Читать книгу La baraonda - Gerolamo 1854-1910 Rovetta - Страница 14

V

Оглавление

Indice

Pietro Laner era nato nel Trentino, a Crodarossa. Un paesuccio raggruppato attorno al campanile nuovo; poche casette che spiccavano in alto, scintillanti al sole, in mezzo alla montagna tutta verde fino alla cresta bigia; poche casette bianche e quiete sotto i tetti neri, colle piccole finestre, come occhietti ridenti, piene di fiori.

Pierino aveva appena cinque o sei anni, quando gli morirono, a pochi mesi di distanza, prima la mamma, e poi il babbo. Allora fu raccolto in casa degli zii: lo zio prete, don Giacomo, e le sue sorelle, la signora Angelica, e la signora Rosina. E tutti, il buon prete che aveva sempre voluto bene al suo povero fratello, e le due zitellone che erano sempre state in pace colla povera cognata si affezionarono subito a Pierino e lo tennero in conto di un figliuolo…. proprio mandato dal Signore.

Fissarono insieme e si divisero d'accordo i vari obblighi per allevarlo e per educarlo. Don Giacomo gl'inspirava il santo timor di Dio, gli spiegava la dottrinetta, gl'insegnava a leggere e scrivere e gli faceva fare delle buone camminate, arrampicandosi su per i monti.

Le zie gl'insegnavano a star pulito, a risparmiare i kreuzer che gli altri gli regalavano, a fare la somma e la moltiplica, e quando era necessario, la zia Angelica e la zia Rosina, sempre serie, sempre composte, trovavano la forza unite insieme, anche per metterlo in castigo.

Da suo padre, Pierino non aveva ereditato nemmeno un soldo. Il pover'uomo possedeva un paio di campicelli ch'egli stesso coltivava, tralasciando nei giorni della semina e del raccolto dal fare il mestiere di sarto che gli dava da vivere. Ma prima, la lunga malattia della moglie, poi altre disgrazie, i due campicelli che a vederli dall'alto, in mezzo al verde dei prati, sembravano piccoli come i tappeti da camera, rimasero alla sua morte, sepolti sotto i debiti che don Giacomo per altro si affrettò a pagare.

Don Giacomo era ricco, s'intende per quei paesi, e non era diventato ricco per merito suo, ma per la stretta economia, per le privazioni stesse a cui si assoggettavano quotidianamente le sue sorelle che adoravano Domine…. in avarizia! Esse risparmiavano su tutto, e ogni giorno di più, perchè ogni giorno erano sempre più rattristate e spaventate dallo spettacolo della miseria altrui.

"Quando in una casa manca il necessario, comincia a mancare anche il timor di Dio!" E per questa massima che concordava colla sola, coll'unica passione di quelle due esistenze, esse finivano col diventare sempre più avare anche per salvarsi l'anima; e incrudelivano sopra di sè, più ancora che sugli altri, per accumulare sul patrimonietto comune, sul benefizio della Canonica e persino sul vino della Santa Messa, e qualche volta sospirando e gemendo dinanzi al giocondo appetito del buon pretone sano e forte.

Quando presero in casa Pierino, quando ebbero da pagare i debiti del fratello, si trattava dell'onore della famiglia e non fiatarono, ma risparmiarono le uova dell'insalata e andarono a dormire senza lume per poter ricavare, col tempo, da una parte quello che era andato dall'altra. Buone donne del resto, pie, laboriose, niente affatto pettegole, e indulgenti; caritatevoli di consigli quando ne erano richieste, e di orazioni anche non richieste. C'era chi stava male? chi era minacciato da una disgrazia? Pregavano per quegli infelici mattina e sera, e colle loro divozioni fioccavano indulgenze su tutti i poveri morti del paese.

