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LIBRO DUODECIMO
§. II. Articoli di pace stabiliti con Papa Adriano, ed investitura data dal medesimo al Re Guglielmo: e pace indi seguita coll'Imperadore Emanuele

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Furono i Legati dal Re cortesemente ricevuti, ed intendendo da essi di buon animo le proposte di pace, destinò egli dal suo canto cinque altri suoi Plenipotenziarj per accordare gli articoli di quella. Questi furono il Grand'Ammiraglio degli Ammiragli Majone, Ugone Arcivescovo di Palermo, Romualdo Arcivescovo di Salerno, Guglielmo Vescovo Calano e l'Abate Cavense Marino; i quali unitisi con i tre Cardinali fermarono gli articoli di pace, che nella maniera, che di qui a poco diremo, si leggono presso il Baronio: nella qual pace non furon compresi i Baroni, ma tutti esclusi, e sol fra il Papa ed il Re fu quella conchiusa.

Venuto poi Guglielmo alla chiesa di S. Marco posta fuori le mura di Benevento, s'inchinò a' piedi d'Adriano, da cui essendo stato assoluto dalle passate censure, egli all'incontro in presenza di molti Cardinali e Baroni, ed altra gente in gran numero ivi concorsa, gli fece l'omaggio del Regno, e giurogli fedeltà, recitando le parole del giuramento Ottone Frangipane, ed il Papa ponendogli la Corona l'investì, prima con dargli uno stendardo del Regno di Sicilia, e poscia con dargliene un altro del Ducato di Puglia, ed un altro del Principato di Capua.

L'investitura, che in quest'occasione fu dal Papa Adriano conceduta a Guglielmo, fu la più ampia e di gran lunga vantaggiosa di quante mai fossero dagli altri Pontefici concedute a' Principi normanni; fu non solo del Regno di Sicilia, del Ducato di Puglia e Principato di Capua con tutte le sue pertinenze, come furono le precedenti; ma ciò che Gregorio VII e gli altri suoi successori non vollero in modo alcuno fare, fece Adriano, perchè anche l'investì di Salerno, di Amalfi e di Napoli colle loro pertinenze, della Marca e di tutte le altre terre che possedeva. Questa investitura fu conceduta non pure a Guglielmo ma anco a Ruggiero suo figliuolo, che nell'anno precedente 1155 mentr'era di quattro anni l'avea il padre creato Duca di Puglia e di Calabria, ed a tutti i suoi eredi; i quali per volontario suo ordinamento avrà egli destinati per suoi successori nel Regno come sono le parole della scrittura rapportata anche dal Baronio: Profecto vos nobis, et Rogerio Duci filio nostro, et haeredibus nostris, qui in Regnum pro voluntaria ordinatione nostra successerint, concedetis Regnum Siciliae, Ducatum Apuliae, Principatum Capuae, cum omnibus pertinentiis suis; Neapolim, Salernum, et Malphiam cum pertinentiis suis; Marchiam, et alia quae ultra Marsicam debemus habere, et reliqua tenimenta, quae tenemus a predecessoribus nostris hominibus Sacrosanctae Romanae Ecclesiae jure detenta, et contra omnes homines adjuvabitis honorifice manutenere. All'incontro promise il Re pagargli il censo per la Puglia e per la Calabria seicento schifati l'anno, e per la Marca cinquecento.

(Questa Bolla dell'investitura e concordato tra Adriano IV con Guglielmo I è rapportata anche da Lunig[15]).

Furono in quest'occasione accordati ancora molti articoli intorno alle appellazioni, elezioni ed altre cose appartenenti alla politia e governo ecclesiastico di questo Regno di Puglia. Per l'appellazioni fu convenuto, che se alcun Cherico nella Puglia e nella Calabria e nell'altre terre vicine, contro alcun altro Cherico avrà querela intorno alle cause ecclesiastiche, e dal Capitolo o dal Vescovo, Arcivescovo, o da altra persona ecclesiastica di quella provincia non possa emendarsi, gli sia lecito, se vorrà, appellarne alla Chiesa romana. Che se la necessità, o utilità della Chiesa lo ricercasse, possano farsi la translazioni da una in altra Chiesa. Che la Chiesa romana possa liberamente far le visite e le consecrazioni nelle città della Puglia e di Calabria e luoghi adjacenti, eccetto però in quelle città, nelle quali sia presente la persona del Re, o de' suoi eredi senza volontà de' medesimi. Che nella Puglia e nella Calabria e nelle regioni vicine possa la Chiesa romana liberamente aver suoi legati, i quali però debbano portarsi con ogni moderazione senza invadere e devastare le possessioni della Chiesa.

Che anche nella Sicilia abbia la Chiesa romana le visite e le consecrazioni; e che se il Re o suoi successori chiamerà dalla Sicilia le persone ecclesiastiche, o per ricever la Corona o per altro bisogno, debbano quelle ubbidir alla chiamata, e possa fargli restare e ritener quelli che stimerà dover ritenere. Intorno all'altre cose, avrà la Chiesa romana nella Sicilia tutto ciò, che tiene nelle altre parti del suo Regno, eccetto che le appellazioni ed il poter mandar Legati, li quali non si permetteranno, se non a petizione del Re e suoi eredi. Nelle Chiese e monasterj del suo Regno possa ritenere la Chiesa romana ciò, che ritiene nell'altre Chiese, come le solite consecrazioni e benedizioni, alla quale pagheranno i soliti e stabiliti censi.

