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LIBRO DUODECIMO
CAPITOLO II
I Baroni del Regno di Puglia cospirano contro Maione: Matteo Bonello l'uccide: e s'ordisce nuova congiura contro il Re Guglielmo per torgli il Regno, e darlo a Ruggiero suo figliuolo di nove anni
ОглавлениеIntanto il Re Guglielmo per opporsi a' disegni dell'Imperador Federico suo inimico, subito che ebbe udita l'elezion d'Alessandro, mandò suoi Ambasciadori a dargli ubbidienza, e riconoscerlo per vero e legittimo Pontefice; ed intendendo poi che il Papa voleva andare a Terracina per passare in Francia, fece trovare in quella città quattro galee ottimamente armate; acciocchè si fosse servito di quelle a suo piacere, nelle quali appena fu salito insieme co' Cardinali, che turbatosi il mare, sofferse tempestosa procella. Fu questa alleanza ed amicizia di Guglielmo con Alessandro sì profittevole al Re, che lo liberò da un grave intrigo, nel quale cercava porlo Majone, poichè questi meditando sempre come potesse porre in effetto i suoi ambiziosi disegni, tentò per mezzo d'uomini malvagi corrompere per via di molto denaro Alessandro, perchè ad esempio di Zaccaria, rimovesse dal Regno Guglielmo come Re inutile e malvagio, odioso a' Popoli, e non atto a tanto peso, e ne avesse investito lui, non altramente che fu fatto di Childerico in Francia, il quale fu deposto di quel Regno, ed in sua vece surrogato Pipino[32]. Ma il Pontefice Alessandro scorgendo la cupidigia di regnare, e la malvagità di Majone, detestò l'ardimento: e sparsasi la fama di tale scelleratezza, ch'avea tentato di commettere, e divolgata per la Sicilia e per la Puglia, gli accelerò la ruina; poichè dicendosi pubblicamente, che l'Ammiraglio, o avrebbe fatto morire il Re dentro il proprio palagio; o l'avrebbe posto in prigione, o confinatolo in qualche isola, per torgli il Regno: fu cagione, che cominciassero, fieramente sdegnate di tal fama, a tumultuare molte città in Puglia[33]. La prima fu Melfi, alla quale non molto da poi s'unirono le altre città, ferme di non volere più ubbidire nè lettera, nè cos'alcuna ordinata da Majone, e di non voler nè anche ricevere nelle terre i Capitani, che egli vi spediva. Fecero la medesima risoluzione molti Conti e Baroni, a' quali era sospetta la potenza del Tiranno, promettendosi l'un l'altro di proccurare con li maggiori loro sforzi di far morire l'Ammiraglio, e di non racchetarsi mai fin ch'egli non fosse o morto o mandato in bando. Unirono a quest'effetto grosso stuolo d'armati, scorrendo per tutta la Puglia e Terra di Lavoro, per obbligare tutte le altre città a doversi con esso loro unire, come fecero in effetto. Capi di tal congiura furono Gionata di Valvano Conte di Consa, Boemondo Conte di Manopello, Filippo Conte di Sangro, Ruggieri da Sanseverino Conte di Tricarico, Riccardo dell'Aquila Conte di Fondi, Ruggieri Conte della Cerra, e 'l Conte Gilberto cugino della Regina, a cui avea novellamente donato il Re il Contado di Gravina[34]. Vi fu anche Mario Borrello uomo di maravigliosa eloquenza, il qual vi trasse la città di Salerno, ove egli albergava, e vi avea grosso numero di partigiani, e vi concorse ancora la città di Napoli. Il Conte Andrea di Rupe Canina, il qual dimorava in Campagna di Roma, coll'occasione di tali rumori entrò con molti soldati in Campagna, e prese Aquino, Alife e San Germano, città poste alle falde di Monte Cassino, e salito il Monte combattè aspramente il monastero; ma ne fu ributtato da' suoi difensori[35].
Era pervenuta intanto alla notizia del Re la congiura de' Baroni, e delle città del Regno di Puglia, il quale se ne adirò grandemente, poichè amando teneramente Majone, ed avendo gran confidenza in lui, non poteva mai persuadersi tanta malvagità, ch'egli volesse dislealmente torgli la vita e 'l Regno. Per la qual cosa con particolari messi, e con sue lettere comandò espressamente a' Baroni e città tumultuanti, che si togliessero da tal proponimento: imperocch'egli tenea l'Ammiraglio per uomo a lui fedelissimo, e che altro non procacciava che il suo servigio; ma questi messi e queste lettere non partorirono effetto alcuno, poichè credutele dettate dall'Ammiraglio, si dichiararono apertamente col Re, di non volere a verun patto soffrire, che Majone avesse di lor governo o più gli comandasse. Nè minore era l'odio de' Siciliani, i quali come più prossimi al pericolo, non osavano ancora di discoprirsi, ancorchè avessero molto a grado i rumori de' Baroni di Puglia.
