima della prosperità per via del bene degli altri; imperciocchè, voi lo vedete chiaro, nel primo caso rovinano ambedue, nel secondo fioriscono entrambi.

— Sia: anzi per lo appunto la va così; ed è per questo che l'Inghilterra nel giudizio dei popoli deve accomodarsi fin d'ora di andarsene allo inferno senza salvazione, mentre la Francia può sempre confidare nel limbo o alla più trista nel purgatorio. Di fatti nel giorno del giudizio l'Inghilterra che cosa vorrà mettere sul guscio della bilancia per equilibrare l'ira di Dio? Forse la leggerezza della Francia? Ma no, perchè ella medita sempre col dito teso verso la fronte. Forse l'orgoglio della Francia? Ma no, chè il giusto sentimento del volere e del potere non fa orgoglio. Forse la iattanza della Francia? Neppure. L'Inghilterra si astiene dalla stima e dal disprezzo anticipato, aspetta, giudica e onora quanto trova degno di onore. L'Inghilterra pertanto proverà più pesante la mano di Dio per la ragione, che al tristo savio sarà chiesto conto più rigoroso che al tristo folle.

— Badate, caro signore: la vita dei popoli non si compone mica di anni e nè anche di secoli: onde, vedete, l'Inghilterra ha un bel tempo dinanzi a sè per pentirsi.

— Sì, e intanto gli uomini si disperdono dentro i sepolcri.

— Ma non i popoli, non la libertà.

— Parole stantìe, senapismi ai piedi di tutte le agonie della libertà che passano! Vallo a predicare ai porri che, ammazzati i cani, saranno le pecore custodite meglio; intanto i lupi allestiscono le maschere per il carnovale. Parole scellerate, parole traditore, come le altre che s'ingegnano insinuare, i cittadini essere cosa diversa dalla città, i paesani dal paese, i governanti dal governo! No, per Dio santo! e' formano tutti una cosa; e se il governo è tristo, fa conto ch'ei sia il gavocciolo, e i governanti gli umori pestiferi che lo creano.

— Mio caro signore, bisogna avere avvertenza a questo, che i governi, quantunque potentissimi, non possono mica sempre tagliare la veste dalla pezza. I mali vengono a capitomboli e se ne vanno con le grucce, e chi sta su la fossa piagne il morto. Assicuratevi, signore, che nelle faccende pubbliche se, invece di tirare a modo e a verso, taluno si avviasse dare uno strettone, correrebbe rischio di trovarsi con la corda strappata in mano e le gambe per aria.

— Che strettoni farneticate voi, che strappi? Ora l'Inghilterra ci ha promesso Roma e toma, e, dopo avere aizzata la Corsica a ricuperare la libertà, la lascia in asso: tale altra viene, vede, butta bombe e granate, piglia Bastia, San Fiorenzo, e pare la voglia sgarare con la Francia finchè le rimanga pezzo in mano; di un tratto caglia, lascia lì sacco e radicchio; ha fatto pace soddisfatta lei, contenti tutti, e a chi si muove guai! Allora proibisce che qualche anima buona ci soccorra, ci condanna a morire come cani arrabbiati: di angioli diventammo demonii; a bandirci uomini dabbene non ci trova più conto, le torna meglio adesso di chiamarci ribaldi. «Accomodatevi,» ella urla nel nuovo furore di pace, «accomodatevi come potete.» «Ahimè!» noi rispondiamo «a noi è dato accommodarci tranne nelle fosse del campo santo.» «Bene,» replica l'Inghilterra forbendosi le labbra, «anche costà si trova pace.»

— E rispondendo alla terza domanda — disse il Boswell.

— Quale domanda?

— Di che vada a fare in Corsica. Siccome mi hanno confidato che voi siete in procinto di spedirvi un bastimento...

— Chi ve lo ha detto? non è vero nulla. Corrono degli anni più di dieci che io non commercio più con la Corsica: tutte bugie, tutte bugie.

— Signor Giacomini, vi saluto, e siatemi cortese, prego, del vostro perdono se vi ho arrecato disturbo.

In così dire il Boswell si alzava tendendo la mano al Côrso iroso in atto di commiato amichevole. L'altro, a cui pareva avere detto troppo e già se lo rimproverava, sbalordito da tanta mansuetudine, riprese:

— Non ve lo avreste a caso avuto per male? Credete, io l'ho fatto per isfogarmi, non già con intenzione di offendervi.

— Perchè mi avreste offeso? Primamente voi avete nella massima parte ragione; in seguito, se togliessimo agli infelici il lamento, che cosa altro rimarrebbe a loro?

— Ma via, qui in confidenza ditemi un po': che cosa ci andate a fare in Corsica?

— E voi in confidenza ditemi: ci spedite o non ci spedite il bastimento?

— Io non ci spedisco nulla.

— E allora a che pro la vostra curiosità per me ed anche per voi?

