Читать книгу La baraonda - Gerolamo 1854-1910 Rovetta - Страница 10

II.

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Nora non s'era neanche levata nè la giacchetta nè il cappello, una specie di berretto di lontra alla cosacca. Dopo fatta colazione avrebbe atteso un poco alla finestra per vedere se "i due" sarebbero passati di là, come avevano fatto il dì innanzi per aspettarla e per accompagnarla da lontano, fin dove andava a dar lezione….

—E se non si facevano vedere?… Sapevano che quel giorno essa doveva andare dalla Schönfeld e forse ci sarebbero capitati, per farsi presentare.

—E se non si facevano vedere nè in istrada, nè dalla Schönfeld?… Se non si facevano veder più?

—Questo è impossibile!—rispose Nora a sè stessa, tuffando una gran fetta di panettone in una piccola tazza di caffè e latte.

—Dirai al signor Laner—esclamò rivolgendosi alla Gioconda—che non venga a mezzogiorno, se mi vuol trovare. Venga dopo le quattro. A mezzogiorno ho una lezione.

—Dalla signora Schönfeld?—domandò la cuoca, succhiando gli acini d'uva passa che andava scegliendo fra le briciole, sul piatto del panettone.

Nora non rispose: non voleva rendere tanti conti.

Aveva fissato colla Schönfeld, la sua grande confidente del momento, che in tutti quei giorni sarebbe andata da lei dalle dodici alle tre per ripassare la Carmen. Ma questo non era altro che un pretesto, un piano prestabilito.

In uno di quei giorni ci doveva essere anche la visita dei due delle passeggiate, e allora, come per caso, sarebbe stata fatta la famosa presentazione.

—Sì! Sì! spiegarsi! e venire al concreto.

Nora, appena ebbe calmata a furia di panettone e di datteri quella sua fame di fanciulla sana e forte, ed ebbe bevuto in piedi, dal secchio di rame della cucina, una lunga sorsata d'acqua fresca, tornò di nuovo in saletta e andò a mettersi dietro la finestra, cantarellando.

—In questa casa,—brontolò poi, dopo un momento, perchè sentiva di non aver mangiato abbastanza,—prima di tutti c'è madama Gioconda, poi Numa, poi te,—e indicava Evelina,—e finalmente io, per gli avanzi…. quando ne rimangono!

Evelina, che non si era mai offesa sin allora, si sentì punta per quell'umiliante compagnia della serva e del gatto.

—Già,—rispose, sempre continuando a scrivere, ma con un'ironia più acuta e penetrante per la sua lentezza placida.—Già; quando sarai nel palazzo Laner, il primo posto sarà sempre il tuo!

—So anch'io, più di te, che cosa potrei aspettarmi anche con Pietro Laner! Per questo…. C'è tempo! Lascio fare allo zio Matteo!—E Nora tornò a ridere.—Ah! Ah! Ah! Lo zio!… Portentoso lo zio!… Intanto ha scoperto il decoro, la riputazione delicata delle sue care figliuole, per metter Pietro fuori della porta!

Evelina aveva cessato di scrivere; stava attentissima, e la sua ansia, per quanto volesse dissimulare, era così viva, che non sarebbe certo sfuggita a Nora, se questa appena le avesse badato. Ma Nora era troppo intenta alla finestra.

—Lo zio Matteo,—seguitò Evelina per farla parlare,—non ha avuto torto. Un giovane, in pensione nella stessa casa con due ragazze…. Non era conveniente.

L'altra si voltò per fissarla.

—Cos'è successo? Mi diventi diplomatica! Sai anche tu perchè lo zio Matteo si era tirato in casa Pietro Laner! C'erano ventimila lire! E sai anche tu, meglio di me, perchè adesso, lo zio, colla scusa del decoro, lo ha mandato fuori dei piedi!

