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LIBRO DECIMOTERZO
CAPITOLO I
Nozze del Re Guglielmo II con Giovanna figliuola d'Errico II Re d'Inghilterra. Sconfitta data dai Milanesi all'esercito dell'Imperador Federico; e pace indi conchiusa dal medesimo con Papa Alessandro III

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Intanto l'Imperador Federico di Svevia era calato di nuovo in Italia con grande e poderoso esercito, ed avea cominciata crudel guerra in Lombardia; e mentre quella con varj avvenimenti seguiva, considerando Federico di quanta potenza fosse il Re di Sicilia, tentò di distorlo dall'amicizia e confederazione del Pontefice, e trarlo dalla sua parte; onde per mezzo di Tristano suo Cancelliere gl'inviò in quest'anno 1176 ad offerire la figliuola per moglie, ed a persuadergli, che avesse fatta parimente con lui perpetua lega e compagnia[62]. Ma il Re considerando, che questo maritaggio e questa pace non sarebbero piaciute ad Alessandro, ed avrebbero recato grave danno agli affari della Chiesa, ributtando l'offerta dell'Imperadore non ne volle far nulla. Sdegnato sommamente Federico del rifiuto, tosto scrisse in Alemagna per nuovo soccorso di gente da guerra per domare i Lombardi, che gli facevano valorosa resistenza, e sollecitò Tristano suo Cancelliere, che calasse col suo esercito ad assalire il Reame di Puglia. Giunsero nel principio della state Filippo Arcivescovo di Colonia, con molti altri gran Baroni tedeschi, e grosso stuolo di valorosi soldati, co' quali unitosi Cesare presso l'Alpi, calò nel Milanese per danneggiar que' luoghi; ed affrontatosi con l'esercito de' Collegati, che gli andò all'incontro, vi cominciò crudele ed ostinata battaglia, nella quale furon rotti ed uccisi per la maggior parte gli Alemanni, e Federico abbattuto da cavallo corse gran rischio di lasciarvi anch'esso la vita, e si salvò a gran fatica, fuggendo con pochi de' suoi dentro Pavia, ove giunto consolò l'Imperadrice sua moglie, che per quattro giorni, non avendo di lui novella, l'avea pianto come morto[63]. Tristano, ch'era già venuto con un altro esercito ad assalire il Reame, ed avea campeggiata la Terra di Celle, essendogli giti all'incontro Tancredi Conte di Lecce, che rivocato dall'esilio, era stato già ricevuto in grazia del Re, e Ruggiero Conte d'Andria con molti altri Baroni, e buona mano di soldati Regnicoli, ributtato da loro se ne ritornò anch'egli addietro senza poter far effetto alcuno.

Intanto Guglielmo, non avendo avuto alcun effetto il matrimonio maneggiato colla figliuola dell'Imperador d'Oriente, ed avendo rifiutato l'altro della figliuola di quello d'Occidente, trovandosi in età di ventitrè anni e solo, pensò seriamente a non dover differire di vantaggio il suo ammogliamento: onde per consiglio del Papa inviò Elia Vescovo di Troja, Arnolfo Vescovo di Capaccio e Florio Camerota Giustiziero, ad Errico II Re d'Inghilterra a chiedergli Giovanna sua figliuola per moglie; li quali ricevuti lietamente dal Re, e ragunata un'Assemblea de' suoi Baroni con il di loro consiglio gradì la dimanda degli Ambasciadori, e conchiuse il parentado[64]. E tantosto dall'Arcivescovo d'Eborace, e da altri Signori inglesi fece condurre la figliuola insino alla città di S. Egidio, ove si trovarono presti a riceverla Alfano Arcivescovo di Capua, Riccardo Vescovo di Siracusa e Roberto Conte di Caserta con venticinque galee condotte dall'Ammiraglio Gualtieri di Moac, e la condussero a Napoli, ove celebrarono la Pasqua di Resurrezione. Ma infastidita la fanciulla dal mare, per la via di Salerno e di Calabria n'andò per terra, e passato il Faro, in Palermo si condusse, dove fu pomposamente accolta dal Re suo marito, e fatte le nozze fu coronata Regina di Sicilia.

