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LIBRO DUODECIMO
§. I. L'Imperador Federico I, fa lega con Emanuele Comneno Imperadore d'Oriente, e move guerra col Papa al Re Guglielmo

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Era Federico non altrimenti, che i suoi Predecessori inimico implacabile de' Normanni, e non meno che furono Lotario, Errico e Corrado contro Ruggiero, così egli avea drizzati i suoi pensieri per discacciar Guglielmo dalla Puglia e dalla Sicilia, riputandolo come usurpatore delle province dell'Imperio. Niun Imperadore ebbe sì alti concetti dell'Imperio restituito da Carlo Magno in Occidente, quanto costui: egli si reputava un altro Ottaviano Augusto; e che tutte le province, ch'erano prima di quel vasto Imperio, fussero pure nell'Asia, o nell'Affrica, o in qualunque altra più remota parte del Mondo, appartenessero al suo Imperio, e che perciò avesse bastante dritto di cacciarne gl'invasori; e si vide chiaro, quando avendo il Saladino occupati molti luoghi della Siria, non si ritenne, prima di movergli guerra, di minacciarlo se non restituiva que' luoghi, con una terribile lettera, che volle scrivergli, rapportata negli Annali d'Inghilterra di Ruggiero e di Matteo Paris, nella quale fra gli altri vanti e rodomontate gli scrisse: ch'egli non poteva dissimular di sapere, come ambedue l'Etiopie, la Mauritania, la Persia, la Siria, la Parzia, ove Marco Crasso (che lo chiama suo Dittatore) morì, la Giudea, la Samaria, l'Arabia, la Caldea e l'istesso Egitto, ove Antonio effeminossi con Cleopatra, l'Armenia ed innumerabili altre province, erano soggette al suo Imperio. Ma il Saladino gli rispose con non minor arroganza ed orgoglio del suo, siccome si vede dalla risposta, che vien anche rapportata da' medesimi Scrittori. Conobbesi ancora, che niun'altro Imperadore prima di lui ebbe quella fantasia di creare tanti Re onorari, come fece egli, il quale inviò la spada e la Corona regale a Pietro Re di Danimarca, attribuendogli il nome di Re, al Duca d'Austria, ed al Duca di Boemia, come abbiam narrato nel precedente libro.

E fu cotanto a lui perniziosa questa boria di credersi Signore di tutto il Mondo, anche delle città e luoghi particolari, che per aver, secondo queste idee (fomentate ancora dal lusingator Martino nostro Giureconsulto) voluto imporre leggi e condizioni molto rigorose alla Nobiltà ed alle città d'Italia, se gli ribellò contro tutta la Lombardia, onde nacque la ruina di Milano, come qui a poco vedremo.