Don Giacomo soffriva per l'avarizia delle sorelle, ma timido, come tutti i Laner, non aveva trovato mai tanto coraggio da opporsi, da far valere, occorrendo, i propri diritti. Esse non alzavano mai la voce; erano sempre rispettose per l'abito, per il ministero, per la santità del fratello. Ma don Giacomo non osava contrariarle anche per non addolorarle; e tranne qualche predica, in generale, sul brutto peccato dell'avarizia, e sui doveri verso il nostro prossimo, non osava andar più in là. Piuttosto si adattava a commettere in casa dei piccoli furterelli; e nascosta la roba sotto la tonaca, la portava, raccomandando di non dir niente, a' suoi vecchietti, a' suoi ammalati. E gridava lui per il primo, contro i gatti, quando mancava la carne, contro i topi quando invece era un pezzo di lardo; contro il nibbio o la poana quando spariva un piccioncello o un pollastrino. Ma le due sorelle, appena successa la sparizione, stavano sempre più in guardia, con tanto d'occhi, e per un pezzo don Giacomo non si arrischiava…. non toccava più niente. E allora si sfogava dando tutto il suo tempo, tutta la sua persona, tutto il conforto del suo gran cuore, a' suoi poveretti. Andava lui a piedi per poter prestare agli altri, che ne aveano più bisogno, il suo cavalluccio magro, sfiancato. Quando era chiamato presso un ammalato, non lo abbandonava più; restava lì a fargli da infermiere: e una volta fece anche da contadino. Un povero diavolo si era rotta una gamba, scivolando giù da una roccia. Era d'agosto, il tempo della mietitura, e a Crodarossa, in quei giorni, non abbondano le braccia. Don Giacomo conforta il povero diavolo, poi si fa dare il suo grembiule bianco, lungo fino ai piedi, il suo cappellaccio di paglia, e passa così tutta una settimana, dalla mattina alla sera, e facendosi aiutare anche da Pierino, falciando il fieno, segando il grano, legando, ravviando, abbarcando i covoni.

E quel povero prete, così timido colle sorelle, così umile con tutti, aveva finito col dare anche la vita per i suoi parrocchiani, dopo aver compiuto atti inauditi di coraggio, di vero eroismo.

Una notte, improvvisamente, dopo un violento uragano, il fiume aveva rotto e tutto il paese era rimasto allagato.

—L'acqua! L'acqua! L'acqua!—Erano urli di spavento, di morte. Don Giacomo, sebbene ormai quasi vecchio, si cacciò dov'era maggiore il pericolo e il bisogno, coi più giovani, coi più forti, coi più temerari, consigliando, confortando, trasportando a braccia o sulle spalle i vecchi e gl'infermi. Si buscò la febbre, scoppiò la polmonite e morì in pochi giorni. E prima di morire divise il suo patrimonietto in tre parti uguali, fra le sorelle, Pierino, e i poveri del paese. In quell'istante supremo aveva trovato anche quell'altro coraggio che in vita gli era sempre mancato; quello di affrontare l'avarizia muta della signora Angelica e della signora Rosina, che inginocchiate a pie' del letto singhiozzavano sulle avemarie del Rosario, mentre le campane suonavano i rintocchi mesti dell'Angelus, mentre da tutta la casa, da tutta la strada piena di gente, saliva al suo cuore, ultimo saluto di pace e di speranza, il lamentìo sommesso dei Pater e delle Ave.

—È un santo!—sospiravano la signora Angelica e la signora Rosa, con un'istintiva scrollatina di testa.-Ha voluto morire da santo, come da santo ha sempre vissuto!—E quando sospiravano, e quando scrollavano il capo, le due vecchiette lo facevano tutte e due nello stesso tempo, colla stessa espressione addolorata negli occhi gonfi di lacrime, nella voce fievole, nella compunzione devota dei gesti.

La signora Angelica e la signora Rosa si rassomigliavano fin da piccine, ma a poco a poco, a forza di vivere unite insieme, erano arrivate al punto da essere scambiate l'una per l'altra: tanto più che anche da vecchie, come da ragazze, continuavano a vestire perfettamente allo stesso modo. Avevano la medesima sottana di lanetta scura, il medesimo scialletto nero, e sul capo, uso cuffia, il fazzoletto pur nero di maglia grossa, che annodato, stretto sotto il mento, lasciava appena sbucare la loro faccetta tonda, col naso grosso, lungo, rosolato dal sole.

Composte e silenziose, attraversavano la piazza; insieme si alzavano in piedi ai punti prescritti della messa, insieme si sedevano dopo il vangelo, si prosternavano insieme, fino a terra, al mistico irraggiare dell'ostensorio; poi le due figurette nere, piccoline, secche secche e diritte, si vedevano comparire sempre mute, sempre appaiate sull'alto della viottola del Santuario di Crodarossa, la loro passeggiata favorita. E in casa, appena una delle sorelle entrava in una stanza, o andava nell'orto o nel pollaio, l'altra subito le teneva dietro trotterellando. Dormivano nella stessa camera, si alzavano alla stessa ora; alla stessa finestra prendevano l'aria e il raffreddore, e non avevano avuto, non avevano altro, fra grandi e piccoli, fra tutte e due, che un solo peccato da confessare: l'avarizia.