Or l'Ammiraglio, vedendo contro il creder suo, che le forze de' Congiurati ricevevano ogni giorno nuovo accrescimento, cominciò per tutti i lati a darvi rimedio: fece scrivere dal Re alle città d'Amalfi e di Sorrento, che ancor dimoravano in fede: il simile fece fare alle città di Taranto, Otranto, Brindisi e Barletta, ammonendole, che non si movessero per tali rumori, nè credessero alle dicerie di que' falsi Conti, nè si mischiassero perciò fra la turba de' suoi rubelli. Ma nè anche cotai lettere furono ricevute, riputandole fatte per mano di traditori, e che si scriveva in quelle l'intendimento di Majone, e non l'utile e 'l servigio del Re. Scrisse ancora l'Ammiraglio a Stefano suo fratello, ch'era al presidio della Puglia, che si opponesse valorosamente a' moti del Conte Roberto, e che proccurasse con larghe promesse acquistarsi partigiani. Inviò di più il Vescovo di Mazzara Ambasciadore a Melfi di Puglia in nome del Re per racchetar quel Popolo; ma il Vescovo fece tutto il contrario, perchè l'animò a mantenersi nel lor proponimento contro il Tiranno, narrando di lui scelleraggini assai maggiori di quelle ch'essi sapevano. E cominciando in questo la Calabria a tumultuare anch'ella con l'esempio della vicina Puglia, pose maggior terrore in Majone; laonde giudicò inviar colà uomo di tanta stima, che gli fosse stato agevole con la sua autorità sedar que' rumori, ed avendovi maturamente pensato, giudicò esser buono per tal bisogno Matteo Bonello. Era costui per nobiltà di sangue assai chiaro, e splendido per molte ricchezze; ma ciò che più in lui s'ammirava era la beltà del volto, la robustezza del corpo e più il valor del suo animo. Il perchè non solo in Sicilia, ma ancora in Calabria, ove avea nobilissimi parentadi, era assai chiaro e famoso; ed era per sì lodevoli parti grandemente amato dall'Ammiraglio, dal quale per ciò era stato destinato per marito d'una sua figliuola ancor fanciulla[36]. Ma adombravano queste sue eccelse doti, l'esser d'animo inconstante ed agevolissimo a cangiar pensiero, audace e temerario a promettersi di se qualunque cosa; e benchè fosse egli cotanto amato dall'Ammiraglio, l'odiava nondimeno acerbamente per cagion, che per volere dargli per moglie sua figliuola, gli aveva sturbate le nozze, che intendeva di fare (sdegnando l'ignobilità di Majone) con Clemenzia Contessa di Catanzaro, figliuola bastarda come si disse, del Re Ruggiero, e rimasa vedova di Ugone di Molino Conte di Molise, la quale per esser di vago e gentile aspetto, era da Bonello focosamente amata, ed egli vicendevolmente riamato da lei; onde impedendo Majone il lor concorde volere, ne era tanto maggiormente da entrambi odiato.
Ricevuti intanto il Bonello gli ordini opportuni per la sua partita, e accommiatatosi dal Re, valicato il Faro se n'andò in Calabria, ed abboccatosi colà in un giorno statuito co' Baroni della provincia, si sforzò con molte ragioni (simulando altro di quel che avea nel pensiero) di persuader loro, che l'Ammiraglio era innocente di tutto quel male, che se gli opponeva. Ma surto fra que' Baroni Ruggiero di Martorano della famiglia Sanseverino, uomo savissimo, e di grande stima, gli rispose in nome di tutti con tanta forza ed energia, che non solo lo trasse al suo partito; ma di vantaggio inanimandolo, che niun altro meglio di lui poteva porre tutti in libertà con toglier la vita al Tiranno, colla certezza che gli diedero, che tutti si sarebbero adoperati, morto Majone, acciocchè avesse per moglie la Contessa di Catanzaro: s'unì per tanto strettissimamente con loro, e promise fermamente di dar morte fra breve spazio all'Ammiraglio.