Per queste massime egli reputava Guglielmo invasore, ed ingiusto usurpatore non meno della Puglia, che della Sicilia, proccurava perciò tutti i mezzi, ed impiegava tutti i suoi sforzi per discacciar questo inimico della sua sede; ma considerando che per se solo non poteva conseguirlo; poichè se bene per la conquista del Regno di Puglia potesse unire un conveniente esercito, e far l'impresa per terra; nulladimanco, non avendo armate di mare, era impossibile tentar l'impresa di Sicilia: perciò sin dall'anno precedente 1154, dopo aver intimata una Dieta a Ratisbona, avea mandati Ambasciadori all'Imperador Emanuele Comneno, affinchè conchiudesse con esso lui la lega contro Guglielmo[6]. Questi non meno che Federico mal soffriva l'ingrandimento de' Re normanni, i quali non contenti d'avergli tolta la Sicilia, ponevan anche nella Grecia il lor piede; ed insino alle porte di Costantinopoli s'erano stesi. Guglielmo si vide in mezzo a due potenti inimici insieme uniti e collegati. Ed era cosa veramente da ammirare, che Federico da un canto millantava al suo Imperio d'Occidente appartenersi i Regni di Guglielmo; e dall'altra parte Emanuele minacciava, ch'egli ed i suoi Romani non si sarebbero mai astenuti di portar guerra in Italia, insino che quella e l'intera isola di Sicilia non saranno restituite al suo Imperio, donde furon divelte[7]. Proccurò ancora Federico collegarsi co' Pisani potenti allora in mare, che parimente contro Guglielmo si mossero; il qual implicato ancora nella guerra, che avea mossa al Papa, ed insospettito della fedeltà dei suoi Baroni, si vide in tanta costernazione e malinconia, che abborrendo chiunque veniva da lui, stava sempre solo racchiuso nel suo palazzo, trattando solamente con Majone e con l'Arcivescovo, da' quali intendeva gli affari del Reame, non come conveniva, ma come meglio a' loro disegni si confaceva. E Majone intanto vedendo non potersi aspettar miglior tempo, che quello che correa per condurre a fine i suoi lunghi divisamenti, fece credere al Re, che il Conte erasi ritirato in Puglia pien di mal talento, non per altro, se non perchè aspirava al Regno in virtù di certo testamento di Ruggiero, ove dicea che succedesse costui in caso che il figliuolo Guglielmo non fosse stato atto a governare i suoi Regni; e perciò scrisse ad Asclettino, che lo chiamasse a Capua, e giuntovi il facesse prigione, inviandolo sotto buona custodia a Palermo. Ma insospettito prima il Conte di tal chiamata, e poi avvedutosi dell'inganno, resistè al Cancelliero, che in nome del Re gli comandava, che avesse consignati tutti i suoi soldati al Conte Boemondo, dicendogli tutto cruccioso, che quel comandamento era di matto o di traditore, e non volendone far nulla, si partì di Puglia, e con tutta la sua gente n'andò in Apruzzi. Proccurò ancora Majone nell'istesso tempo, non bastandogli questo, che il Conte Simone parimente ruinasse; poichè fatta ad arte insorgere tra lui, ed il Cancelliere gara, e nato tumulto fra i soldati, tal avvenimento in Corte non com'era stato, ma come a lui piacque, descrisse, aggiungendovi, che il Conte era cagione di que' disturbi, e che ei trattava negozi di molta importanza col Conte Roberto, a cui egli mandava perciò secreti messi: queste lettere bastarono a Majone di far credere al Re che il Conte Simone insieme col Conte Roberto con molti altri congiurassero contro la sua persona per torgli il Regno; onde Guglielmo, ch'era sempre in sospetto de' suoi più stretti parenti, chiamò il Conte in Palermo, e senza dargli tempo da potere addurre cosa alcuna in difesa della sua innocenza, lo fece imprigionare con indignazione di tutti contro l'Ammiraglio, per opera di cui ogni malvagità si vedeva avvenire.

Accadde in questo medesimo tempo, che il Re, o per grave infermità sopraggiuntagli, o per altra cagione, si racchiuse in modo nel regal palazzo, che per alcuni giorni non si faceva nè vedere, nè parlare da niuno, se non dall'Arcivescovo e da Majone: il perchè si sparse fama per li suoi Regni, ch'egli fosse morto avvelenato dall'Ammiraglio. Questa fama divolgata in Puglia cagionò sì gravi movimenti, che si videro in un subito molte province sconvolte; poichè Papa Adriano non si lasciando scappar tal congiuntura sollevò tosto i Baroni della Puglia contro il Re, e quelli che Guglielmo avea discacciati[8]. Nel che, per l'alienazione ed abborrimento che aveano col Re per cagion di Majone, non vi volle molta industria per tirargli alla ribellione. Si videro perciò in un subito ardere la Calabria, la Puglia e Terra di Lavoro in una crudelissima guerra, e piene di tumulti e di sedizioni. Il Conte Roberto, avendo tosto ragunato un numeroso esercito ne' contorni d'Apruzzo, sorprese molte città della Puglia poste in riva del mare, insino a Taranto: e presa Bari, fece, col consentimento dei suoi cittadini, spianar la Rocca fattavi non molti anni prima edificar dal Re Ruggiero; ed avendo altresì insieme col Pontefice allettato l'Imperador Emanuele ad accompagnare le sue forze contro Guglielmo, ponendolo in sicura speranza di ricuperar la Puglia, e sottoporla come prima al suo Imperio d'Oriente, ne ottenne molta gente guidata da nobilissimi Capitani, e molta moneta, che gli inviò sino a Brindisi, a' quali si rese quella Piazza assai considerabile pel suo porto, ove Emanuele designava mandar più numerosa armata.

Nè minori sconvolgimenti cagionò la fama della morte del Re in Terra di Lavoro; poichè il discacciato Principe di Capua Roberto, che sinora avea menati i suoi giorni in Sorrento in vita privata, dissimulante Ruggiero, onde per ciò lo dissero ancora Roberto di Sorrento[9], non avendo bisogno che il Papa lo stimolasse, subito se ne venne in Capua, ed occupò tantosto la sua antica Signoria, e poco da poi non solo interamente si sottopose tutti i luoghi del suo antico Principato, ma, passato anch'egli in Puglia, avea soggiogato quasi tutto il rimanente, eccetto Melfi e Troja. E ne' Picentini ed in Terra di Lavoro andaron le cose del Re così male, che non era rimasto in sua balia altro, che Amalfi, Napoli e Salerno, ed alcuni altri pochi forti e muniti castelli; perciocchè Riccardo dell'Aquila Conte di Fondi avea presa Sessa e Tiano, e 'l Conte Andrea da Rupe Canina il Contado d'Alife.

