Читать книгу La baraonda - Gerolamo 1854-1910 Rovetta - Страница 15

VI.

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Il piccolo Laner, appena tornato per le vacanze a Crodarossa, e non osando parlare, scrisse alle zie una lunga lettera pregandole, scongiurandole "di non voler la sua morte." Cioè, di non costringerlo a ritornare in Seminario. Non sentiva più la vocazione; sarebbe stato infelice tutta la vita; piuttosto si sarebbe lasciato morir di fame!

Ma poi, appena ebbe scritta e affidata la lettera all'ortolano per la consegna, ebbe paura di aver arrischiato troppo, di non aver riflesso abbastanza; e però, aspettando gli effetti della lettera, più che per il timore di dover finir prete, stava colla tremarella per il brutto temporale che lo minacciava.

—Che strappazzata!… Che fulmini!… Quell'altro di Trieste era stato imprudente, era diventato matto consigliandogli quella lettera!—E Pierino avrebbe quasi voluto svignarsela "in Italia" non per paura dell'Austria, ma di don Giuseppe. Finì invece col correre in camera sua, e col buttarsi mezzo svestito sul letto, per fare impressione nell'animo delle zie, lasciando credere che fosse ammalato.

Intanto la signora Angelica e la signora Rosina erano rimaste assai maravigliate e molto inquiete, soltanto al vedere la lettera,—che tenevano in mano, appena con due dita, e non osavano aprire.

—Cosa sia?

—Cosa sarà?

—Bisogna leggere….

Vedemo.

Dopo letto, erano rimaste senza fiato, come fulminate. Lentamente, colla mano tremula, si levarono gli occhiali che tutte due si erano inforcati sul naso per aiutarsi a leggere, una parola l'una, una parola l'altra, e rimasero mute a guardarsi, a fissarsi lungamente….

—Gesù Maria Joseph!

—Gesù Maria!

—Che disgrazia!

—Che ribalton!

Istintivamente si fecero il segno della croce, poi a un tratto, colte all'improvviso dal medesimo pensiero, corsero affannate, coi passettini corti, leggeri, fin sull'uscio della camera di Pierino e rimasero in ascolto.

Pierino, che le aveva sentite venire, cominciò a rivoltarsi sul letto, a gemere flebilmente. Allora, più spaventate, fecero per aprir l'uscio, e trovato chiuso, cominciarono a bussare, a battere disperatamente.

—Apri, Pierino!

—Apri!

Pierino corse appena a girar la chiave, e si buttò di nuovo sul letto piangendo, smaniando, tirando calci all'aria.

La signora Angelica e la signora Rosa gli furono attorno per calmarlo, per soccorrerlo.—Era la prova! La tentazione!… Era il diavolo!…—E nella severità silenziosa della loro faccia addolorata, appariva un'espressione insolita di inquietudine, di diffidenza, quasi temessero scorgere, a un tratto, fra i capelli neri e crespi del nipotino, due cornetti nascenti.

Gli fecero bere della camomilla, così bollente che gli bruciò il gorgozzule; poi lo obbligarono ad alzarsi, a lavarsi la faccia, a rimettersi la giacca, e lo condussero dinanzi a don Giuseppe: lo doveva benedire subito coll'acqua santa, per mettere in fuga satanasso!

Don Giuseppe era già preparato a quella fine, o quasi. Tuttavia, per scrupolo di coscienza, gridò, strepitò, e agguantando il povero ragazzo, e tirandolo per la cuticagna lo cacciò al buio, sotto chiave, nello stanzino dell'aceto.

—Speriamo un buon effetto,—disse poi calmandosi e voltandosi per confortare la signora Angelica e la signora Rosina, rimaste pallide, tremanti, a quella scena, gli occhi pieni di lacrime.—Speriamo che il Signore, coll'aiuto della Beata Vergine Maria, gli ritorni la sua grazia speciale. In ogni modo, teniamo sempre presente questa massima di ogni buon cristiano, insegnata anche da san Bonaventura: quello che fa lui è sempre ben fatto, e non casca foglia che Dio non voglia!