—In ogni modo, ti sposi o no, le ventimila lire sono sue e gli si devono restituire!—borbottò Evelina con un accento strano, come di cupidigia. Poi soggiunse, guardandola bene, attentamente, quantunque Nora, sempre in piedi, alla finestra, le voltasse le spalle.—Ma e tu, non vuoi bene al signor Laner?

—Questo non ti riguarda!

Gli occhi di Nora si erano fatti più vivi, sfavillanti di contentezza e di trionfo, mentre cantarellava la Carmen con più espressione e si accompagnava suonando il tamburino colle dita sui vetri.

"L'amour est enfant de Bohème….

Il n'a jamais connu de toi…."

Poi, a un tratto, cessò di cantare, corse allo specchio, si accomodò in un attimo il berrettino, premendolo, allargandolo colle due mani sulla massa confusa, attortigliata dei capelli; si aggiustò la cravatta di seta lilla, che rendeva più delicata la freschezza rosea del suo colorito, abbottonò la giacchetta, guardandosi, voltandosi e rivoltandosi, stirandola bene sulla pienezza precoce dell'anca, poi, in fretta, preso l'ombrellino e un rotolo di musica, si avviò per uscire.

—E il signor Laner?—le gridò dietro Evelina.

—L'ho detto alla Gioconda! Ritorni dopo le quattro!—E via di corsa come un lampo.

Il tirolese che aspettava in anticamera, non ebbe tempo di vederla, di salutarla, che già gli era sparita dinanzi, e la sentiva scendere le scale col fruscìo leggiero delle vesti e il battere risonante dei piedini veloci.

Evelina, appena Nora se ne fu andata, posò la penna sul calamaio, si alzò, si avvicinò alla finestra mettendosi il pince-nez e rimase a osservare, a spiare nella strada, studiando di tenersi ben nascosta dietro le tendine.

In quel punto passava sotto la finestra, guardando in su, un signore tutt'altro che giovane, alto, secco, ma dall'aspetto, dalla figura molto aristocratica, dall'eleganza ricercata, coi baffi e i capelli di quella tinta un po' falsa dei vecchi biondi.

Un omino piccoletto, segaligno, tutto contorto e sciatto nell'abito nero, coi baffi tinti e coi capelli quasi bianchi, lunghi e crespi di sotto alla tesa del vecchio cappello a tuba, gli camminava accanto, saltellando nel tenergli dietro, saltellando nel gestire, nel parlare, anche lui guardando in su, verso la finestra.

Evelina continuava a spiare: la sua curiosità si faceva più viva, e gli occhi fissi, che diventavano acutissimi dietro il pince-nez, luccicavano di meraviglia beffarda.

—Che cosa spera quella matta?—pensava fra sè.

A un tratto, il signore alto, quello dall'aria nobile, ebbe come una scossa e toccò vivamente il braccio del compagno.

Nora usciva allora di casa, attraversando la strada, seria seria, facendo uno studio per non voltarsi e per non far capire ai due che li aveva veduti, e passando via, quasi sorvolando, andò a mettersi dinanzi a loro, camminando agile, leggera, sullo stesso marciapiede.

Evelina, sicura ormai che nessuno si sarebbe più voltato a guardare in su, aprì a mezzo la finestra, e cacciò fuori la testa, puntandosi sui piedi per vederci quanto più poteva lontano.

Nora, coi due che le tenevano dietro, camminava sempre ritta, composta, senza mai voltarsi, col passo ritmico e sicuro, col rotolo della musica sotto il braccio, alzando un po' le vesti colle piccole mani inguantate, mostrando i piedini, che parevano lunghi tanto erano sottili, nella scarpettina elegante, scoprendo a quando a quando, fra il rapido volteggiare delle sottane bianche, il morbido assottigliarsi della gamba nella calzetta nera.

Dava nell'occhio e tutti si voltavano a guardarla.

Nora sentiva intorno a sè quel calore di ammirazione e di desideri: lo sentiva e lo godeva nel cuore e nel sangue.