Ma accidente più grave accelerò la ruina di Majone; poichè avendo egli disposte tutte le cose per mandar ad effetto la morte del Re, avvicinandosi già il giorno di sì funesta tragedia, prima d'eseguirla volle concertare con l'Arcivescovo Ugone del modo che avean da tenere, perchè il Popolo non tumultuasse quando il caso si fosse divulgato, ed insieme del modo che avean da tenere per reggere per l'avvenire il Regno[37]; sopra di che insorse fra di loro grave discordia, poichè l'Ammiraglio pretendea, che la tutela dei piccioli figliuoli del Re, e la custodia de' tesori, e di tutto il palagio reale a lui commetter si dovesse: all'incontro l'Arcivescovo la pretendea per se, perchè dicea, che in tal maniera il Popolo non avrebbe tumultuato, siccome avrebbero fatto certamente, se avessero veduto l'Ammiraglio prender la cura della casa regale, di cui di leggieri avrebber sospettato, che i figliuoli dovessero capitar male, già che da tutti si teneva per cosa sicura, ch'egli aspirava al Regno: la qual cosa non si poteva dubitare de' Prelati, nè di altre persone di Chiesa, che a ciò non potevan aspirare; il perchè era di dovere, che in lor potere si desse la custodia de' figliuoli, e de' tesori del morto Re; ma contraddicendo apertamente l'Ammiraglio, come a cosa, ch'era affatto contraria al suo intendimento, con dire ch'egli ciò non meritava da lui, il quale per sua opera era pervenuto a tanta grandezza, finalmente dopo altre assai acerbe parole, si dipartirono scovertamente nemici. Cagione che non passò guari, che l'Ammiraglio il pose in disgrazia del Re, che credea tutto quel che Majone dicea, al quale avendo persuaso che si facesse pagar dall'Arcivescovo 700 oncie d'oro, di cui gli era debitore, il Re, essendo oltre modo avaro, agevolmente acconsentì; onde l'Arcivescovo riconoscendo il tutto da' mali ufficj di Majone, cominciò seriamente ad odiarlo, e di stretti amici, che prima erano, divenuti veri nemici, cercavano entrambi di far l'un l'altro mal capitare. L'Ammiraglio propose di avvelenar l'Arcivescovo, e l'Arcivescovo sospettando di ciò se ne guardava con gran diligenza, e nel medesimo tempo confortava la plebe, i soldati e gli uomini illustri a far movimento contro Majone e dargli la morte. Intanto Matteo Bonello ritornato in Palermo, ed assicurato l'Ammiraglio, che erasi già di lui insospettito, dandogli ad intendere che avea composti felicemente i moti della Calabria, se ne andò secretamente a ritrovar l'Arcivescovo Ugone, il qual dimorava infermo in letto, e gli diè conto di ciò, che si era fatto insino allora, e l'Arcivescovo il consigliò, che di presente avesse posto ad esecuzione il fatto, perciò che sì importante negozio malagevolmente si potea più differire senza grave pericolo di scoprirsi; onde il Bonello, già al tutto risoluto, cercava con molta diligenza tempo opportuno per compirlo; e la fortuna volendo accelerar la morte dell'Ammiraglio, non guari passò, che gliene porse opportuna occasione.
Avea già Majone, per opra d'un famigliar dell'Arcivescovo da lui corrotto con doni e con larghe promesse, fattogli dare il veleno, dal quale era stato cagionato il suo male; ma perch'era stato leggiero dubitava, che per mezzo d'opportuni rimedi ricovrasse sua salute; ed impaziente ch'ei tardasse tanto a morire, ne fece preparare un altro assai più potente e di presta operazione, del quale empiuto un vasello, recandolo seco andossene a ritrovar l'Arcivescovo, ed assisosi vicino al letto, in cui giaceva, cominciò amorevolmente a domandargli della sua salute: indi soggiunse, che se e' creder volesse al consiglio de' suoi amici, agevolmente guarirebbe del suo male con torre una medicina ottima per la sua indisposizione, che egli in sua presenza per l'amor, che gli portava, avea fatto comporre, e seco recata