Allora fu, che Gualtieri Arcivescovo di Palermo, per mano di cui passarono queste funzioni, presentandosegli sì opportuna congiuntura richiese al Re, che i delitti d'adulterio fossero castigati da' Vescovi nella diocesi ove eran commessi, e che i delitti dei Cherici fossero conosciuti da' loro Prelati; ond'è, che a sua richiesta fosse stata da Guglielmo fatta quella Costituzione, che ancor oggi leggiamo nel volume delle nostre Costituzioni sotto il titolo de Adulteriis coërcendis, la quale con errore de' nostri s'attribuisce a Guglielmo I suo padre. Ma se deve prestarsi fede ad Inveges[65], questi rapporta un privilegio di Guglielmo fatto alcuni anni prima colla data in aprile dell'anno 1172 e drizzato Comitibus, Justitiariis, Baronibus, et universis Bajulis, qui sunt de Parochia, et Dioecesi Archiepiscopatus Panormi, ove il Re comanda, che il delitto dell'adulterio sia della giurisdizione di Gualtieri Arcivescovo di Palermo. Ed in fatti nel Regno della Regina Costanza vedesi, che la conoscenza di questo delitto per privilegio de' nostri Re s'apparteneva agli Ecclesiastici, ciocchè poi andò in disuso, e solamente loro rimase la conoscenza sopra i delitti de' Cherici delle loro diocesi.

Era a questi tempi costume, che anche i Re soleano costituire i dotarj alle loro mogli, onde Guglielmo costituì alla Regina Giovanna il suo; e nelle addizioni fatte dall'Abate Giovanni alle Cronache di Sigeberto abbiamo la scrittura, nella quale questo dotario[66] fu costituito[67], concedendosi alla Regina a questo nome la città di Monte S. Angelo, la città di Vesti con tutti i suoi tenimenti e tutte le loro pertinenze; ed in suo servigio le concedè ancora de' tenimenti del Conte Gaufrido, Lesina, Peschici, Vico, Caprino, Varano, Ischitella e tutto ciò che il Conte suddetto teneva del Contado di Monte S. Angelo. Di vantaggio le concedè Candelaro, Santo Chierico, Castel Pagano, Bisentino e Conavo. In oltre il monastero di S. Giovanni in Lama, ed il monastero di S. M. di Pulsano con tutti i tenimenti che i suddetti monasteri tenevano del Contado suddetto di Monte Sant'Angelo.

L'Imperador Federico, dopo ricevuta sì grande sconfitta da' Milanesi, seriamente pensando, che mal poteva sostenere la guerra contro i Lombardi nell'istesso tempo, che avea per suoi nemici il Papa ed il Re Guglielmo, si dispose, esortato anche da' suoi Baroni, che si protestavano non volerlo più seguire, se non si riconciliava col Pontefice, di chiedere schiettamente, e senza fraude alcuna la pace ad Alessandro; e poichè i maneggi di questa pace, e l'andata del Papa in Vinegia, variamente sono stati narrati da' moderni Scrittori, i quali avendo di molte favole riempiute le loro istorie, diedero anche la spinta a' dipintori di prendersi queste licenze; però seguitando le orme de' più diligenti Scrittori, e sopra tutto degli accuratissimi Capecelatro ed Agostino Inveges, i quali con più diligenza degli altri rintracciarono questi successi dagli Autori contemporanei, e spezialmente dall'Istoria di Romualdo Arcivescovo di Salerno, il quale a tutto personalmente intervenne come Ambasciadore del Re Guglielmo, non dovrò aver rincrescimento di partitamente narrargli, quali realmente avvennero, giacchè non saranno riputati estranei e lontani dal nostro istituto, anzi a quello molto proprj e confacenti.