— Perchè, essendo io Côrso, potrei vedere.... voi mi capite... m'ingegnerei agevolarvi la faccenda.

— Ma voi ci mandate la mezza galera sì o no?

— Che diavolo farneticate di mezza galera? Io non ci mando nulla.

— Ed io non vi voglio dire dei fatti miei nulla.

— Signor Inglese, voi siete un testardo.

— Signor Côrso, io stavo appunto pensando lo stesso di voi. Di una sola cosa mi rincresce, ed è che il generale Paoli riceverà più tardi certe lettere importanti ch'io aveva tolto il carico di portargli.

— Voi avete lettere pel generale?

— Sicuro.

— E chi è che manda coteste lettere?

— Ma! ce ne ha di sua grazia lord Pembroke, del reverendissimo vescovo Harley, del cappellano Burnaby, del signor Giangiacomo Rousseau cittadino di Ginevra.

— Sì, signore, io spedisco la mezza galera in Corsica; e quando vi ci vogliate imbarcare, consideratela come cosa vostra.

— Bene! — rispose il Boswell facendosi girare la scatola fra le dita; — ma perchè vi siete ostinato fino...? — Ed esitava a finire.

— Fino alla bugiarderia? — domandò il Giacomini, ed abbrancati con infinita passione i fogli deposti sul banco, disse: — Potete ripromettervi che il vostro sangue inglese, il vostro sangue di uomo libero, spingendosi contro il vostro cuore, non lo romperà d'ira e di vergogna? Lo potete? Udite allora. Sua Maestà il re di Francia, l'amatissimo Luigi XV, si degna avvisarci come egli ci abbia comprato, e la repubblica di Genova venduto. Capite bene: noi, anime cristiane, redente del sangue di Gesù Cristo, comprate e vendute! Poi ci promette che si compiacerà governare la nostra isola con vantaggio di coloro i quali si sottometteranno ai suoi diritti sovrani, la preserverà dai tumulti che da tanti anni l'agitano, e spera non trovarsi ridotto dalla necessità a trattarvi come sudditi ribelli, mostrandosi i Côrsi solleciti di evitare i torbidi che distruggerebbero un popolo accolto con tanta benevolenza dal re nel novero de' suoi sudditi.[2] Che ve ne pare? Non è egli magnanimo, liberale, generoso questo prediletto Luigi XV?

— Così ho letto nell'Addison che sant'Antonio predicava ai pesci esultassero perchè il Salvatore gli aveva eletti per sua particolare pietanza.[3] In verità le sono cose da ridere coteste.

— Certo sì, farebbero ridere, se la fortuna matta non avesse ricucito insieme ventisei milioni di cotesti matti; ma ohimè! ventisei milioni di matti fanno piangere sempre i savii. Adesso mo' sentite quest'altro: Monsieur Claudio Francesco marchese di Chauvelin, gran croce dell'ordine reale e militare di san Luigi, maestro della guardaroba del re, governatore dei castelli e della città di Uguina, tenente generale degli eserciti del re, comandante in capo delle milizie di Sua Maestà Cristianissima in Corsica, ordina e comanda che tutti i naviganti côrsi prendano bandiera francese sotto pena di essere trattati come pirati e furfanti, e qualunque bastimento fosse trovato sprovveduto delle patenti regie si confischi senza altro. Ora come signore discreto, andrete capace come io non mi tenessi obbligato di confidare al primo venuto che io sto in procinto di spedire un legno in Corsica; per ultimo molto più che, innanzi d'inalberarci quella cosa sciapita della bandiera bianca, io torrei a farlo passare per occhio. Dopo quanto vi ho esposto, io dubito che vi sia uscita la voglia di andare in Corsica.

— All'opposto, mi è cresciuta due volte. Io andrò senz'altro.

— Ma allora abbiate fiducia in me, come io l'ho avuta in voi. Ditemi se per avventura vi manda il governo di S. M. Britannica. Ha egli conosciuto finalmente il solenne sproposito commesso nello abbandonarci? Su via, purchè si faccia presto, ci è sempre tempo a ripararlo. Parlate... parlate, chè questa notizia mi riavrebbe da morte a vita. — E il vecchio moribondo agitavasi con la persona troppo più che non facesse il Boswell, giovane e gagliardo.

— Nessuno mi manda, io vengo da me; però molti amici si appassionano meco per la libertà della Corsica e la sovverranno, mossi dai miei conforti, per quanto valgono le loro facoltà. Ancora, noi non siamo bastanti a costringere la corona, a mutare governo, ovvero a imporle modo di politica esterna diverso da quello praticato fin qui, tuttavolta siamo forti quanto bisogna per moverle potente opposizione e persuaderla per lo suo meglio a mutare. Questa è la verità.