avea; ma l'Arcivescovo accortosi dell'inganno, rispose esser tanto infiebolito dal male, ed il suo stomaco così debilitato, che non solo abborriva qualunque bevanda, ma il cibo ancora, che con gran difficoltà prendea; e sollecitandolo sfacciatamente l'Ammiraglio, non ostante tal risposta, a prender il medicamento, per non dargli ad intendere, che s'era avveduto del tradimento, rispose che si serbasse quella medicina per un altro giorno che l'avrebbe presa: indi ragionando insieme parole di molta confidenza ed amore, cercava l'un l'altro tradire e condurre a morte con sfacciata simulazione, e volle la fortuna, che amendue ottenessero il lor volere; poichè Majone per opera dell'Arcivescovo fu la medesima sera ucciso, come ora diremo, e l'Arcivescovo non guari da poi morì per lo veleno datogli prima per opra dell'Ammiraglio, benchè fosse in ciò Ugone più felice, perchè vide morire il suo nemico prima di lui. Avea l'Arcivescovo, mentre teneva in parole l'Ammiraglio, inviato per mezzo del Vescovo di Messina, che gli sedeva a lato presso al letto, a dire a Matteo Bonello, che quella sera era il tempo opportuno, nel quale poteva porre felicemente in effetto il suo disegno; per la qual cosa il Bonello, già risoluto al misfatto, raunò prestamente alquanti uomini armati, e quelli rincorati a tale affare in vari luoghi dispose, acciocchè non avesse potuto da parte alcuna scampar Majone, ed egli con buon numero di quelli si pose su la porta di Santa Agata, di dove più ragionevolmente dovea passare per ritornar nel palazzo reale: ed avendo significato all'Arcivescovo esser tutto all'ordine, essendo già sopravvenuta in notte oscura, attendeva il ritorno dell'Ammiraglio il quale alla fine togliendo commiato dall'Arcivescovo, di colà si partì. Ma in questo, passando per lo luogo, ove avea tese l'insidie il Bonello, alcuni del suo seguito s'avvidero della sua intenzione, ed incontanente girono a ritrovar Majone, ed incontrandolo per lo cammino, che verso là veniva, gli narrarono tal fatto; onde egli smarrito del prossimo periglio comandò, che si dicesse al Bonello, che venisse a lui, il quale conoscendo esser già scoverto, e non esser più tempo da fingere, cavata fuori la spada, valorosamente l'assalì dicendo: Traditore, son qui per ucciderti, e per metter fine colla tua morte alle tue malvagità, e tor via dal Mondo l'adultero del Re; ed avendo sviato l'Ammiraglio il primo colpo che gli trasse Bonello, cadde a terra moribondo trafitto dal secondo, e di presente finì i suoi giorni[38], ponendosi vergognosamente in fuga, senza dargli aiuto veruno, la folta turba de' suoi partigiani, che lo seguiva. Ecco dove andarono a terminare gli ambiziosi desiderj di Majone da Bari, Grand'Ammiraglio di Sicilia, il quale nato di vilissima schiatta, fu dalla fortuna a grande altezza sollevato, e se ne sia lecito alle grandi le piccole cose paragonare, fu egli assai simigliante a Sejano. L'uno e l'altro umilmente nato, per mezzo del favor de' padroni in grande stato lungamente visse: amendue colmi di grandissime malvagità afflissero il real legnaggio, ed i nobili uomini de' Reami de' loro Signori; amendue essendo adulteri della casa reale procacciarono con il consentimento delle mogli de' padroni, il primo di far morire, come in effetto avvenne, il figliuolo del suo Imperadore, e l'altro (benchè nol potesse recare a fine) il proprio Re; amendue tentarono d'usurparsi la Signoria che governavano, ed amendue alla fine morirono di malvagia morte; diversi sì bene furono nel modo del morire; imperocchè Sejano, essendosi Tiberio per la sua sagacità avveduto del tradimento, fu fatto morire per man di boia, e Majone per la stupidità di Guglielmo, che di nulla curava, morì ucciso da' congiurati, che le sue scelleraggini soffrir più non potevano.