S'accrebbe il timore di disordini maggiori; perchè in quest'istesso tempo Federico Imperadore di Alemagna era giunto in Roma, ove era stato da Papa Adriano ricevuto con molta pompa, ed in S. Pietro solennemente coronato; ed il Papa, prima della sua coronazione, s'avea da lui fatto promettere, oltre di calar in Puglia contro Guglielmo, che senz'il suo invito per sua propria inimicizia che avea con lui lo avrebbe fatto, di deporre ancora i Senatori in quella città creati, e di ridurla, come prima, all'ubbidienza del Pontefice. Ma Federico per nuove cagioni non potè eseguirlo; perchè sopraggiunta nel suo esercito una gran pestilenza, bisognò tornarsene in Alemagna, e fu d'uopo partirsi ancora, per sedare nel passaggio i disordini nati in alcune città di Lombardia, senza che, dopo essere stato coronato, avesse voluto far nulla di quanto al Papa avea promesso; se non solo di aver affrettato il soccorso e spinta l'armata de' Pisani contro Guglielmo.

Il Papa, ancorchè deluso da Federico, non per questo volle perdersi d'animo ora che il tempo era a lui cotanto favorevole; poichè avendo ragunato, come potè meglio, un grosso esercito, postosi alla testa di quello, entrò nel Regno, e tosto s'unirono a lui il Conte Andrea di Rupe Canina, e i mal soddisfatti Baroni: se gli unisce ancora Roberto, che poc'anzi avea occupato il Principato di Capua, il quale giunto in Terra di Lavoro, passò poi a Benevento, ove fu a grande onore ricevuto da' Beneventani: dall'altra parte l'Imperador Emanuele volendosi vendicar dell'ingiurie ricevute da Ruggiero, nel figliuolo Guglielmo, avea mandati in Puglia Paleologo, Cominato, Sebasto ed altri illustri e valorosi Capitani con grosso stuolo di armati, e con molta moneta in soccorso del Conte Roberto; ed avea altresì mandato a dire al Pontefice, che l'avrebbe aiutato a disfare interamente Guglielmo, purchè avesse poi lasciate in suo potere tre città poste in riva del mare di quella provincia, con li cui soccorsi il Conte Roberto faceva aspra guerra in Puglia, e n'avea già buona parte occupata[10].

Ecco in quale stato deplorabile si ridussero queste nostre province in quest'anno 1155 ed in quanti sconvolgimenti; la novella de' quali pervenuta a Palermo, non bastò a scuotere l'infingardaggine del Re, il quale rincrescendogli d'uscir dagli agi del palazzo, avea data occasione alla falsa voce della sua morte; perchè Majone coprendo con la tranquillità del volto l'interno affanno, non fece accorgere nè il Re, nè altri del suo timore, onde reputò allora non esservi di bisogno d'altro se non che il Re scrivesse a coloro, che ancor duravano nella sua fede, ch'era stata falsa, ed inventata da' suoi rubelli la fama uscita fuori della sua morte, e che fossero con gente armata usciti contro di loro.

Ma se non bastarono i tumulti di queste province, per opra di Majone, a torre il Re da quel sì lungo e profondo letargo, furono bensì sufficienti que' che vide nella Sicilia, e nell'istessa città di Palermo poco da poi: poichè ribellatosi il Conte Giuffredi, e scoverta da lui la congiura di Majone, ancorchè il Re non la credesse; e per la tirannia dell'Ammiraglio sollevatisi i Siciliani, occuparono Butera; e tumultuando gravemente il Popolo della città istessa di Palermo contro Majone per l'ingiusta prigionia del Conte Simone: tutte queste cose, ed altre unite insieme, finalmente trassero il Re dagli agi del palazzo, destandolo in maniera, che con impeto a' maggiori pericoli esponendosi racchetò il tumulto di Palermo con far sprigionare il Conte Simone, ricuperò Butera, ed avendo restituita quell'isola nell'antica quiete, si risolvette di venire egli in Puglia a debellare i suoi ribelli, e porre quiete a questo Regno; passò perciò immantenente a Messina per valicar il Faro; e portatosi colà in quel mentre il Cancelliere, gli furono date gravi querele dal Conte Simone, per non aver difesa come si conveniva Terra di Lavoro; e volendo egli audacemente difendersi, non fu inteso, anzi fu di presente chiuso in prigione ove di là ad alcuni anni miseramente finì sua vita. Ragunata Guglielmo come potè meglio una armata, partitosi da Messina, venne in Regno, ed a Brindisi accampossi in questo nuovo anno 1156[11], ed avendo mandato l'Eletto di Catania al Pontefice per chiedergli pace, con offerirgli vantaggiose condizioni, fu per opra d'alcuni Cardinali partegiani dell'Imperador Federico rimandato indietro senza conchiuder nulla; laonde il Re veggendosi escluso d'ogni speranza d'accordo, senza far più parole, campeggiò virilmente Brindisi, ove erano i Greci, ed ove s'eran ragunati la maggior parte de' Baroni rebelli; e la strinse sì fattamente, che Roberto di Bassavilla ch'era in sua difesa, sgomentato fuggì via a Benevento; e travagliando il Re quella città con continui assalti, così dal lato di mare, come da quello di terra alla fine la prese a forza, facendo prigionieri tutti i Capitani più stimati de' Greci con molti altri di minor conto, e buona parte de' Baroni di Puglia con altri lor seguaci, de' quali molti fece morire impiccati per la gola, ed altri fece abbaccinare, conquistando parimente tutte le ricche spoglie de' Greci e grossa somma di moneta, che ivi avean condotta per gli bisogni della guerra[12].