Morto Don Giacomo, si attaccarono più strettamente al nipotino. Germinava in fondo al loro cuore e sotto tutte le orazioni, le divozioni che facevano, una lontanissima speranza, intima, segreta, che si erano confidato l'una all'altra cogli occhi…. Soltanto cogli occhi.—Pierino! Per via di Pierino, avrebbero un giorno, chissà! potuto riavere la Canonica e il Benefizio. Oh, la Canonica! Il bel cortile!… il ricco pollaio; l'orto e il vigneto della Canonica!

Dopo la morte di don Giacomo avevano dovuto andarsene, abbandonare tutto quanto. Che gran dolore! Che rivoluzione, che sconvolgimento, in tutta la loro esistenza!… Nel cielo buio, dopo l'uragano, dopo il terremoto, non era apparso, di lontano, che un solo, un piccolo raggio di speranza: Pierino!—Il buon Pierino, innocente come l'acqua, un vero San Luigi! Pierino avrebbe potuto farsi prete e forse diventare il successore del successore, già vecchio, di don Giacomo, e allora, chissà!, fosse almeno per morirvi, avrebbero potuto ritornare in quella loro casa così comoda, così nota, così intimamente legata alla loro vita, al loro essere.

La signora Angelica e la signora Rosina che in gioventù non erano mai state innamorate, nè avevano mai provato, certamente, qualche cosa di simile, si può dire che cominciarono allora a far all'amore, colla Canonica, col vigneto, col pero alto e frondoso che dominava dal mezzo tutti gli alberi dell'orto, e al quale, quando erano giovani, un giorno che facevano le mattone, avevano dato anche un nome strano: il Gigantesso!

Costrette ad abbandonare la casa, non avevano potuto abbandonare il luogo. Avevano preso un quartierino accanto alla Canonica, perchè le finestre davano appunto sull'orto. E lì, a una di quelle finestre, le due vecchierelle rimanevano ore e ore, fisse, mute, guardandosi negli occhi e scrollando il capo.

Quando il nuovo ortolano,—se avessero potuto odiare qualcheduno, quello, proprio, lo avrebbero odiato,—vi faceva qualche cambiamento, era per esse una rabbia, un affanno; se atterrava un albero, era un dolore. E nei mesi di quel primo inverno,—l'inverno lungo e bigio delle montagne, colla neve che continua a cader sulla neve, tacitamente,—quando tutto l'orto era rimasto sepolto, e la vigna e anche il pero maestoso non sembrò più altro che uno strano e immenso colosso bianco, le due vecchierelle, dietro le finestre, tappate colla cimasa, rimanevano tutto il giorno a guardare, a spiare, a sospirare.

—Gesù Maria Joseph!—gemeva la signora Angelica.

—Gesù Maria!—rispondeva la signora Rosina, congiungendo le palme.

—Che inverno! che siberico! Povera vigna! Povero Gigantesso!

—Jesus Maria Joseph!

—Jesus Maria!

Ma poi, quando a poco a poco la neve alta si abbassava, si dileguava, e cadeva a fiocchi, a pezzi, dagli alberi scossi dal vento, dalle frondi dondolanti, quel verde che ritornava a sbucare, ad apparire, a distendersi, a scoprir cose note e care, consolava, riscaldava, rinverdiva anche quella certa speranza, lontana lontana….

—Fra dodici…. fra quindici anni…. Pierino potrebbe esser parroco….

—Fra dodici, fra quindici anni….

—Ma non bisogna mai far calcoli sulla morte di nessuno!

E la signora Angelica si faceva il segno della santa croce.

—Che Dio accordi a tutti una lunga vita!—rispondeva la signora

Rosina, segnandosi pure alla sua volta, lentamente.

Erano sincere in questo loro sentimento di carità; e ne furono premiate perchè non dovettero aspettare per tanti anni un po' di consolazione.

Don Giuseppe, il nuovo parroco, non riusciva a farsi voler bene a Crodarossa. Il povero don Giacomo vi era ancora troppo ricordato, troppo esaltato e rimpianto. Quello era un sant'uomo!