Intanto il Bonello, non sapendo quel che s'avrebbe fatto il Re, nè tenendosi perciò sicuro in Palermo, si ricovrò a Cacabo suo castello, e colà con tutti i suoi si fortificò; ed il Popolo palermitano intesa la morte dell'Ammiraglio, scoprendo apertamente il gravissimo odio, che gli portava, cominciò a straziare vilmente il suo cadavero, rinovandogli altri le ferite, ed altri facendogli mille ignominiosi scherni. Il Re Guglielmo, essendo già molte ore della notte passate, si maravigliava dell'inusitato tumulto, che dal suo palagio nella città s'udiva; ma essendogli da Odone Maestro della stalla reale, che perciò a lui veniva, narrato il tutto, si sdegnò gravemente di tale avvenimento, dicendo, che se l'Ammiraglio avea contro lui fallato, toccava a lui, e non ad altri di dargli castigo; e la Regina più gravemente del Re sdegnata per l'amore, che portava all'adultero, si accese di gravissima ira contro il Bonello e gli altri congiurati. Ma il Re, temendo non succedesse maggior rivoltura per tale cagione nel Popolo palermitano, e che non malmenassero i parenti del morto, e mandassero a ruba le lor case, e quelle del medesimo Ammiraglio, fece tutta la notte da grosso stuolo d'armati circuir la città e guardarla con molta diligenza. Venuto poi il nuovo giorno il Re diede la cura d'esercitar l'Ufficio d'Ammiraglio, sin ch'egli avesse altro disposto, ad Errico Aristippo Arcidiacono di Catania suo famigliare[39], uomo di piacevole e mansueto ingegno, ed assai dotto nelle latine e nelle greche scritture, col cui consiglio cominciò a guidar gli affari del Regno; ed avendogli il nuovo Ammiraglio ed il Conte Silvestro palesata la congiura, che avea fatto contro di lui Majone, cercarono con varie persuasioni raddolcire il suo animo fieramente sdegnato contro il Bonello, benchè giammai poterono indurlo a perdonargli, fin che fra i tesori del morto non fur trovati lo scettro, il diadema e le altre insegne reali: le quali facendo manifesta fede della sua scelleraggine, fur cagione, ch'ei racchetasse il suo sdegno, e facesse tantosto porre in prigione i due Stefani, l'un fratello e l'altro figliuolo di Majone, e Matteo Notaio suo strettissimo amico, facendo parimente condurre nel reale Ostello tutti i tesori del morto, che ritrovar si poterono, e facendo collare Andrea Eunuco, e molti altri famigliari dell'Ammiraglio per rinvenire ove erano ascosi gli altri, e spaventare insiememente con gravi minacce il figliuolo Stefano, se non palesava anch'egli quel che ne sapea; per detto del quale fu ritrovata grossa somma di moneta in balia del Vescovo di Tropea, che richiestone dal Re prestamente glie la recò. Dopo la qual cosa inviò Guglielmo suoi messi a Cacabo a dire al Bonello, che per le malvagità che dell'Ammiraglio novellamente avea udite, gli era stata a grado la morte a lui data, e che perciò ne venisse sicuramente a lui. Ricevuta Bonello tale imbasciata, confidato ancora nell'amor de' Baroni e del Popolo, e nel presidio di molti suoi soldati, che seco condusse, tantosto venne in Palermo, dove entrando se gli fece all'incontro innumerabil turba così d'uomini, come di donne, che con gran festa l'accolsero, ed insino al palazzo reale l'accompagnarono, ove fu lietamente accolto dal Re, che il ricevette in sua grazia. E da lui partendosi, fu da' maggiori personaggi della Corte con la medesima frequenza di Popolo insino a sua casa onorevolmente condotto, e non solo in Palermo, ma per tutta la Sicilia, e per gli altri Stati ancora del Re Guglielmo, si rese così chiaro e famoso il Bonello, che acquistonne l'amore e 'l buon volere di tutti.
Ma vedi l'incostanza delle cose mondane: questa istessa grande sua felicità, prestamente si convertì in sua grave ruina; poichè gli Eunuchi del palazzo reale, ch'erano stati compagni di Majone nel congiurar contro il Re, insieme con la Regina, dispiacendogli grandemente tanta grandezza di Bonello, e temendo non alla fine contro a loro si convertisse, cominciarono in varie maniere a porlo in odio al Re, con fargli sospetta la potenza di lui; dicendogli che apertamente aspirava a farsi Signor di Sicilia, e che perciò l'amor de' Popoli e de' Baroni s'acquistava; nè ad altro fine esser stato da lui ucciso innocentemente l'Ammiraglio, che per torre di mezzo colui, che sempre vigilava per la sicurezza e grandezza del Re, essendo state manifeste falsità tutte le cose, che se gli erano apposte; e che il diadema e l'altre regie insegne, che s'erano ritrovate