Intorno alle elezioni fu stabilito, che li Cherici ragunati debban eleggere la persona che riputeranno degna, la quale terranno in secreto, insino che al Re sarà palesata; il quale darà il suo assenso, quando però non la giudicasse o del partito de' suoi traditori o de' suoi nemici e de' suoi eredi, o pure non sia a se odiosa, o per altra cagione, per la quale non la stimasse degna del suo assenso.

Tali furono gli articoli di questa pace firmati presso Benevento nel mese di giugno dell'anno 1156, de' quali, come appartenenti allo Stato ecclesiastico, ci tornerà altrove occasione di parlare.

I Baroni del Regno di Puglia, vedendosi contro ogni lor credenza abbandonati dal Pontefice, e lasciati in preda all'ira del Re, sbigottiti di tale avvenimento, prestamente fuggirono. Il Conte Roberto da Bassavilla, ed il Conte Andrea da Rupe Canina, con alcuni altri ne andarono in Lombardia, ricovrandosi colà sotto la protezione dell'Imperador Federico, il quale gli adoperò nella guerra che allor tenea co' Milanesi; ma Roberto Principe di Capua volendo anch'egli con altri suoi partigiani uscir del Reame, essendosi avviato per lo Stato di Riccardo dell'Aquila Conte di Fondi suo vassallo, per dove credea poter sicuramente passare, fu per ordine del Conte insidiato, e con tutti i suoi preso al valicar del Garigliano, e dato prigioniere in poter del Re[16]; con la qual malvagità il Conte Riccardo ritornò in grazia di Guglielmo, ma non potè fuggire l'infamia del tradimento. Fu il Principe insieme con un suo figliuolo ed una figliuola, di volontà dell'Ammiraglio, inviato prigione a Palermo ed ivi fu abbaccinato, ove poco da poi in carcere morì. Ed ecco il fine di Roberto figliuol di Giordano II Principe di Capua, nato di nobilissima schiatta di sangue normanno, dopo aver tante volte perduto e ricuperato il suo Principato, che in lui affatto s'estinse, rimanendo unito col Reame di Puglia, come è ancora al presente; un altro suo figliuolo chiamato Giordano, dopo questo infortunio del padre scappò in Costantinopoli, e sotto la protezione dell'Imperador Emanuele si mise, il qual Imperadore lo mandò da poi Legato ad Alessandro III nell'anno 1166 come di qui a poco diremo[17].

Dopo le quali cose il Papa ne andò in Campagna di Roma, ed il Re avendo vinti i Greci, e parte dei suoi nemici cacciati via dal Reame, e parte posti in prigione, ed altri o fatti morire, o ritornati in sua grazia, diede il governo della Puglia a Simone Gran Siniscalco cognato di Majone, ed egli avendo in cotal guisa sedati i tumulti del Regno in Palermo ritornossene.

Non minor felicità sperimentò Guglielmo nella guerra, che poco da poi mosse all'Imperador Emanuele, poichè avendo ragunata una grande armata sotto il comando di Stefano fratello di Majone, questi alle riviere del Peloponeso combattè con tanta felicità quella del Greco, che n'ottenne piena vittoria. Per la qual cosa sbigottito Emanuele proccurò aver pace con Guglielmo, ed avendogli mandati suoi Ambasciadori, alla fine l'ottenne, e furon riposti in libertà tutti i Greci, ch'erano in Sicilia; ed Emanuele, ciò che prima egli ed i suoi predecessori non vollero in conto alcuno mai fare, da questo tempo in poi riconobbe e chiamò Guglielmo Re[18]; e fu fra di loro stabilita pace sì ferma e costante, che da ora innanzi non si sentiranno più guerre tra i nostri Re normanni e gl'Imperadori d'Oriente.

Così Guglielmo racchetati i tumulti del Regno, e pacificatosi col Papa e coll'Imperador d'Oriente, si acquistò in questi principj del suo Regno il titolo di Magno; e poteva sperarsi, che lungamente durar dovesse questa pace, se Majone non la avesse turbata; perchè attribuendo il Re tutti questi felici successi alla sua condotta e prudenza, era giunto l'Ammiraglio a tanta potenza, che sembrava più tosto egli il Re, che Ammiraglio di Sicilia; onde diessi nuovo fomento a' mal soddisfatti Baroni di porre in campo quelle sedizioni e tumulti, che più innanzi saremo a narrare.

15

. Lunig Cod. Ital. Diplom. pag. 850. Ugo Falcan.

16

. Camill. Pell. ad Anon. Cass. ann. 1156.

17

. Acta ejusdem Pontificis apud Baron. Camill. Pell. in Stemm.

18

. Jo. Cinnam. de reb. gestis Jo. et Emanuel. Comm. lib. 4. Paulo post, et Regem eum appellavit, cum prius non esset.

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4

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