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IV.

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Pietro Laner, riavutosi dal primo sbalordimento, se n'era andato gridando, sbattendo gli usci e senza voler rispondere alla Gioconda e nemmeno all'Evelina, che gli erano corse dietro fin sulle scale.

—Non avrebbe più rimesso i piedi nè lì, nè in ufficio.—Canaglia!

Canaglia!

Era furibondo per l'insulto, e più ancora per la minchionatura.

—Di volo, zaff!… e le dieci lire erano sparite!… E Nora?—E rifece il verso del Direttore con stizza:—E-le-oo-nòò-ra?—La mia cara figliuola!—Come l'altra, la gobbina!—Che figliuola! Che figliuole! Chissà dove è andato a pescarle, per viverci alle spalle, per sfruttarle, come ha sfruttato gli amici, l'Italia, il mondo intero!—Quel pancione Dulcamara è la gran piovra di Vittor Hugo!—

Pure il nome di Nora, evocatore dell'immagine adorata, dissipava le ire e gli suscitava in cuore, a poco a poco, mille inquietudini.

—Se Nora non era sua figlia, era tenuta come tale; era nelle mani di quel cannibale, vero mangiatore d'uomini!—Ebbene, egli avrebbe parlato a Nora, a tu per tu.—Subito!—Dov'era? Dove poteva trovarla? Evelina gli aveva detto, dalla Schönfeld.—Sì, sì, dalla Schönfeld!

L'aspetterò in istrada, e aut aut: poche parole!

Ma pensando, ripensando le "poche parole" che dovevano fare impressione sull'animo dell'innamorata, tornava ad infervorarsi, a camminare in fretta, a gestire. La gente per la strada si voltava a guardarlo.

—Senti, Nora, Norina mia: quella canaglia, dopo avermi rubato tutto, ha avuto il coraggio d'insultarmi: io ho pensato a te; per questo non l'ho strozzato! Però in casa vostra, non ci metto più i piedi; mai più.—Tu mi vuoi bene?—Sì?—e allora, oggi stesso, stassera, si prende il volo. Ti porto a casa mia, dalle zie; fino al giorno del nostro matrimonio. Domattina si arriva a Trento, poi una vettura e in poche ore saremo a Crodarossa….

Ma…. i danari? La pigione? I danari per pagare la padrona di casa? I danari per il viaggio?…

Si fermò di colpo, su due piedi. Oh, quella faccia della sua padrona di casa!—Finchè non ho da pagarla, non mi fo più vedere!… E per pagarla, dove li trovo?

Pietro Laner si cacciò le mani nelle tasche del paltò, e riprese a camminare, ma assai più lentamente.

La padrona, vedendo che l'ospite trentino non si faceva vivo per il conto, glielo aveva fatto trovare in camera, sotto il calamaio. Lui, s'intende! aveva finto di non vederlo. Ma la sera lo trovò sul tavolino accanto al letto, spiegato sotto il candeliere; e il secondo giorno disteso, diritto, sulla padellina di cristallo, appoggiato alla candela. E d'ora in ora, quella faccia della padrona, già così larga di sorrisi e di cerimonie, non esprimeva più altro che un gran punto interrogativo:—Mi paga?…

—Come fare? Tornare dal Direttore? Sottomettersi? Pregare, cercare colle buone di ottenere un piccolo acconto?…

—Se Nora volesse?… Se volesse parlarne allo zio Matteo! Ma bisognava vederla subito. Invece di aspettarla giù, dinanzi alla porta, sarebbe salito a cercarla dalla signora Schönfeld: l'avrebbe fatta chiamar fuori.—Ho da parlarti: di gran premura!

—Che male c'è? Non dev'essere mia moglie? Non è omai saputo da tutti?… Da tutti no…. Le zie?

La zia Angelica e la zia Rosina non ne sapevano niente. Esse credevano che il loro Pierino a Milano, non fosse intento altro che a guadagnar denari e a diventare un grand'uomo!

Che direbbero, che farebbero la zia Angelica e la zia Rosa, quando fosse capitato a Crodarossa senza le ventimila lire, senza un soldo…. e invece colla sposa?… Una signorina in cappellino e che non sapeva far altro che suonare e cantare?… Dio! Dio!… Ma come non ci aveva mai pensato? E Nora? Se anche Nora dicesse di no?

Al dubbio solo, all'idea di poter perdere Nora, gli si empirono gli occhi di lacrime e il cuore di disperazione. Si sarebbe ammazzato!

E la padrona?… Dio! Dio! Dove aveva avuto la testa fino allora?

Era la prima volta dal suo arrivo a Milano, che Pietro Laner cominciava a vederci chiaro d'intorno a sè, davanti a sè.

—Dio! Dio!… Come mai si era ridotto a quel punto? Non lo sapeva, non se n'era accorto. Era stato uno stordimento, una vertigine di tutte le ore, di tutte le vicende incalzanti che non gli lasciavano tempo di pensare, di riflettere.

Come aveva fatto a innamorarsi di Nora? A impegnarsi senza scrivere alle zie? Perchè, come, quando aveva cominciato a lasciarsi ingannare, truffare, rovinare, da quel Mosè imbroglione?… Non aveva nemmeno cento lire per pagar la padrona!… Non aveva nemmeno un soldo per far colazione!… E la collera delle zie? E se Nora non voleva? E se Matteo Cantasirena non lo pagava?… Ma era stato pazzo? Era stato ubriaco? Dio! Dio! Dio!—Maria Vergine!—Ma che cosa aveva fatto di male perchè gli capitassero addosso tutte le disgrazie, tutte le maledizioni?…

Che cosa aveva fatto?