E tornò a raccomandare e a predicare il savio precetto, alcuni giorni dopo, vedendo che la casa seguitava ad essere sossopra per l'ostinazione di Pierino, il quale, fatto ormai il primo passo, e visto che non lo avevano accoppato, teneva duro, ostinato come un vero montanaro.

Alla Canonica non c'era più pace; e non c'erano più ore, nè per il desinare, nè per la cena. La signora Angelica e la signora Rosa che, di solito, preparavano il pranzettino particolare di don Giuseppe, con tanta premurosa diligenza, pareva non sapessero far più niente di bene; e a forza di soffrire e di piangere si erano ammalate tutt'e due. Avevano la flussione e la faccia bendata colla pappa di lino.

Don Giuseppe, se prima aveva taciuto per il quieto vivere, adesso, per la medesima ragione, spiattellò chiaro e tondo alle signore Laner tutti i dubbi, tutte le inquietudini che aveva già da tanto tempo, prima ancora che Pierino fosse stato mandato in Seminario. E concluse al solito: "Tutto per il meglio!"

—Diciamolo francamente, con quella sincerità che è obbligo di ogni buon cristiano: abbiamo preso un gambero a proposito della vocazione di Pierino; ed io più grosso di tutti! Ma se noi su questa terra siamo poveri ciechi,—Non unicuique datum est habere sapientiam,—il Signore, di lassù, tutto vede e a tutto provvede. Lui medesimo, per i suoi fini, che sarebbe un peccato di presunzione soltanto il voler lontanamente indagare, fa una scelta ristrettissima di tutte quelle persone che destina al suo servizio, e che siamo poi noi altri preti, sempre indegnamente, s'intende. Orbene; quando ha fatto una scelta, poniamo, sopra di quel dato individuo, Lui stesso,—nostro Signore—cosa fa?… Manda subito lo Spirito Santo, e quello non c'è pericolo, non sbaglia mai, a toccargli il cuore colla grazia divina, che è quanto dire, colla vocazione. E sarebbe bella, sarebbe grossa, volersi mettere davanti, al posto della medesima volontà di Dio, per scegliere e destinare in vece sua, chi lo deve servire! Anche noi, per esempio, i nostri uomini, i nostri contadini li vogliamo prendere secondo le nostre idee, secondo il nostro gusto!… Sicuro che il sacerdozio è lo stato di perfezione; ma per questo, appunto, non può essere di tutti quanti; ed è nostro Signore, per il primo, a non volere, per tutte quelle leggi superiori, umane e anche divine, del consorzio, della famiglia, della discendenza…. Mundus est et mundus esse debet. Pierino, si vede, è stato destinato, deve avviarsi per questa strada, e del resto, anche per l'anima, sempre meglio essere un buon marito, un buon padre cristiano, cattolico, come tutti i Laner, piuttosto di fare il prete per forza che è quanto dire, essere un cattivo prete!—

Le due vecchie si sforzavano di trattenere i singhiozzi: don Giuseppe prese una mano alla signora Angelica, un'altra alla signora Rosina, e stringendo, accarezzando quelle due mani secche secche fra le sue manone grosse e calde, dalle dita pelose, volle istruirle, con gran dolcezza, ma insieme con gran fermezza, anche a proposito di un altro, di un ultimo caso di coscienza, a loro particolare.

—Da brave! Da brave! Coraggio e mettiamo in pace il nostro cuore. E sopratutto, per qualunque tribolazione, non dobbiamo mai dimenticare l'adempimento scrupoloso di tutti i nostri doveri. Il Signore Iddio lo si serve in ogni modo, specialmente colle buone opere, e in ogni stato. Ma bisogna però aver l'animo tranquillo, e sopportare tutte le afflizioni che il cielo ci manda, con quella serenità dello spirito, che ci permette appunto di attendere colla solita cura alla nostra casa, ai nostri interessi, al nostro prossimo, e al disimpegno assiduo, diligente, di tutte quelle varie incombenze per le quali siamo stati allevati e destinati…. Destinati per volere di chi?… Sempre di quel di lassù!—

Povera signora Angelica! Povera signora Rosina!… Dopo quella predica si sforzarono ogni giorno più per mostrarsi tranquille, rassegnate; per attendere come prima, con ogni cura, alla Canonica, al pollaio, al desinaretto di don Giuseppe, ma era rimasta loro una grande amarezza in fondo al cuore, un continuo rodimento.