Passò poi il Re col vincitor esercito a Bari, ed i Baresi vedendo che il Papa ed il Conte, che avean proccurata la ribellione, non mandavan loro soccorso alcuno, pensarono di rendersi alla pietà del Re; e per mitigar la sua ira gli andarono incontro disarmati a chiedergli mercè; ma Guglielmo vedendo le ruine della Rocca, che colà il padre Ruggiero avea edificata, la quale non guari prima i Baresi avean fatta abbattere, rispose: Io non perdonerò alle vostre case, non avendo voi avuto rispetto alla mia[13]; indi comandò, che fra due giorni con tutti i lor beni si partissero; la qual cosa posta immantenente in esecuzione, fece primieramente il Re diroccar le mura della città sino dai fondamenti, indi disfar tutti gli edificj sì fattamente, che ogni cosa fu ridotta in rovina, ed adeguata al suolo. Così rimase affatto distrutta Bari, la qual città per la ricchezza e nobiltà de' suoi cittadini, per lo numeroso suo Popolo, per la bellezza de' suoi palazzi e per la fortezza delle mura, fra tutte le altre di Puglia, era potentissima, e riputata un tempo la sede de' più gran personaggi della Grecia. Quindi si convince l'error di coloro, che vogliono Bari, in tempo della Regina Costanza e di Manfredi, essere stata riputata sede regia, dove questi Principi furono incoronati; poichè Bari, dopo quest'avvenimento, si ridusse in più ville, nè se non molto tempo da poi riprese forma di città. E vedi intanto l'incostanza delle mondane cose, e come tutte queste vicende servirono ad innalzar Napoli sopra tutte le altre città di questo Reame; poichè, se allora vi rimase Salerno, non dovranno passar molti anni, che vedremo ancora questa città parimente ruinata e distrutta per l'ira ed indignazione d'Errico marito di Costanza.

Prese da poi il Re Taranto con tutti gli altri luoghi di quella provincia, che il Conte Roberto, ed i Greci aveano occupati; e di là si condusse a Benevento, ov'era il Papa Adriano co' suoi Cardinali; e buon numero d'altri Baroni, che v'erano fuggiti; e cingendola di stretto assedio, afflisse di modo quella città, che il Papa, scordatosi affatto de' Baroni del Regno, che avea posti in tanti travagli e pericoli, veggendo il periglio, in ch'era incorso per non essersi in prima, quando gli offeriva vantaggiose condizioni, pacificato con Guglielmo, gl'inviò tre Cardinali per suoi Legati a chiedergli pace. Furono questi Ubaldo Cardinal di Santa Prassede, Giulio Cardinal di S. Marcello, e Rolando Cancellier di Santa Chiesa e Cardinal di S. Marco[14], i quali non altrimente che fece Gregorio II quando scrisse tre lettere a Pipino in nome di S. Pietro, così essi in nome del Principe degli Appostoli gli chiesero, che cessasse dai danni, che faceva al romano Pontefice, e che conservasse le ragioni della Chiesa di Dio.

6

. Sigon. de Regn. Ital. p. 287.

7

. Jo. Cinuamus hist. Comnena, lib. 4.

8

. Inveges lib. 3 hist. Paler.

9

. Camill. Pell, in Stem.

10

. Capecelatr. lib. 2.

11

. Inveges lib. 5 hist. Pal.

12

. Capecelatr. hist. lib. 2.

13

. Anonim. Cassin. ann. 1156.

14

. Gugl. Trio apud Baron.

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4

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