fra' suoi tesori, l'avea fatte fare il morto, per donarle a lui nel principio del prossimo mese di gennaio per offerta[40]. Era il Re, fra gli agi del real palazzo, ed il lungo ozio, venuto in tale infingardaggine e stupidezza, che toltone la cura, alla quale era dalla sua avarizia stimulato, di cumulare tesori, imponendo perciò gravezze intollerabili a' suoi vassalli, onde riportonne il titolo di Malo, era assai diverso da quel di prima divenuto; e già cominciava a sentir dello scemo, onde di poca levatura avea mestiere perchè fossero credute da lui tutte quelle cose che s'imputavano a Bonello, onde cominciò ad odiarlo, ed a credere, che non per altro avesse tolto di vita Majone, che per potere anche poi uccidere più liberamente lui. E benchè e' fosse facile ad incrudelire, pure soprastette in procedere contro Bonello, temendo dell'amor, che gli portava il Popolo di Palermo, il qual vedeva ancor tumultuante, e non bene racchetato. Incominciò sì bene a richiedere al Bonello grossa somma di denaro, del quale era per addietro debitore alla real Corona; ma come genero di Majone, non sapendolo il Re, non s'era riscosso. Il perchè il Bonello vedendosi chiedere improviso un debito vecchio, e già dimenticato, e di rado chiamare in Corte, e non esser colà ricevuto con le primiere accoglienze, cominciò a maravigliarsi, ed a gir ripensando onde sì fatta mutazione cagionar si potesse, accrescendogli il sospetto e 'l timore il veder molto favorito dal Re Adinolfo Cameriero già carissimo a Majone, e tanto costui, quanto gli altri suoi nemici mostrargli con molta audacia apertamente l'odio, che gli portavano. Ed essendo in que' giorni morto l'Arcivescovo Ugone per lo veleno datogli per opra dell'Ammiraglio, rimasto privo del suo consiglio e del suo aiuto, era più scovertamente perseguitato dagli emuli suoi; le quali cose giudicava esser segno assai chiaro, che l'animo del Re era cangiato verso di lui, e che perciò i suoi nemici avean presa audacia d'insidiargli anche la vita. Per la qual cosa si risolvè di significare il tutto a Matteo Santa Lucia suo consobrino, ed a molti altri Baroni siciliani, i quali chiamati per sue lettere eran venuti a Palermo, dando loro a vedere, che in vece d'esser largamente premiato, per aver con la morte data all'Ammiraglio salvata la vita al Re, veniva ora da costui, per aggradire alla Regina sua moglie, ed agli Eunuchi del palazzo, costretto a pagare i debiti vecchi, e in molte altre guise gravemente perseguitato e condotto a periglio di dover perderne la vita; onde gli pregava, che non l'avessero abbandonato in sì gravi travagli, perchè se fossero stati uniti strettamente insieme, non gli sarebbe mancato il modo da far generosamente difesa contro chiunque gli avesse voluto offendere. Queste parole di Bonello cagionarono negli animi di que' Baroni effetti molto più vantaggiosi di quel che s'avrebbe egli mai potuto promettere, perchè trovandogli molto disposti a' suoi desiderj, dopo vari discorsi alla fine conchiusero di tor via il Capo di tanti mali e congiurarono contro il Re, con intendimento d'ucciderlo, o di porlo in prigione, e crear Re il suo figliuolo, nomato Ruggieri, fanciullo ora di nove anni, il quale per la memoria dell'avolo, e per la virtù, che in quella tenera età dimostrava, stimavano dover riuscire ottimo Principe[41]; ma perchè non giudicavano convenevole porsi essi soli a così gran fatto, trassero parimente nella congiura Simone figliuol bastardo del Re Ruggieri, che odiava fieramente il fratello per avergli costui tolto il Principato di Taranto lasciatogli dal padre, e datogli in vece il Contado di Policastro. Vi trassero ancora Tancredi figliuolo di Ruggiero Duca di Puglia, uomo benchè alquanto cagionevole della persona, dotato nondimeno di grande avvedimento, e di sommo valore, il quale era d'ordine di Guglielmo tenuto a guisa di prigioniero dentro il palazzo reale; e Ruggieri dell'Aquila Conte d'Avellino parente anch'egli del Re per cagione dell'avola Adelasia; ed era il loro intendimento di crear Re il fanciullo Ruggieri, acciocchè si vedesse da' Popoli di Sicilia, che non volean torre il Regno alla schiatta di Guglielmo, ma torlo a lui, che con tirannide il reggea. Infatti avendo corrotto Gavarretto, che avea in suo potere le chiavi delle prigioni, e che sovente da Malgerio era lasciato in suo luogo alla guardia del castello, rimasero seco d'accordo, che in uno statuito giorno ponesse in libertà tutti i prigioni, che