Aveva ragione don Giuseppe: meglio un buon padre di famiglia che un cattivo prete!… Pure, si erano tanto abituate all'idea di poter rivedere un giorno don Giacomo, il loro povero fratello, in don Pierino! C'era forse in fondo al cuore, anche quell'altra ragione del benefizio; non della Canonica e dell'orto perchè, ormai, quel regno lo avevano riacquistato: avevano combinato con don Giuseppe una specie di affittanza ed erano tornate loro ad essere le padrone….

Perchè quell'amarezza dunque, perchè quel rodimento?… Perchè da tutto il discorso di don Giuseppe, era sorta e rimasta fissa nel loro pensiero un'immagine nuova, viva; alla quale il prete non aveva nemmeno accennato: la moglie di Pierino.

Un'altra donna, un'estranea in quella casa, nella loro casa, sempre con loro, in mezzo a loro, e come loro padrona di tutto! La moglie di Pierino! Un'altra signora Laner! La nuova signora Laner!

Quella loro grande amarezza, quel loro continuo rodimento era un senso strano di gelosia: gelosia di Pierino, dell'orto, della Canonica, della roba; persino di don Giuseppe: insomma gelosia di tutto ciò che aveva appartenuto, che apparteneva a loro due soltanto e che sarebbe stato anche di quell'altra, della terza padrona che doveva capitare!

E tornavano la mattina, la sera, a fermarsi alla loro finestra…. vedevano quell'altra passeggiare nell'orto, raccogliere la frutta, le pere del Gigantesso…. comandare, ordinare chissà quali cambiamenti!

Sospiravano, si guardavano, si capivano; ma adesso colle occhiate lunghe e mute, invece di consolarsi si affliggevano di più.

—È tanto giovane Pierino….

—Forse, prima, avremo tempo di morire….

Ma l'idea di morire a tempo per non veder quell'altra capitare in casa, se era balenata prima nel loro animo come un sollievo, aveva finito poi col destare nel loro cuore nuove inquietudini e nuovi tormenti. Morire prima di aver educata "quell'altra" all'economia, al risparmio!… Morire prima di averle insegnato l'ordine della casa, l'andamento della piccola amministrazione, il modo di mantenere il pollaio con poca spesa, di conservare le frutta e l'uva intatta, per tutto l'inverno?

E le due vecchie, spaventate che la moglie di Pierino non avesse tutta l'economia indispensabile a una famiglia per assicurare il necessario e mantenere il timor di Dio, raddoppiavano di avarizia, risparmiavano anche quella poca fettina di lesso in due, per poter rimediare fin d'allora, per preparare un po' di largo, caso mai "quell'altra", venuto il suo momento, non avesse giudizio abbastanza.

Finite le vacanze, Pierino doveva assolutamente ritornare a Trento, per proseguire gli studi; non più in Seminario, s'intende, ma alle scuole pubbliche. Le signore Laner avrebbero certo preferito che il nipote rimanesse in paese per badare all'orto, ai campicelli e per fare un mestiere qualunque, come suo padre. Ma don Giuseppe aprì loro gli occhi anche su questo punto.

"Pierino era di un'indole troppo irrequieta e vivace; aveva del talento, ed era stato allevato troppo bene, perchè omai potesse ancora adattarsi a fare il sarto o il calzolaio, e a lavorare la campagna. A Crodarossa avrebbe finito col diventare un fannullone, un vizioso. Invece, facendolo studiare, si poteva forse cavarne qualche cosa!… Avrebbe potuto avviarsi nella carriera dell'insegnamento, oppure ottenere un posto, per esempio, nelle ferrovie, dove si va avanti, e quando si è vecchi si gode la pensione. Pietro non era un milionario, ma il capitaletto che gli aveva lasciato lo zio "quell'eccellente don Giacomo (e sempre a questo punto anche il prete alzava gli occhi al cielo e sospirava) gli poteva servire per i primi bisogni e, al caso, per una cauzione in una Banca."