Disposto pertanto Federico d'unirsi con Alessandro, inviò ad Alagna, ove dimorava, suoi Ambasciadori a chiedergli la pace: questi furono il Vescovo di Maddeburg, l'Arcivescovo di Magonza, l'Eletto di Vormazia, e 'l Protonotario dell'Imperio, uomini tutti quattro di grandissima stima e più volte adoperati da lui in simili affari. Questi avendo esposto le loro commessioni al Papa, dopo vari trattati, che durarono quindici giorni continui, finalmente diedero qualche sesto alle differenze tra il Papa, ed il loro Signore; ma premendo assai più per la pace d'Italia, che si accomodassero gli affari de' Milanesi e delle altre città di Lombardia, il quali non era convenevole, che si trattassero in loro assenza; e considerandosi ancora, che non potevasi dar perfetto compimento ad una sicura pace senza la persona dell'Imperadore e de' Deputati di quelle città, che v'aveano da intervenire; fu perciò conchiuso, che il Papa passasse tantosto in Lombardia, per abboccarsi con Federico, e che perciò si dasse libero il passaggio e salvocondotto da ciascuna delle parti di potere chiunque volesse liberamente andare ove dovea ragunarsi tal Assemblea e dimorarvi e partirsi a suo piacere. A tal effetto inviò il Papa il Cardinal Ubaldo Vescovo d'Ostia, Rinaldo Abate di Monte Cassino Cardinal di S. Marcellino, e Pietro del lignaggio de' Conti di Marsi a ricevere il giuramento di serbar tal sicurezza da Cesare e dagli altri Collegati, e ad eleggere il luogo, ove s'avea a far l'abboccamento; e fu stabilito di consentimento di ambe le parti, che fosse la città di Bologna. Inviò anche il Papa suoi messi al Re Guglielmo a significargli, che avesse mandati alcuni de' suoi Baroni per assistere a tal bisogno in nome di lui; perciocchè non intendeva conchiudere pace alcuna con l'Imperadore, ove non fosse compreso anch'egli, che così costantemente avea sempre favoreggiati gli affari della Chiesa[68]; la quale ambasciata udita dal Re, v'inviò di presente Romualdo Arcivescovo di Salerno, autore di questa relazione, e Ruggiero Conte d'Andria Gran Contestabile; acciocchè intervenissero in suo nome a tutto quello, che fosse stato mestiere. E dopo questo partì il Pontefice d'Alagna, e per la via di Campagna venne a Benevento e di là passò a Siponto ed a Vesti, ove s'imbarcò su le galee fattegli apprestare dal Re Guglielmo con molti Cardinali, che girono in sua compagnia, e con i suddetti Ambasciadori navigò felicemente a Vinegia, ove a grand'onore ricevuto, albergò nel monastero di S. Niccolò del Lito, e nel seguente giorno fu dal Doge e dal Patriarca e da numeroso stuolo di Vescovi con gran concorso di Popolo condotto nella chiesa di S. Marco, e di là se ne passò al palagio del Patriarca, ch'era stato apprestato con gran pompa per suo alloggiamento.

L'Imperador Federico intesa la venuta del Pontefice a Vinegia inviò colà il Vescovo di Maddeburg, l'Eletto di Vormazia, e 'l suo Protonotario a chiedergli, che gli fosse a grado di stabilire altro luogo per l'appuntato abboccamento, avendo la città di Bologna sospetta, per esser colà entro molti suoi nemici. Alla qual dimanda rispose Alessandro, ch'essendosi quel luogo statuito non solo da lui, ma da' comuni Ambasciadori e da tutti i Collegati lombardi, non poteva senza il voler di ciascuno d'essi cambiarlo in altro; ma che non perciò s'impedirebbe la comune concordia; onde prestamente fece convocar i Deputati di tutte le parti a Ferrara e gitovi anch'egli ragunò una Assemblea entro la chiesa maggiore di quella città dedicata a S. Giorgio, ove convennero tutti, ed egli ragionò lungamente sopra gli affari della pace. Ed essendo sopraggiunti sette Legati da parte di Cesare, si deputarono dal Pontefice altri sette Cardinali; e per la Lega de' Lombardi furon destinati il Vescovo di Turino, e quelli di Bergamo e di Como, l'Eletto d'Asti, Gerardo Pesce milanese, Goezzo Giudice da Verona ed Alberto Gammaro bresciano, i quali dopo vari contrasti, intervenendovi parimente gli Ambasciadori del Re Guglielmo, di comun consentimento statuirono che l'abboccamento si facesse a Vinegia.