essi volevano che fosser nella congiura, e provedutigli d'arme, avesse lor significato, con un segno fra di loro ordinato, essere il fatto in ordine. Dopo la qual cosa Matteo Bonello ne andò a Mistretto suo castello non guari da Palermo lontano, per riporvi vittovaglie e munirlo di soldati insieme con alcuni altri suoi luoghi, acciocchè avesser potuto ricovrarsi in quello in ogni sinistro avvenimento, dicendo a suoi compagni, che sino al suo ritorno non avesser fatto nulla ed avessero il segreto con prudenza custodito, e se cosa alcuna importante fosse improvisamente avvenuta, l'avessero con lor lettere chiamato, che sarebbe di presente ritornato alla città con grosso stuolo d'armati. Or dimorando nelle sue terre il Bonello avvenne che un de' congiurati palesò il negozio ad un soldato suo amico, cercando di trarlo nella congiura, e 'l soldato avendo con molta diligenza raccolto il tutto gli rese grazie, e prese tempo a dargli risposta di quel, che avesse risoluto di fare insino al seguente giorno; indi se ne andò a ritrovar un altro suo amico, che era uno de' congiurati, al quale con indignazione comunicò tal fatto, con risoluzione di doverlo rivelare al Re per impedire tanta scelleraggine, che avrebbe portata grand'infamia a' Siciliani, dove in sì fatta guisa facessero mal menare il lor Signore. Questi dissimulando il fatto, e mostrando anch'egli sdegnarsi di tal cosa, tosto andò a ritrovar il Conte Simone, e gli altri Capi del trattato, e gli riferì tutto quel che per poca accortezza de' compagni era avvenuto, con dirgli che deliberato avessero quella notte di quello che a fare aveano, perchè la mattina senza fallo Guglielmo avrebbe avuto contezza di tutto. Il perchè smarriti del vicin pericolo, conchiusero di porre prestamente ad esecuzione il negozio, non essendovi tempo di fare venire il Bonello. Avvisato dunque il custode delle carceri, che nel seguente giorno, già che non si potea attendere il prefisso tempo, avesse posti in libertà i prigioni, ebber da lui risposta essere all'ordine per eseguire il tutto nella terza ora del dì, mentre il Re fuori delle sue stanze in un luogo particolare, ove solea dare audienza, sarebbe stato trattando con l'Ammiraglio Arcidiacono di Catania degli affari del Regno, ed ivi senza tumulto ed impedimento alcuno si potea, o uccidere, o far prigione, come meglio avesser voluto; laonde con la certezza di tal fatto dettogli così fedelmente dal Gavarretto, rinfrancarono i congiurati gli animi già in parte smarriti, sì per l'assenza di Bonello e degli altri, che n'erano seco giti a Mistretto, come ancora perchè bisognava far frettolosamente quel che con maturo consiglio e con opportuno tempo avean conchiuso di fare.
Or venuto il nuovo dì il Gavarretto nell'ora destinata eseguì con molta accortezza la bisogna a lui commessa, cavando di prigione Guglielmo Conte di Principato con tutti gli altri uomini nobili che colà erano, i quali avea prima proveduti d'armi, e gli condusse nel luogo ove introdotti avea di fuora i lor compagni, li quali postisi appresso al Conte Simone, ch'era lor guida, che per essere allevato colà dentro sapea tutte le vie dell'Ostello, giunsero ove il Re Guglielmo stava ragionando con Errico Aristippo. Ma il Re veggendo venire il Conte Simone suo fratello e Tancredi suo nipote, si sdegnò, che senza sua licenza gli venissero innanzi, maravigliandosi come le guardie gli avesser lasciati entrare; pure come s'avvide ch'eran seguiti da grossa schiera d'armati, immaginandosi quel che veniano per fare, spaventato dal timor della morte si volle porre in fuga, ma sovraggiunto prestamente da molti di essi, rimase preso, e mentre gli era da loro con acerbe parole rimproverata la sua tirannide, vedendo venirsi sopra con le spade sfoderate Guglielmo Conte di Lesina, e Roberto Bovense uomini feroci e crudeli, pregò coloro che lo tenevano, che non l'avessero fatto uccidere, ch'egli avrebbe incontanente lasciato il Regno; tenendo per sicuro, che i congiurati gli volesser torre la vita; la qual cosa gli sarebbe agevolmente avvenuta, se Riccardo Mandra ponendosi in mezzo non gli avesse raffrenati, rimanendo per sua opera in vita il Re, il quale fu posto strettamente in prigione; ad avendo fatta anche in una camera guardare onestamente la Reina ed i figliuoli, si posero a ricercare i luoghi più riposti del palagio, ponendo il tutto a ruba, e predando le più pregiate gemme e le più preziose suppellettili che v'erano, non