Le Banche?… La signora Angelica, e la signora Rosa, non sapevano nemmeno che cosa fossero le Banche, le azioni, le carte, i valori pubblici in genere. Non si fidavano altro che della Cassa di risparmio; e i denari di Pierino erano messi appunto sopra un libretto già intestato al suo nome. Pochetti ma tocchetti: era tutta la loro esperienza e la loro furberia.

Intanto don Giuseppe, prima ancora che il ragazzo partisse per Trento, aveva procurato di metterlo a dozzina presso certi suoi parenti ai quali avrebbe pur dato l'incarico formale di sorvegliare il piccolo Laner "buono come il pane, ma troppo vivo."

Così Pierino l'aveva spuntata; non sarebbe più tornato in Seminario!… Ma pure, quando venne il momento di partire, si allontanò da Crodarossa col cuore oppresso e assai più triste di quanto non lo fosse la prima volta, allorchè era partito saltando, arrampicandosi sull'imperiale, accanto al conduttore della diligenza.

I baci delle zie erano stati adesso più caldi, per le gran lacrime versate; anche don Giuseppe aveva saputo trovare certi consigli, certe parole buone che lo avevano intenerito. Pierino, ormai, aveva già provato a rimanere un anno lontano, senza più vedere quelle sue montagne verdi dalla cresta bigia, quel suo pezzo di cielo attraversato lentamente dall'ala pesante dei corvi. Aveva cominciato a soffrire i primi dolori, a combattere le sue piccole battaglie e per tutto ciò, quel lungo anno che ricominciava, l'ignoto di quel lungo anno che doveva ancora passare prima di ritrovarsi in faccia a quei monti, prima di rivedere la casettina bianca e quieta, lo sgomentava, lo immalinconiva fino alle lacrime.

Ma partito cogli occhi rossi e a capo basso, gli scolari delle Tecniche lo videro arrivare col cappello sulle ventitrè e il sigaro in bocca: un pezzo di Virginia che gli metteva il mal di stomaco. Pietro Laner aveva vergogna di aver portato la sottana nera; coll'aria da bravo e col sigaro, sperava tener nascosta a tutti la macchia dell'esser stato per un anno in Seminario. Invece i suoi compagni lo vennero presto a sapere, ne fecero un baccano indiavolato, e d'allora in poi, per burlarlo o per attaccar briga, lo chiamavano sempre prete-spretato, baciapile, papalino! Pietro montava in furia, correvano pugni, si rodeva; ma poi, per lavarsi di quell'onta di essere stato fra i preti, per riavere la stima de' suoi condiscepoli, si sforzava persino a tirar giù certe bestemmie grosse come una casa, e che gli lasciavano poi, in fondo al cuore, un senso misterioso di rimorso e di timore.

E anche Pietro, come i suoi compagni, non andava più alla messa la festa, e gridava, ne diceva di tutti i colori contro i preti e contro i bacchettoni; ma poi, quando fu vicina l'epoca degli esperimenti del trimestre, ebbe paura, e tornò ad ascoltare la messa, in una vecchia chiesetta, fuori di mano, dove era sicuro di non essere veduto dai compagni.

L'esperimento andò a vele gonfie e le classificazioni furono tali, specialmente per la Composizione e per la Storia, da provare a don Giuseppe che non aveva preso un altro gambero, come quello della vocazione, anche a proposito del talento.

Pierino montò in superbia per le lodi dei professori e per una certa gloriola che si era procurata anche fra gli scolari con una sua ballata in versi: Napoleone a Sant'Elena. Pensò di essere un genio e credette di non aver più bisogno di nessuno, nemmeno di quella povera Madonnina quasi ignorata nella viuzza remota; e ricominciava anche di tanto in tanto a tirar giù qualche moccoletto, quando gli accadde uno di quegli avvenimenti che lasciano nell'anima un'impressione così profonda che non si cancella interamente per tutta la vita.