Il Pontefice prestamente spedì Ugone da Bologna e Ranieri Cardinali con alcuni altri Lombardi al Doge ed al Popolo vinegiano (essendo a questi tempi la potestà pubblica presso i Nobili ed il Popolo insieme, non come oggi ne' soli Nobili ristretta[69]) a chieder loro, che avesser data sicuranza che potesse egli, e tutti gli altri, ch'eran seco per lo detto trattato di pace entrar nella loro città e dimorarvi, ed uscirne a lor talento senza ricever noia alcuna, aggiungendo che non consentissero, che Cesare contro il voler del Papa vi potesse venire; ed avendo i Vinegiani senza molto riflettere a quest'ultima dimanda conceduto ad Alessandro quel che chiedeva, si partì egli immantenente da Ferrara ed a Vinegia ritornò. Si diede quivi per tanto principio a' negoziati della pace, ma riuscendo per le molte difficoltà e differenze insorte, malagevole a potersi conchiudere, perchè non andasse a vuoto tutto ciò, che fin allora erasi adoperato, pensò Alessandro, che almeno dovesse conchiudersi una triegua, che durasse sei anni con i Lombardi, e quindici col Re di Sicilia; nel che essendo venuti gli altri, s'attendeva solo il consenso di Cesare per istabilirla; e gito il Cancelliere all'Imperadore con tal proposta, prima si sdegnò; ma da poi acconsentì con condizione, che il Papa restituisse all'Imperio lo Stato della Contessa Matilde; ma questa proposta non fu accettata da Alessandro; onde dilungandosi l'affare, perchè l'Imperadore era a Pomposa, luogo di piacere presso Ravenna, e vi voleva molto tempo ad andare e ritornare i messi, che gli s'inviavano per gli affari, che occorrevano in tal bisogno si contentò Alessandro per agevolare il trattato a richiesta del Cancelliere e degli altri Deputati di Cesare ch'esso venisse insino a Chiozza luogo quindici sole miglia lungi da Vinegia e che di là non passasse avanti senza espressa sua licenza. Ma venuto che vi fu Federico, ne girono alcuni de' popolani di Vinegia a ritrovarlo, e dirgli che non indugiasse ad entrare nella città, perchè colla sua presenza avrebbero sicuramente fatta la pace in suo vantaggio, ed essi avrebbero adoperato ogni sforzo per farlo entrare.

Aveva mandato in questo mentre Alessandro a Chiozza suoi Legati a dire a Cesare, che se egli era risoluto di far triegua per sei anni con i Lombardi e per quindici col Re Guglielmo, il giurasse nelle lor mani, perchè poscia con la sua benedizione sarebbe potuto entrar nella città. Ma Federico a cui eran piaciute l'offerte de' popolani, ed aspettava, che l'avesser recate ad effetto, simulando essergli nuovo il trattato, e consumando il tempo in varie consulte, trasportava di giorno in giorno la risposta; onde sospettando i Cardinali che l'Imperadore macchinasse qualche inganno, erano entrati in gran confusione, nè sapean che farsi: ed i popolani di Vinegia volendo porre in opera la promessa fatta a Federico, si ragunarono insieme nella chiesa di S. Marco, e tumultuando contro il Doge, gridavano ch'era cosa molto biasimevole, che Cesare dimorasse travagliato dal calor della stagione, da' pulci e dalle zanzare senza potere entrare in Vinegia, la qual ingiuria riserbando egli nel suo animo, l'avria poscia sfogata a più opportuno tempo contro di loro e contro i lor figliuoli; perlocchè volevano, che invitatovi dalla Repubblica, e di voler di tutti loro v'entrasse di presente: le quali cose avendo con molta baldanza significate al Doge, fu da lui risposto, che s'era giurato al Pontefice di non far entrare l'Imperadore senza sua licenza: ma nulla giovandogli presso il Popolo tumultuante questa scusa, alla fine bisognò cedere, e mandare alcuni de' medesimi a dire al Papa, ch'era loro intendimento di far entrare Cesare in Vinegia, i quali ritrovandolo che dormiva, senza voler soprastare menomo tempo, irreverentemente lo svegliarono ed espostagli con arroganza l'ambasciata, a gran pena si contennero per le parole del Pontefice d'indugiare fino al vegnente giorno a farlo venire.