Camminava sempre diritta, sempre composta, senza mai voltarsi, ma il suo passo si faceva più ardito e la sua bellezza più rigogliosa….

Evelina rimase alla finestra finchè potè seguirla coll'occhio; poi richiuse i vetri, e quietamente tornò a sedersi al solito posto.

—Che cosa spera quella matta?…

Ricominciò a scrivere, ma continuando a pensare a Nora e ai due che le tenevano dietro.

—Che cosa spera quella matta?…

A un tratto si riscosse, trasalì alzando il capo, e rimase assorta, colla penna fra le dita lunghe, d'un leggero colorino d'ambra.

Numa, ch'era saltato di nuovo sulla tavola, accoccolatosi sopra un librone sgangherato, faceva, leccandosi con grazia, la toeletta delle zampe.

Evelina gli teneva gli occhi fissi addosso, ma non lo vedeva. Vedeva invece il giovanotto lungo e magro, quello che portava gli occhiali colle suste: Pietro Laner.

—Pietro Laner!… Scoperto il tradimento di Nora, che cosa avrebbe fatto?… Che colpo!… Sarebbe diventato pazzo di dolore, di collera…. Oh, ma non ci sono io?—pensava Evelina.—Col tempo, piangendo con lui, disperandosi con lui, non sarebbe riuscita a calmarlo, a confortarlo?…—E s'abbandonò riversa sulla poltrona, chiudendo gli occhi, sorridendo….

Cominciava la sua estasi, il suo incanto: una casetta tranquilla, ordinata; il pranzo e la colazione sempre a quell'ora; un marito buono, economo; guadagnare abbastanza da poter vivere senza il tormento dei debiti; far tutto lei e far tutto a suo modo; preparare per suo marito piattini squisiti che avrebbero mangiato insieme: e i figliuoli, anzi uno solo, una bambina….—Le bambine sono più affettuose, più docili….

—E il tenente Calafà?

Si riscosse di nuovo, si rizzò, appoggiandosi coi gomiti sulla tavola, premendo il capo fra le mani.

E il tenente Arturo Calafà? Il siciliano bruno, che era stato uno dei primi amori di Nora, e che adesso era diventato il suo?

Quello "spencer" spelacchiato che portava Evelina, e che aveva avuto da

Nora, Nora se l'era fatto fare appunto per mostrare il suo amore e il

suo attaccamento al tenente Calafà e alla sua batteria. Ma poi il

Calafà era partito; lo spencer aveva perduto il pelo, era arrivato

Pietro Laner, e Nora, che a scrivere si seccava, aveva ceduto ad

Evelina la corrispondenza e lo spencer.

Però, anche Evelina non era molto soddisfatta del regalo. Pazienza per lo spencer; ma dal tenente Calafà cosa c'era da sperare?

Essa gli aveva scritto una prima lettera assai patetica, a nome di Nora, pregandolo, supplicandolo di "non pensarci più."—"Lo zio Matteo ha scoperto tutto e ha imposto a Nora di troncare sul momento, ogni e qualsiasi relazione."

Il Calafà, subito, aveva risposto furibondo, minacciando vendette, tragedie. Ed Evelina, al solito, per calmarlo, un'altra letterina, poi un'altra ancora, e così via via, tutte più tenere, più malinconiche, e con maggior numero di parole sottolineate:

"…. Rinnega la fede, lei, signor Arturo? Rinnega di credere, di sperare?… Rinnega la vita?… Ma lei, almeno, può vivere del suo dolore! La suprema, la beata gioia di amare e di sentirsi amato, lei, signor Arturo, l'ha provata, l'ha goduta, sia pure per un giorno, sia pure per un'ora!…—Ma chi nella solitudine profonda del suo cuore ignorato, non ha memorie, non ha ricordi; chi sa, chi sente che non potrà mai essere amato, mai, mai, perchè sa di non poter piacere, di non poter interessare, perchè sente di non essere mai stato nemmeno osservato, nemmeno veduto…. Oh, come vorrei, come vorrei, come invidio lo spasimo della sua anima, l'atroce e grande ricchezza sua, sua!"