Nella stessa casa dove Pietro stava a dozzina, c'era una botteguccia d'un libraio con cartoleria. Pietro, che aveva la passione delle penne, della carta, aveva preso l'abitudine di entrare sempre nella botteguccia, quando andava o tornava dalla scuola. Faceva le sue spesucce, guardava le stampe, le fotografie, i libri illustrati, e un giorno appunto gli capitò sottocchio un libro, un libro nuovo, che lo colpì stranamente e che non osò nemmeno toccare per timore di essere veduto dal libraio.

Sulla copertina chiusa (bisognava tagliarla per leggere il volume) era disegnata, a colori, una donnina molto poco in camicia, colle calzette azzurre e gli stivalini neri, seduta sulle ginocchia di un brutto scimmiotto in frak e cravatta bianca. Il libro era intitolato: Le notti di Giuliana, e sotto, fra parentesi, era stampato in caratteri grossi libro segreto.

Pierino continuava a guardare il libro, continuava a fissarlo con una stupidità animalesca negli occhi immobili, col sangue che gli accendeva le guance. Lo voleva quel libro: costava un fiorino, ma egli, soltanto per poterlo leggere, avrebbe dato tutti i suoi quattrini. Ma come domandarlo al libraio? Il vecchio cerbero colla papalina bisunta gli avrebbe ficcati gli occhi addosso; quegli occhi spelati, così vivi e acuti dietro le lenti! Eppure voleva averlo; voleva leggerlo. La sua curiosità era così eccitata, il suo desiderio così cocente, da diventare un orgasmo, una vera ossessione. Gli scolari delle Tecniche ne sapevano e gliene avevano insegnate più assai dell'amico seminarista; ma più egli ne imparava, più ne sapeva, e più cresceva la sua curiosità.

Timido per indole, timidissimo per lo stesso desiderio che lo accendeva, non osava domandare, non osava spiegarsi coi compagni. Quelli si mettevano subito a ridere, a urlare, a chiamarlo don Piero o san Luigi Gonzaga.—E aveva sentito parlare di cene, di certe orgie di ricconi, di vecchi milionari….—Cos'erano? Cosa facevano?… Certo doveva essere tutto raccontato, tutto descritto in quel "libro segreto" Le notti di Giuliana.

Ci pensò tutto il giorno a scuola, a casa, con una smania che si faceva sempre più bramosa, più fissa, che gli era montata al cervello, che lo riscaldava, lo esaltava come i fumi del vino.

La mattina dopo capitò in bottega dal libraio più presto del solito: voleva comperare una grammatica francese; quell'altra l'aveva smarrita, o gli era stata rubata: insomma non la trovava più!

La grammatica francese costava appunto un fiorino come Le notti di Giuliana. Con quella spesa non gli restavano più che altri tre fiorini e mezzo, e gli dovevano bastare fino alle vacanze:—Poco male; le zie lo avevano abituato all'economia!

Avuta la grammatica, indugiò come al solito nella bottega; e intanto che fingeva di ammirare le fotografie di Meran e di Gries lasciò lì la grammatica, sul banco ingombro di quaderni, di scatole, di volumi nuovi e vecchi; la lasciò lì, come per caso, vicino alla catasta degli altri libri. E continuò per un bel pezzo a guardare, a far passare le fotografie di Meran e di Gries.

Il libraio, intento a disporre le novità nella mostra, gli domandò d'un tratto senza voltarsi:

—Non va a scuola, stamattina?

—Che ora è?

—Son le nove. Sonano adesso!

—Le nove?!—esclamò Pierino, come spaventato a quell'annunzio.—Allora scappo!—e corse via in fretta e in furia, cacciandosi in tasca il Libro segreto invece della grammatica.

—In fine che male c'è?… Tanto l'uno che l'altro costano un fiorino; dunque l'ho comperato!—Era suo, finalmente! E adesso che smania di esser solo, di rompere la copertina chiusa, di vedere, di leggere!

Sentiva quel libro pesargli nella saccoccia; gli metteva addosso un calore che gli saliva alla faccia; negli orecchi aveva uno scampanellìo cupo, come se avesse preso il chinino.