Sparsasi di repente per la città la novella di tal fatto, temendo i Lombardi e gli altri, ch'erano ivi per lo trattato della pace, che se Federico entrasse contro il voler del Papa, non gli facesse prigioni, avendo già sospetta la corta fede de' Vinegiani, sgombrarono tantosto via, e ne girono a Trivigi. Ma gli Ambasciadori del Re Guglielmo niente spaventati di tal fatto, furono prestamente a ritrovare il Papa, ad avvalorarlo e dargli animo, che di nulla temesse, poich'essi avean quattro galee ben armate; su le quali l'avrebbero eziandio contro il volere de' Vinegiani trasportato ove gli fosse stato a grado, e avrebber saputo farsi attendere la fede data da' Vinegiani; dopo di che ne girono a casa del Doge, e ritrovandolo con molti Vinegiani, cominciarono a rinfacciargli i beneficj, che il loro Signore avea lor fatti, che non meritavano questo tratto, e che se sapessero, che essi permettevano di far entrare Federico nella lor città senza licenza del Pontefice, essi non avriano attesa tal venuta, ma che subito se ne sariano andati via in Sicilia, ed avriano detto al lor Principe ciò che ne conveniva per vendicar questi torti. Ma non montando nulla tai parole col Doge, ancor ch'egli con dolci risposte s'ingegnasse di trargli al suo volere, con assicurargli, che non avesser niun timore della venuta dell'Imperadore, sdegnosamente ritornarono al loro albergo e dissero sul partire dal Doge, che avrebber procacciato, che il lor Signore si vendicasse con convenevol castigo dell'ingiuria che riceveva; e fecero apprestare i legni per partirsi nel seguente mattino. La qual cosa sparsasi tra' Vinegiani, recò loro grandissima paura, temendo, se costoro si fossero andati via così sdegnati, non avesse con tal cagione il Re Guglielmo fatti prigionieri tutti i Vinegiani, che dimoravano nel suo Reame. Il perchè grosso stuolo di coloro, ch'eran congiunti di sangue a que' ch'erano in Puglia, mossi a tumulto ne girono al Doge a dirgli che non era convenevole, che per aggradire a Cesare, dal quale mai non avean ricevuto comodo alcuno, si facesse nimistà, sdegnando in cotal guisa i suoi Legati, col Re Guglielmo, da' cui Stati traean continuamente tante utilità, arrischiando di più la vita ed i beni de' lor parenti che colà dimoravano; e che lor palesasse chi erano stati coloro, ch'avean consigliato a far entrar l'Imperadore in Vinegia prima di conchiudere la pace col Pontefice, ch'erano apparecchiati con l'armi alle mani di farne vendette.

Vedendo il Doge ed il Senato sì ostinata risoluzione e temendo non si movesse grave sedizione e si venisse dentro la città all'armi, inviarono prestamente persone di molta stima a pregare il Papa che lor perdonasse la noia, che gli avean data e che facesse ogni sforzo con gli Ambasciadori di Guglielmo, di non fargli partire: ma mostrando di star saldi nel loro proponimento non ostante le preghiere del Papa e del Doge, fur cagione, che nel seguente mattino si pubblicasse una grida in Rialto d'ordine della Repubblica, che niuno avesse più ardito di favellar dell'entrata di Cesare nella città, se in prima non l'avesse comandato il Pontefice.

Pervenuta a Federico in Chiozza questa novella, vedendosi fallita ogni speranza, cominciò a parlar benignamente co' Cardinali, che colà dimoravano, degli affari della pace; ed essendogli altresì apertamente detto dal suo Cancelliere, e dagli altri Baroni tedeschi, che bisognava finirla con Alessandro e riconoscerlo per legittimo Pontefice, finalmente alle persuasioni de' medesimi s'indusse ad inviar addietro a Vinegia co' Cardinali il Conte Errico da Diessa a prometter con giuramento, che tosto ch'egli vi fosse entrato avrebbe giurata e confermata la triegua con la Chiesa, col Re di Sicilia, e co' Lombardi nella stessa guisa appunto, ch'era stata trattata per li Deputati d'ambe le parti.

La qual cosa posta ad effetto dal Conte, ne girono d'ordine del Pontefice i Vinegiani con sei galee a levar l'Imperadore, e 'l condussero insino al monastero di S. Niccolò, e nel seguente giorno, avendo Alessandro udita la sua venuta, se n'andò con tutti i Cardinali, con gli Ambasciadori del Re, e co' Deputati de' Lombardi alla chiesa di S. Marco, ed inviò tre Cardinali con alcuni altri a Federico, i quali assolvettero lui e tutti i suoi Baroni dalle censure della Chiesa. Dopo questo andarono il Doge e 'l Patriarca, accompagnati co' primi Nobili di Vinegia, a S. Niccolò, e fatto salir l'Imperadore sopra i loro legni con molta pompa il condussero insino a S. Marco; ove per veder sì famoso spettacolo era ragunata immensa moltitudine di Popolo: e Federico disceso dalla nave n'andò tantosto a' piedi d'Alessandro, il quale coi Cardinali e con molti altri Prelati era pontificalmente assiso nel portico della Chiesa e deposta l'alterigia della Maestà imperiale, levatosi il mantello, si prostrò innanzi a lui con il corpo disteso in terra, umilmente adorandolo: dal qual atto commosso il Pontefice lagrimando, da terra il sollevò, e baciandolo il benedisse: e poi cantando i Tedeschi il Te Deum entrarono ambedue in S. Marco, donde l'Imperadore, ricevuta la benedizione dal Papa, ne andò ad albergare al palagio del Doge, ed il Papa con tutti i suoi ritornò al solito ostello.