"Lei, signor Arturo, ha sentito il suo cuore vivo, vibrante, palpitare sotto una mano adorata! Ma…. e io? e io? e io?!—Ah, no! No! No! Dimentichi tutto!—Che cosa ho scritto?—Sono pazza! Mi deve giurare sul suo onore di gentiluomo, di distruggere, di abbruciare questa lettera, subito, subito.—Pietà di me!… Ah, Dio, Dio, Dio, quanto sono infelice!…"

E allora, anche il Calafà aveva cominciato—sempre per lettera—a consolare dopo essere stato consolato; ed Evelina sognava, la notte, di essere a far la spesa nella piazza di una guarnigione, con dietro un'ordinanza che le portava la sporta.

—Ma e poi?…

Il tenente Calafà, che non aveva avuto un soldo per la cauzione quando si trattava di Nora, come avrebbe potuto trovarne adesso per lei?…

—E dunque?…

Si udì a un tratto il campanello dell'anticamera: la Gioconda passò per andare ad aprire, poi ritornò subito, chiudendosi dietro l'uscio.

—Un altro come sopra!—Vuol aspettare anche lui il signor direttore, assolutissimamente.

—Chi è?

—Un altro tirolese: questo è positivo!

Gioconda tirò fuori la mano dalla saccoccia, nella quale andava frugando, e accomodati sul palmo due o tre chicchi di caffè tostato, se li fece saltare in bocca d'un colpo solo.

—Quest'oggi dev'essere un'invasione!

Si udì un'altra suonata di campanello.

—Ecco!… L'ho detto!—esclamò ridendo fra lo scricchiolare dei denti, e andò un'altra volta ad aprire.

—Sarà il signor Laner,—pensò Evelina.—Si lisciò in fretta colle due mani i capelli, si accomodò bene il foulard sulle spalle, e tornò a scrivere, ma tenendosi su, ritta e piegando la testina verso la spalla che aveva un po' più tonda dell'altra, riuscendo a nascondere con una grazietta la sua imperfezione.

Era proprio Pietro Laner. Lo sentì che parlava con un altro nell'anticamera.

—Lo aspetteremo al varco, il signor Direttore! È una canaglia! Questo si chiama assassinare la gente!

—Si calmi, signor Brunetti!—diceva Pietro Laner.

—È una truffa! una vera truffa!

—Si calmi: il signor direttore aggiusterà ogni cosa.

—Oh! se non aggiusta lui…. lo aggiusto io!

Ci fu un momento di silenzio, poi si udì ancora Pietro Laner che diceva, come per congedarsi:—Se permette, signor Brunetti, ho da parlare colle signorine….—E quasi subito, entrava nella saletta.

—Chi è questo signor Brunetti?—domandò Evelina con voce assai commossa a Pietro Laner.

—È il rappresentante della cartiera di Maslianico. Quello che forniva la carta per il Rinnovatore.

Il giovanotto parlava colla voce rauca, imbronciato; gli occhi rossi e lividi infossati nella faccia smunta.

Si avvicinò alla tavola, ancora col paltò indosso, sbottonato, il bavero ritto sul collo, e accarezzando Numa che si allungava, distendendosi sotto lo striscio della mano leggera, soggiunse balbettando per la collera, per l'imbarazzo di ciò che voleva dire:

—Ha ragione il signor Brunetti!… Si chiama proprio a…. assassinare.

—Anche lei?—esclamò Evelina, alzando gli occhi timorosi, che si facevano più grandi, più lucenti, mentre cercavano e fissavano, come per raccomandarsi, gli occhi del giovane.—Anche lei, signor Laner?