risparmiando nè anche l'onore delle vaghe damigelle della Regina[42]. Uccisero parimente tutti gli Eunuchi, che loro alle mani capitarono, ed usciti poscia nella città saccheggiarono molte ricche merci de' Saraceni, che teneano nelle lor botteghe o nella real dogana. Dopo i quali avvenimenti il Conte Simone, ed i suoi seguaci presero Ruggiero Duca di Puglia primogenito di Guglielmo, e cavandolo fuori del palagio il ferono cavalcar per Palermo sopra un bianco destriere, e mostrandolo al Popolo, il gridarono con allegre voci Re, essendo lietamente ricevuto da tutti per la memoria dell'avolo Ruggiero, e sovrastettero a coronarlo solennemente, sin che giungesse il Bonello, che a momenti s'aspettava. Gualtieri Arcidiacono di Ceffalù maestro del fanciullo, biasimando in questo mentre la crudeltà e le altre malvagità di Guglielmo pubblicamente, e convocando le brigate dicea loro, che giurassero d'ubbidire al Principe Simone, che così esso il chiamava, il quale avrebbe retto e governato il Regno insino che il fanciullo Re fosse giunto all'età idonea; per opera del qual Gualtieri fecero molti tal giuramento, ed altri negarono costantemente di farlo, benchè niuno avesse ardimento d'opporsi a' congiurati; perciocchè de' Vescovi, ch'erano allora nella città, ed avean molta autorità nel governo del Reame, alcuni lodavano tai cose apertamente, ed altri l'approvavano col tacere, stando cheta la plebe per intendere, che il tutto era avvenuto per opra del Bonello. Ma tardando esso a venire, si partirono di Palermo Guglielmo Conte di Principato, e Tancredi Conte di Lecce, e ne girono a Mistretto per condurlo nella città con suoi soldati armati, temendo non alla fine, come appunto avvenne, cominciasse il Popolo palermitano a favoreggiare il Re, e lo riponesse in libertà.
Essendo intanto passati tre giorni in cotai pratiche, e che il Re dimorava in prigione, non comparendo altrimenti il Bonello, cominciarono Romualdo Arcivescovo di Salerno, Roberto Arcivescovo di Messina, Riccardo Eletto di Siracusa e Giustino Vescovo di Mazzara a persuadere a' Parlamenti, che facessero sprigionar il Re, dicendo ch'era laida e sconvenevol cosa a soffrire, che il lor Signore fosse così obbrobriosamente tenuto in prigione, e che i tesori acquistati con molta fatica per la diligenza d'ottimo Re, e bisognevoli per la difesa del Reame fossero in sì fatta guisa rubati e ridotti a nulla[43]. Queste parole dette, ed ascoltate primieramente fra pochi, si sparsero poscia tantosto fra tutto il volgo; onde come fossero stati a ciò chiamati da divino oracolo, o se seguitassero un fortissimo capitano, armatisi tutti, assediarono il palagio, richiedendo con fiere voci a coloro ch'eran colà entro, che avessero prestamente liberato il Re. I congiurati attoniti e smarriti per sì subita mutazione, cominciarono da prima valorosamente a difendersi, ma conoscendo tutto esser vano, non essendo bastevole il lor numero a difendersi contro moltitudine sì adirata, costretti da dura necessità ne girono al Re, e trattolo di prigione patteggiarono con lui, che gli avesse lasciati gir via liberi, ed indi il condussero ad un verone a vista di tutti. Ma veduto i Palermitani in tale stato il loro Re, vennero in maggior rabbia, volendo in tutti i modi gittar le porte a terra, ed entrar a prender vendetta de' congiurati, i quali vi sarebbero senza fallo mal capitati, se Guglielmo facendo lor cenno con mano, non gli avesse racchetati, dicendogli aver bastevolmente fatto conoscere la lor fedeltà, con averlo fatto porre in libertà, e che riponessero l'armi, e ne lasciassero gir via liberi coloro, che l'avean preso, avendo così loro promesso: alle cui parole ubbidendo, tutti andarono via, lasciando libera l'uscita del castello, ed i congiurati uscendo di là, tantosto si partirono da Palermo, e ritiraronsi a Cacabo.
32
. Ugo Falcand. Ut amoto Rege Siciliae, Almiratus in ejus loco succederet. Baron. ad ann. 1160.
33
. Ugo Falcand.
34
. Capecelatro lib. 2.
35
. Ugo Falcand.
36
. Ugo Falcand.
37
. Ugo Falc.
38
. Ann. 1160. Camil. Pell. in Castigat. ad Anon. Cassin.
39
. Ugo Falc.
40
. Ugo Falc. ut eadem in Kal. Januarii strenarum nomine, juxta consuetudinem ei transmitteret.
41
. Ugo Falc. Majorem ejus filium Rogerium Dacem Apuliae, novennem fere puerum Regem crearent.
42
. Ugo Falcand.
43
. Ugo Falcand. Indignum esse, satisque miserabile, Regem a paucis praedonibus turpiter captum, in carcere detineri, neque Populum id dobere pati diutius.