Così ne' principj d'agosto di quest'anno 1177 fu conchiusa e confermata la triegua[70] data da Federico a' Lombardi per sei anni, ed a Guglielmo per quindici, che fu giurata da Federico, ed anche dal Conte di Diessa, e da dodici Baroni dell'Imperio in nome di Errico suo figliuolo. La giurarono ancora dalla lor parte l'Arcivescovo Romualdo e Ruggiero Conte di Andria, Ambasciadori del Re, promettendo, che fra due mesi l'avrebbe Guglielmo confermata, e fatta altresì giurare da diece altri suoi Baroni: siccome per tal effetto furono da Federico mandati suoi Ambasciadori in Sicilia, i quali giunti il nono giorno di agosto di quest'anno 1177 a Barletta, quindi si portarono in Palermo, ove furono lietamente accolti dal Re, il quale per Ruggiero dell'Aquila in nome di lui, e per undici altri suoi Baroni diede compimento al dovuto giuramento: e fatto simigliante giuramento dai Deputati delle città di Lombardia, scioltasi l'Assemblea, ritornò ciascuno lieto al suo albergo.

Stabilita in cotal guisa la concordia fra il Papa e Federico, ne corse tantosto la novella a' seguaci dell'Antipapa, i quali anch'essi cedendo, ne vennero ai piedi d'Alessandro, rinunciando lo scisma, e furon da lui benignamente ricevuti in sua grazia: e Giovanni da Struma Antipapa, detto da' suoi seguaci Calisto III nell'anno seguente 1178, uscendo da Monte Albano, ove s'era ricoverato, essendo già il Papa Alessandro partito da Vinegia, ed andato a Tuscolo, venne anche egli a porsi a' suoi piedi, e l'adorò come vero Pontefice, dando fine allo scisma, che per diciassette anni continui era durato, e ne fu Giovanni dal Papa creato Arcivescovo e Governador di Benevento, ove poco da poi morì di dolor d'animo.

Ed intanto il Papa e l'Imperadore erano già partiti da Vinegia, essendosene Cesare, che fu il primiero, andato a Ravenna, ed il Pontefice sopra quattro galee de' Vinegiani passato a Siponto, e di là per lo cammino di Troia e di Benevento portossi ad Alagna: e poco da poi chiamato da' Romani nella lor città, vi entrò il giorno della festa del B. Gregorio, e vi fu con nobil pompa ricevuto. E l'Imperadore dimorato non guari a Ravenna, se n'andò in Lombardia, e di la passò in Alemagna.

Ed in cotal guisa terminarono questi successi, che variamente scritti da' moderni Istorici, e particolarmente da alcuni Siciliani, a' quali l'istesso Agostino Inveges da Palermo non potè prestar fede alcuna, aveano di mille favole riempiuto i lor volumi. Noi intorno a ciò non potevamo aver miglior testimonio, che Romualdo Arcivescovo di Salerno della regal schiatta de' Normanni, e Prelato di grande stima, il quale come Ambasciador del Re Guglielmo personalmente intervenne a tutto, e che nella sua Cronaca lo tramandò alla notizia de' posteri, al quale più che ad ogni altro Scrittore deve prestarsi indubitata fede.

62

. Romual. Arciv. di Salern. apud Baronium: Ut ipse Imperatoris filiam in uxorem acceptans, cum eo pacem perpetuam faceret.

63

. Sigon. de R. Ital. ann. 1176.

64

. Ruggiero Hoveden in Annal. Anglican.

65

. Inveg. hist. Palerm. tom. 5 ann. 1172.

66

. Questo istromento del dotario costituito alla Regina da Guglielmo II si legge parimente nel Tom. 2 di Lunig Cod. Ital. Diplomat. pag. 838.

67

. V. Hoveden. Ann. d'Inghilterra. Capecelatr. hist. lib. 3.

68

. Romual. Arciv. di Saler. Nequaquam cum Imperatore sine Rege Will. pacem facere.

69

. Vedi lo Squittinio della libertà Veneta di M. Velsero.

70

. L'istromento di questa triegua accordata per quindici anni tra l'Imperatore Federico I e Guglielmo II, è rapportato da Lunig Tom. 2. Cod. Ital. Diplom. pag. 859.

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4

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