—Ho da pagare la pigione e il conto del mese alla padrona. Ho da mangiare e non ho altro che dieci lire!

E mostrò un biglietto sudicio, ripiegato, che ricacciò subito nel taschino del gilet.—Non posso più aspettare anche per Nora. Voglio sposarla e andarmene!

—Andar via?… Via da Milano?—domandò Evelina, con un tremito negli occhi, nella voce piena di lacrime.

—Voglio ritornare a Trento, a casa mia! a casa mia!—ripetè Laner battendo il pugno forte sulla tavola.

Numa sparì di colpo sotto il canapè, poi di nuovo saltò sopra una seggiola, in un angolo lontano, e là, al sicuro, ricominciò a leccarsi più forte e più in fretta.

—E di me? Cosa sarà di me?—mormorò la povera ragazza, e sospirando, fatto un po' di posto sulla tavola, si preparò vicino, stendendolo adagio, colle due mani, il fascio delle bozze.—Mi vorrebbe aiutare, signor Pietro?

—Come?… Nora?… Non c'è?… È fuori anche stamattina?—esclamò il

Laner con un crescendo di stupore e di stizza ad ogni interrogazione.

Egli sapeva bene che Evelina non avrebbe osato di tenerlo presso di sè,

qualora Nora fosse stata in casa.

—È andata dalla Schönfeld.

—La Schönfeld! Ogni giorno la Schönfeld!—gridò l'altro sempre più stizzito.

—Per amor di Dio!—supplicò Evelina, con un gesto verso l'anticamera.—Non si faccia sentire. Nora sarà di ritorno per le quattro: ritorni alle quattro.

Pietro Laner prese una seggiola, ma prima di sedersi la sbattè, con un colpo forte, sul pavimento; poi, sempre con indosso il paltò, col bavero alzato sul collo, cominciò a leggere le bozze, borbottando, a correggerle con grossi segnacci, facendo scricchiolare la penna, spruzzando la carta d'inchiostro. Per qualche tempo nè l'uno nè l'altra non dissero una parola.

—Io credo,—cominciò poi Evelina, lentamente, interrompendosi, perchè pareva più che mai intenta ed affrettata nello scrivere,—io credo che Nora alle tre avrà finito colla Schönfeld…. ma poi vanno tutt'e due o a fare un giro sui bastioni in carrozza…. o a passeggiare ai Giardini. Perchè non….—e qui l'interruzione fu più lunga: Evelina scartabellò cercando una parola nel Dizionario.—Perchè non va ad aspettarla? E poi…. quando la vede uscire colla Schönfeld…. finga come di passare per caso…. Le saluta e ci va insieme.

—Già! sicuro! posso fare così!—esclamò il buon ragazzo, rasserenandosi subito.

—Lei sa dove abita la Schönfeld?

—In piazza Cavour.

—Al ventisette,—rispose Evelina. E poi riprese, dopo un'altra pausa.—Ma lei, non la conosce ancora la signora Schönfeld?

—Mi farò presentare da Nora!—e sorrise—dalla mia sposa!

Evelina alzò ancora gli occhi lucenti in viso al giovanotto, ma fissandolo questa volta con una grande espressione di tenerezza e d'inquietudine, come una mammina che tremi per il figliuolo troppo buono e troppo illuso.

—Perchè mi guarda così?—domandò l'altro vivamente.

—Io, signor Laner?—No, niente. Sono io tanto…. tanto infelice! Io che resterò qui sola, sempre sola…. Io che non ho nessuno…. nessuno!

Evelina sospirò e si asciugò le lacrime con una mano. Era commossa e piangeva, piangeva davvero; ma pure pensava, sotto quelle lacrime, pensava in fondo al cuor suo che Pietro Laner, aspettando Nora sulla porta della Schönfeld, avrebbe forse potuto vedere o scoprire qualche cosa di nuovo….

A ogni modo lei, come lei, non gli aveva detto niente!

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