Don Giuseppe non era cattivo; ma di tutt'altra pasta. Amava molto i proprii comodi, la propria salute…. insomma, invece di essere un mezzo santo come don Giacomo, era un mezzo filosofo della vita. Di più, era intinto dello stesso peccato della signora Angelica e della signora Rosina, sebbene non fino a quel punto; perchè se don Giuseppe era avaro cogli altri, non lo era poi con sè stesso.

Per cattivarsi gli animi, per rendersi popolare, pensò allora di stringere amicizia colle due vecchie sorelle, che per virtù del povero don Giacomo godevano la stima e la venerazione di tutto il paese.

—Aveva sentito dire che Pierino aveva la vocazione? voleva farsi prete?… Bravo! Bravo! Il nipote di don Giacomo! Oh, quando sarebbe stato il momento avrebbe parlato lui alla Curia, per averlo per coadiutore!… Poi, già, sarebbe stato di diritto suo successore…. Sicuramente! Bravo! Bravo!…

E dopo qualche visita del parroco alle vecchie, dopo il regalo d'un cesto d'uva e d'un piatto di pere, la signora Angelica e la signora Rosa per restituire le garbatezze, per ringraziare, ripresero la via della Canonica e dell'orto; un altro giorno fecero una visitina anche al pollaio…. Poi nell'orto, invitate da don Giuseppe, cominciarono ad andarci spesso, per recitare il rosario, per leggere il Manuale di Filotea all'ombra antica e fidata del Gigantesso….

—Oh, anche don Giuseppe era un degno sacerdote! E anche l'ortolano era un galantuomo! E come lavorava di lena!

Le due sorelle insegnarono al parroco e all'ortolano a conservare la carne secca e l'uva intatta per tutto l'inverno…. a risparmiar sulla semina…. a risparmiar sulle spese. In quel frattempo, si ammalò la serva di don Giuseppe, e se ne andò al suo paese a rinfrancarsi, ma poi non tornò più a Crodarossa, nè don Giuseppe si prese altre donne. La signora Angelica e la signora Rosina omai facevano tutto loro alla Canonica, come prima, quando c'era il povero don Giacomo, e alla casa nuova, non ci andavano più altro che la sera, per dormire.

E intanto le lezioni a Pierino, sospese per la morte dello zio don Giacomo, furono riprese da don Giuseppe, il quale, e non più le zie, gl'insegnava poi anche l'aritmetica.

Pierino, cresciuto in quell'ambiente, fra chiesa, sacristia e canonica, si figurava quando fosse un uomo di fare il prete per diventar vescovo, come gli altri ragazzi della sua età pensano di andar soldati, per diventar generali.

Ma nel cuore del giovinetto mancava il sentimento vero, profondo, della fede. La grande maestà di Dio non gl'incuteva alcun timore; gl'incuteva più timore don Giuseppe, forse perchè don Giuseppe aveva sempre la voce in aria e quella del Signore non l'aveva mai sentita.

Era sempre in chiesa o in sacristia: era sempre in cotta a fare il chierico durante tutte le funzioni; ma quando serviva messa, all'Elevazione, scampanellava troppo forte e troppo a lungo; in processione, dava colpi al turibolo da buttar all'aria cenere e brace. Durante la predica portava in equilibrio cataste alte di seggiole che sbatacchiava poi dinanzi ai divoti; pigliava quattrini e parlava forte, affaccendato col sagrestano. E i tridui, collo sparo dei mortaretti, e la Settimana Santa, col fracasso dei mattutini, e il mese di Maria coi fiori e i canti al Santuario di Crodarossa, erano le sue feste, i suoi divertimenti ai quali pensava e si preparava con gioia da un anno all'altro.

Don Giuseppe, che aveva notato tutto ciò, cominciava ad essere inquieto a proposito della vocazione di Pierino; ma amante della santa pace, teneva i dubbi e le osservazioni per sè.

—È un buon ragazzo,—pensava,—ma forse è troppo vivo. Quando gli parlo, sta attento, con rispetto, con sommissione…. ma non mi ascolta. Se gli dò una sgridata, diventa pallido, tremante, ma poi torna da capo. Forse ha preso troppa confidenza colla Chiesa, coi Misteri, col Signore….

E per lavarsene le mani dichiarò alle signore Laner che era giunto il momento di mandare il nipote in Seminario, a Trento.

Ma Pierino, entrato in Seminario, invece di trovarsi sulla via che avrebbe dovuto condurlo direttamente in paradiso, si trovò più che mai su quella dell'inferno.