— Ebbene andate, nel nome santo di Dio! andate, e vi prenda pietà delle piaghe di un popolo doloroso. Io vi raccomando con tutta l'anima mia la patria, la libertà e il generale Paoli. Se io possedessi un regno, gliel'offrirei; e se giovasse, io gli darei anco l'anima, perchè so che la spenderebbe in benefizio della libertà. Altobello, Giocante e voi capitano, tenete questo uomo dabbene come uno dei nostri, anzi più dei nostri; perchè in noi amare la patria e nei bisogni sovvenirla è di natura, in lui lezione e larghezza di cuore.

A sentire rammentare cotesti nomi, il signor Boswell, voltato il capo, vide dietro a sè tre uomini giovani, robusti a meraviglia e belli, i quali tutti gli porsero le mani ch'egli strinse con affezione. Uno di loro, che alla faccia riarsa dal sole si palesava per uomo di mare, gli disse:

— Signore, i Francesi costumano tenere le spie a Livorno e non poche: veramente ventisei milioni di guerrieri, che pigliano a sgararla con duecento e pochi più mila montanari, dovrebbero vergognarsi di ricorrere a questi ripieghi; ma ciò spetta a loro, a noi preservarcene. Stanotte o piuttosto nella notte di domani tra le dieci e le undici manderò pei vostri bauli all'albergo che vi compiacerete indicarmi.

— Al consolato inglese.

— Inoltre, cominciando da domani sera, procurerete trovarvi poco prima della calata del sole sopra la via del Molo, e precisamente colà dove sopra un muro di cortina osserverete dipinta a olio una grandissima àncora bianca: quanto al resto non vi pigliate travaglio di nulla, io penso a tutto.

— Bene, così farò, — disse il signor Boswell; poi tacque un pezzo, chè stava fra due, e la perplessità lo rendeva impacciato: da un canto pensava andarsene senza altre parole, ma poi non profferire il nolo di passaggio gli sembrava cosa da lesina; per ultimo temeva che l'offerta non adontasse cotesta gente superba. Stretto dal nodo, ricorse ad un partito medio: introdusse l'indice e il pollice della destra nella tasca del farsetto, intanto che con gli occhi sbirciava i volti, parato, secondo che scopriva la marina, a compire l'atto cavando la borsa ovvero la scatola, la scatola, urna per lui di tutte le buone ispirazioni, alla rovescia di quella di Pandora, piena zeppa di mali; la borsa, àncora di ogni tempesta, caduceo di amicizia, scudo superiore a quello di Astolfo contro qualunque pericolo. Di ciò accortosi il signor Giacomini, per levarlo di pena, gli disse:

— Ho capito: non vi garba avere obbligo con noi altri povera gente; voi volete pagare il vostro nolo... gli è vero?

— Veramente io credeva disdicevole...

— Chi disse inglese, disse superbo...

— Veramente io voleva...

— No, signore, voi non dovevate credere e non dovevate volere: anch'io, sapete, sono superbo, e tutti noi Côrsi siamo: non perduti affatto quei popoli ai quali nella miseria loro avanza la superbia! Se per virtù propria la non si può tenere, abbila per un barbacane che impedisce l'anima dal rovinare nel pantano dell'abiezione. Se Lucifero, oltre questo, non possedeva altro peccato, era più facile diventasse papa che diavolo. Orsù volete pagare, pagate. Ecco qua, questi sono dispacci: il più piccolo consegnerete o farete consegnare al signor Francesco Maria Niccolaio Giacomini, mio nipote a Centuri; quest'altro più grande importa che lo ricapitiate irremissibilmente nelle mani del Generale a corte o a Rostino nella casa paterna della Stretta, ovvero in Pastoreccia nella casa materna; insomma dove si troverà. Io contava mandarci un mio fidato a posta, e, stillando il quattrino, le sue cento lire mi andavano via: ora il passaggio ne costa quaranta; dunque vi rivengono sessanta lire.

E alzata la tavola del banco, pigliava da una ciotola nove scudi e, contatili, diceva: — Eccovi il resto, ed avrò fatto un buon affare.

— Oh! — esclamava il Boswell, e, presa la scatola, offeriva sporgendola, una presa di tabacco per via di preliminare di pace; indi soggiungeva: — Bando dunque al dare e allo avere. Potrò io procurarmi la contentezza di vedervi un'altra volta?

— Voi ed io stiamo per partire: voi per la Corsica, io per la eternità. Perchè farei l'ora della separazione grave di un sospiro da vantaggio? Noi non ci abbiamo a rivedere più.

— Nel mondo forse, ma là, — riprese il Boswell alzando il dito — ma là porto ferma fiducia che noi ci rivedremo: perchè voi, in grazia dello infinito amore che professate alla patria, vi siete guadagnato di certo la salute eterna; rispetto a me, mi sono ingegnato e m'ingegnerò a non demeritarla.

— Così piaccia al Signore!

Pasquale Paoli; ossia, la rotta di Ponte Nuovo

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