La risposta la sentì sorgere nell'animo angosciato e farsi strada nella mente sconvolta, come un lontano chiarore, un barlume di speranza. Era una risposta sola a tante domande, una risposta che per le sue nuove idee poteva sembrare ridicola, assurda, indegna della sua ragione, indegna del suo ingegno, ma alla quale consentivano tutti i suoi sentimenti e tutti i suoi ricordi intimi, profondi, nascosti e alla quale la disperazione stessa di quel momento, dava uno slancio più vivo di fede.

—Dal giorno in cui sono venuto a Milano, non sono più stato a Messa, non sono più entrato in una chiesa!… Ecco perchè mi sono tirato addosso l'ira di Dio!…

Gli sembrò, sperò, che entrando appena in una chiesa, sarebbe stato come ribenedetto, che tutto sarebbe tornato ad andar bene come prima.

C'era appunto, a due passi, la chiesa di San Francesco. Sbirciò di qua, di là, se per caso qualche suo conoscente, qualche suo collega giornalista non lo vedesse; nessuno!

Entrò presto, ma rimase diritto in piedi, vicino alla porta, subito intimidito da quei due o tre divoti che si erano voltati a guardarlo.

Poi, sempre diritto in piedi, rigirando il cappello fra le dita, cominciò a raccogliersi e a pregare, ma senza muovere nemmeno le labbra.

La chiesa era scura, quasi deserta; ma il biascicare sonnolento di quei due o tre bacchettoni dalla faccia gialla, gli dava fastidio, gli toglieva il fervore.

Quando aveva pregato intensamente, aveva sempre ottenuto qualche cosa!… e cercò colla memoria tutte le "grazie" ottenute in sua vita, per poter ravvivare la propria fede; e tornò a pregare. Le sue preghiere, naturalmente, non erano avemarie, non erano pater noster; diceva al suo Signore Iddio, datemi questo, datemi quest'altro.

Ma perchè il sagrestano continuava a osservarlo…. a fissarlo?

Non riusciva a chiedere intensamente, fermamente ciò che desiderava. Non era fede vera la sua; era una concessione a sè stesso, a un pregiudizio.

Però, anche da ragazzo, quando non andava a messa la domenica, gli capitava sempre, nella settimana, qualche disgrazia. E tornava a pregare, ma per poterci credere, assicurava sè stesso, che il suo Dio non era a confondersi col Dio falso dei preti, nè col Cristo di legno o di cera delle donnicciuole. Era più grande e più in alto; era l'equilibrio dell'Universo, era la forza occulta che cominciava là dove finiva la scienza, e che però nemmeno la scienza poteva negare in modo assoluto…. E poi, a questo Domineddio portentoso che reggeva l'infinito, Pietro Laner non gli aveva da chiedere che le grazie più discrete, più modeste: trovare i soldi per pagare il conto della padrona, sposare la Nora, ottenere il perdono dalle zie. Il solo miracolo, veramente grande che domandava, era di riavere le ventimila lire prestate a Matteo Cantasirena.

Ma perchè quello zoticone del sagrestano si voltava sempre dalla sua parte?… Lo conosceva forse?

Non poteva raccogliersi! Non poteva pregare con fervore!—Questo voleva dire che non avrebbe ottenuto niente; che era proprio spacciato!—Dio! Dio! Perdere Nora! Non aver più un soldo! Finire in un ospedale!…

In fondo alla chiesa luccicava un piccolo altare: una Madonna, in una gran custodia di vetro, con un abito di raso giallo tempestato di gemme. Tutti i ceri del piccolo altare erano accesi: le colonne, le pareti, erano coperte di voti, di cuori d'argento, di grucce, di gambe e di braccia di legno….

—Là devo andare a pregare se voglio ottenere qualche cosa,—pensò Pietro Laner,—e se il sagrestano mi vede, questa sarà la penitenza per meritare la grazia!

Si avvicinò piano piano alla Madonna dei miracoli: le ombre della navata, l'oscurità dietro le colonne, erano piene di misteri, d'inquietudini. Quella chiesa semivuota, si popolava a poco a poco, per la forza della sua immaginazione, di tutta la folla dei rispetti umani. Erano i suoi colleghi più beffardi, più scettici, più spregiudicati!… Era Nora che lo aveva veduto entrare da lontano in San Francesco, e gli aveva tenuto dietro! Era Matteo Cantasirena, che rideva così rumorosamente da farsi sentire per tutta Milano!

Il timore, l'oppressione, diventavano orgasmo: pure bisognava inginocchiarsi…. pregare, prosternato, dinanzi a quell'altare…. S'inginocchiò infatti…. ma provò un senso, un'impressione strana…. Sentiva dei passi dietro a sè che si avvicinavano…. poi una mano gli batteva sulla spalla!… Si alzò di colpo…. non c'era nessuno.

Soltanto una vecchierella, collo scialletto paonazzo del "Luogo Pio", borbottava il rosario fissando la Madonna cogli occhi malati….

Eppure il pensiero di essere visto da quella vecchia ad inginocchiarsi una seconda volta fu più forte di lui in quel momento. Era il timore dei pregiudizi del mondo che la vinceva su tutti gli altri timori, ed egli uscì dalla chiesa, sbirciando di qua, di là, più pauroso ancora di quando vi era entrato.

E così anche quel suo ultimo barlume di speranza, riposto in

Domineddio, nella Madonna, era svanito.

La baraonda

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