Aspettò, quieto, che fosse cominciata la lezione, poi, appena gli parve giunto il momento opportuno, alzò la mano, e avuto il cenno affermativo del professore, se ne andò difilato a rinchiudersi nel solito buco affocato, in fondo al corridoio, dove gli scolari passavano le ore a imparare a fumare. Il sole di giugno batteva colà tutto il giorno e le mosche entravano dai vetri rotti della finestrina a mezzaluna, scendevano colle striscie di luce e i pulviscoli dorati dalle fessure del piccolo tetto di legno sporgente, sbucavano di sotto, correvano sulla faccia, punzecchiavano grosse, moleste, insistenti.

Pietro Laner stracciò colle dita tremanti la copertina e le pagine del libro, e subito cercò, cercò avidamente, in ogni pagina…. Niente! Tutta la grande attrattiva era nella copertina; il resto, una raccolta di novellette insipide, tradotte dal francese.

Possibile?!… Pierino continuò a stracciare le pagine, a cercare, a cercare rapidamente nell'una e nell'altra, indietro, avanti, senza accorgersi intanto che il tempo passava.

A un tratto un pugno forte, poi un altro, scossero l'usciolo sconnesso e mezzo sgangherato.

—Aprite, Laner!

Era la voce del bidello.

Il libro sparì di colpo, precipitò nel vuoto, con un rumor cupo, sempre più basso.

—Aprite, Laner!—E il bidello tirò un altro pugno ancora più forte contro l'uscio.

Pierino aprì, mostrandosi pallido, confuso, al bidello che lo afferrò subito per un orecchio, come don Giuseppe lo agguantava per la cuticagna.

—È un'ora che siete qui! Vi ho veduto entrare!

—Non è vero…. potrei giurare….—ma un'altra tirata di orecchie e un forte scossone gl'impedì di farsi spergiuro.

Il bidello aveva sentito il tonfo del libro, e aveva immaginato press'a poco di che cosa si trattava.

Il direttore ed uno de' professori, passavano in quel punto lungo il corridoio: subito ci fu tra loro e il bidello un breve conciliabolo: poi fecero, su due piedi, una specie di processo, con interrogatori e minacce al povero Pierino, che rispondeva livido, tremante, senza fiato.

—Cosa facevate?

—Fu…. fumavo….

—Cos'è che avete buttato via, quando han picchiato all'uscio?

—La…. la pipa.

E non vi fu verso di cavargli altro di bocca: a testa bassa, continuava a rispondere—"Fu…. fumavo—"La…. la pipa."

Per punizione fu messo in gattabuia invece di lasciarlo andare a casa a desinare. E Pierino, in quelle ore, soffrì quello che non aveva mai sofferto in vita sua!

Il suo sgomento, il suo tormento, era che cercassero, che scoprissero Le notti di Giuliana. Ma allora sarebbe passato per ladro col libraio, coi professori, coi suoi compagni e coi parenti di don Giuseppe… con tutti quanti! Il cambio colla grammatica l'avrebbero creduta una storiella!

Ladro! Ladro! Ladro!—e immaginava quella parola "Ladro!" "Pierino ladro!" quando fosse arrivata lassù a Crodarossa!… Che vergogna! Che vergogna! Ma piuttosto la morte, mille volte la morte!

E in quello sgomento, in quel terrore Pierino cominciò a pregare il suo povero babbo, il suo povero zio ch'erano in paradiso, che gli volevano bene, e che sapevano che non era un ladro. Poi pregò la Madonna miracolosa del Santuario di Crodarossa, che aveva fatto tanto male a dimenticare, poi l'altra, quella di Trento, della piccola chiesetta lontana, solitaria, e che aveva fatto molto male a trascurare, e pregò, pregò ginocchioni, piangendo, balbettando, dandosi pugni contro il petto che gli doleva per l'affanno e per la fame. Col fervore della preghiera, colla sincerità del pentimento, faceva le promesse più solenni. Oh, se i suoi poveri morti, se la Madonna, quella di Crodarossa e quella di Trento, gli facevano quella grazia; se il libro non era scoperto; se lui non veniva accusato di aver rubato, di essere un ladro, oh, allora, prometteva di mutar vita, di non dire mai più—mai più—la più piccola bestemmia, di andare in chiesa tutti i giorni, di andare a messa tutte le domeniche, tutte le feste, e di dirlo anche, di farsi vedere, senza stupidi riguardi, da tutti i suoi compagni!…