Il rumore del mondo arrivava appena, coll'ultima onda risonante, fin lassù a Crodarossa, e si perdeva dileguandosi nella foresta immensa, tra le fenditure profonde delle rocce inabitate.

A Crodarossa la vita serena o buia la faceva il cielo così vicino, appena diviso da un ultimo strato di verde, da un'ultima cresta di pietra.

Lavorare per mangiare; mangiare e vivere per salvarsi l'anima: non si faceva altro, non si pensava ad altro a Crodarossa.

Ma il mondo che non era arrivato fin lassù, fra la sconfinata libertà delle vette alpine, era penetrato attraverso le grosse e tetre muraglie del Seminario; e subito Pierino si era incontrato in tre cose, nuove affatto per lui, e proibite per tutti in quel luogo. La patria—Garibaldi—e le belle ragazze.

Un altro giovane seminarista triestino, un piccolo chiericuzzo dagli occhi strambi, dalla faccia lentigginosa e che i parenti volevano far prete per forza, si era legato di grande intrinsichezza col piccolo montanarino—tutti italiani, per Dio!—e gli aveva confidato che voleva scappare a Venezia e che voleva fare il bersagliere, altro che il prete!

Pierino spalancava gli occhi maravigliando. E l'altro gli parlò della patria, dell'Italia, e gli mostrò un ritratto di Garibaldi che teneva nascosto sul petto, sotto la camiciola, insieme a quello della Doralice, la rotonda bambinaia di sua cognata.

La patria!… Garibaldi!… e la Doralice! Tutto ciò aveva acceso, come fiamma che divampi all'improvviso, la mente e il sangue del nonzoletto di Crodarossa, che nascosto negli anditi bui della camerata, si metteva a gridare, a bassa voce, con l'amico di Trieste, "Viva l'Italia!" senza però far seguire, il "per Dio!" che aggiungeva quell'altro, come protesta e come rinforzo. E il berrettino di Garibaldi, e il viso tondo della Doralice, la barba bionda dell'eroe e gli occhi della ragazza gli erano fissi nella mente giorno e notte e si confondevano in un desiderio smanioso, indistinto; in un primo amore arcano, irrequieto per la patria, per l'Italia che egli si raffigurava come una donna giovane e bella, colla faccia della bambinaia. Il seminarista, il chierichetto dagli occhi strambi e dalla faccia lentigginosa pareva si godesse a stuzzicarlo, ad accenderlo sempre di più in quei pensieri, in quei misteri, e gli ripeteva di nascosto anche i versi del Berchet:

"Maledetta chi d'italo amplesso

Il tedesco soldato beò!"

Amplesso?… Beò?…—Cosa volevano dire queste nuove parole?… E "la vergin ne' gaudi cercata" e "la sposa dell'uomo stranier" era la Doralice coi capelli disciolti, seminuda, stretta fra le braccia di un soldataccio ispido e nero, coi baffi impeciati….

"Maledetta! Maledetta!…" Amplesso?… beò?… Cosa volevano dire?

Anche questo lo spiegò il seminarista, cogli occhietti che luccicavano fra le grinze della pelle e il ghignetto da scimmia sulle labbra sottili e mobili. Pierino, mentre ascoltava, era diventato pallido, rosso; poi era rimasto a bocca aperta, con un sorriso stupido. Non aveva capito bene, non aveva capito tutto, ma non osò domandare di più. Dopo, dopo, che continuo lavorìo della mente per indovinare!… Era il mondo che lo aveva preso colle sue passioni, colle sue seduzioni, colle sue cattiverie; era la donna che si rivelava a mano a mano, incessantemente. E il giovinetto nell'accensione bramosa, domandava alla discreta nudità delle statue e dei dipinti dell'altare le ultime rivelazioni del mistero della forma, domandava, cercava di scoprire nei versi del Berchet, come nelle storie bibliche di Rachele e di Giuditta, nelle lodi e nelle invocazioni appassionate alla Vergine, come nelle estasi delle Sante, la rivelazione ultima del mistero dell'amore.

No! No! Non voleva più farsi prete!… Non voleva più diventar vescovo: voleva invece prender moglie, e presto, e liberar l'Italia. L'Italia bionda e grassa, l'Italia bionda e bella, come la bambinaia del suo amico triestino.

La baraonda

Подняться наверх