La cosa finì con una gran lavata di capo del direttore, e dei parenti, sul brutto vizio di fumare, e non se ne parlò più. Ma da quel giorno Pierino pregava, pregava tutte le sere, tutte le mattine; pregava per ottenere il miracolo che le zie gli mandassero un po' di soldi e per ottenere la grazia di passar bene gli esami.

E ancora dopo molti anni da quel giorno della grazia ricevuta per il Libro segreto, quando Pietro Laner mandò i suoi tre primi sonetti e il suo primo articolo di critica intitolato Berchet e Mameli "All'illustre cavalier Matteo Cantasirena, direttore del Rinnovatore _e dell'_Emporio Letterario", prima di portare il manoscritto alla posta, se lo portò in chiesa, nascosto sotto il gilet. In quel momento e con tutto il male che aveva detto dei Gesuiti e del Papa nel suo primo articolo, Pietro Laner non poteva certo umiliarsi a credere nelle "grazie" e nei "miracoli" di Domineddio; ma credeva, e ne aveva paura, in quella stranissima combinazione, che quando non andava in chiesa non gli riusciva niente di bene.

E per Pietro Laner sarebbe stata una disgrazia se quell'articolo, se quei sonetti, non avessero fatto buona impressione al cavalier Cantasirena. Guai per lui se non fossero stati accettati e pubblicati nell'Emporio Letterario! La sua più grande, la sua più bella speranza sarebbe andata svanita! Era da quei tre sonetti e da quell'articolo che poteva dipendere tutto il suo avvenire, tutta la sua felicità e forse tutta la sua gloria!

Pietro Laner aveva finito con onore anche L'Istituto Tecnico, aveva passato i vent'anni, ma ancora non aveva scelta la sua carriera: era incerto, non sapeva quale avrebbe potuto essere per lui la migliore. Continuava a ripetere ogni momento che avrebbe fatto volentieri il professore; che avrebbe fatto volentieri l'impiegato con un buon posto, che avrebbe fatto volentieri anche il ragioniere, ma intanto continuava volentieri a far niente!

E la signora Angelica e la signora Rosina, che non avevano nessuna fretta di vederlo partire da Crodarossa, di vederlo toccare il suo libretto della Cassa di Risparmio, si ostinavano ogni giorno più nel loro mutismo, per non essere obbligate a far domande, a spingere il nipote a prendere una risoluzione, come avrebbero dovuto fare, ma come non avevano voglia di fare.

Soltanto don Giuseppe predicava in italiano e in latino che quello stato di ozio, di dissipazione, non doveva durare sine fine dicentes. Ma don Giuseppe e Pietro Laner erano venuti poi a rottura a proposito della "triplice alleanza" e del "potere temporale". Don Giuseppe aveva alzata la voce, e gli aveva imposto di tacere, mentre la signora Angelica e la signora Rosina, sbalordite, sbigottite, correvano intorno affannate a chiudere tutte le porte, tutte le finestre, perchè l'ortolano, perchè la gente di fuori, non avesse a sentire e a rimanerne scandalizzata.

La brutta scena era rimasta impressa nell'animo di Pierino: lo rodeva il dispetto, la stizza di essersi lasciato intimidire e di non aver avuto il coraggio di rispondere per le rime quando don Giuseppe aveva alzata la voce.

—L'ora è sonata! Bisogna passare il Rubicone! Non voglio ammuffire fra le sottane! Viva l'Italia! Viva la libertà! Abbasso i preti!—e per mostrare anche a don Giuseppe che omai voleva impipparsene di tutti quanti, gli passava vicino col suo bravo cappello col garofano rosso e il mucchietto d'edelweiss infilato di dietro, sulle ventitrè, e si faceva sentire a fischiettare l'Oi Carolì, e il Morettina tu mi lasci.

La baraonda

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