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LIBRO DUODECIMO
CAPITOLO I
L'Imperador Federico sdegnato col Papa della pace fatta con Guglielmo cala di nuovo in Italia: tiene una Dieta in Roncaglia, e restituisce in Italia le regalie

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Intanto l'Imperador Federico informato dal Conte Roberto, dal Conte Andrea, e dagli altri ribelli del Re, li quali dopo la pace fatta nel precedente anno, erano fuggiti in Lombardia, come il Papa con occulte condizioni avea conchiusa la pace con Guglielmo, ed avea esclusi tutti gli altri: s'adirò fortemente contro Adriano, ed anco se ne querelò con tutti i Principi e Prelati tedeschi; donde i Vescovi di Germania non si trattennero sopra di ciò scrivere una lettera al Papa, ove fra l'altre cose gli rimproverarono questa pace[19].

Nè tralasciò l'istesso Imperadore con altra sua lettera dolersene con Eberardo Arcivescovo Salesburgense[20]; e perciò da quest'anno 1158 l'Imperadore si dichiarò nemico del Papa, siccome lo era di Guglielmo; e temendo che questi due insieme uniti estinguessero affatto in Italia l'autorità del suo Imperio, cominciò ad esser più terribile colle città di Lombardia, onde deliberò di passar tosto in Italia, come fece; ma con spiriti molto elevati e bizzarri; e calato in Lombardia, avendo vinti i Milanesi, e sottopostesi le città della medesima, assegnò secondo il costume dei suoi maggiori, una Dieta in Roncaglia per fermare gli articoli della pace, e per dare alcuni provvedimenti intorno allo stato di quelli provincia. Allora fu, che incontrandosi per via ad un bel castello, avendo dimandato di chi quello fosse, ed essendogli stato detto il padrone, alcuni adulatori gli risposero ch'era suo, poichè dell'Imperadore era il dominio di tutto il Mondo, e delle cose particolari ancora: altri, che erano della comitiva di Federico, non potendo soffrire una adulazione così sfacciata, si opposero a tal risposta: per lo che fra loro ne nacque un gran contrasto: l'Imperadore ordinò che in Roncaglia si fosse decisa tal disputa da' Sapienti e Giureconsulti della città di Lombardia, che doveano intervenire a quella Assemblea.

Dell'essersi negli anni precedenti, imperando Lotario, ritrovate le Pandette in Amalfi, e trasportate in Pisa, e l'aver Irnerio, come si disse, in Bologna impiegati tutti i suoi talenti sopra di quelle, con esporle, e pubblicamente insegnarle, ne avvenne che dalla sua Scuola ne fossero sorti molti, i quali seguitando le sue pedate a null'altro intesero, che allo studio delle medesime, e degli altri libri di Giustiniano. Quindi nacque, che nelle città d'Italia, molti tratti dalla novità, e dalla eleganza e sapienza di quelle leggi, v'impiegavano tutto il loro studio per apprenderle; onde dalla scuola d'Irnerio n'uscirono, come dal cavallo trojano, molti Giureconsulti, e lo studio della giurisprudenza romana era frequentatissimo non meno por gli ascoltatori, che per coloro che l'insegnavano; ma perchè questo studio surse in un secolo pur troppo incolto, e che senza l'ajuto degli altri libri latini, e dell'istoria romana, e dell'erudizione, non potevano queste leggi ben intendersi: quindi nacque, che i primi che l'insegnarono, a cui mancavano tanti ajuti, in molti errori e puerilità incorsero: vizio loro non già, ma del secolo: poichè all'incontro alcuni di essi furono d'ingegno meraviglioso; e se mancò l'erudizione e l'istoria, si vede che gl'ingegni al Mondo non sono mai mancati, perchè la natura con costante tenore serba le sue leggi, ed ha ugualmente a tutti distribuiti i talenti.

Per queste cagioni leggendo essi in alcune leggi delle Pandette, che l'Imperador Antonio[21] si chiamava Signore dell'universo Mondo: e che Ulpiano[22] scrisse, che siccome il Popolo romano poteva dar la libertà a' servi de' particolari, così anche poteva farlo l'Imperadore; e leggendo ancora nel Codice[23] quel che Giustiniano disse, che tutte le cose erano del Principe: credettero che l'istesso potesse dirsi di Federico; onde fu cosa molto facile di persuadere, essere egli Signore del Mondo, e delle cose ancora de' privati. Erano in questi tempi dalla scuola d'Irnerio usciti molti Giureconsulti. Surse Placentino in Montepessulo, il quale fu il primo che da Italia propagò lo studio della giurisprudenza romana in Francia. Fiorivan in Bologna Bagarotto e Giovanni Basiano ed in Padova Antonio Lyo; ma sopra tutti a questi tempi si distinsero in Bologna, dove insegnavano, quattro Giureconsulti, i quali eransi resi per la loro dottrina così celebri e rinomati, che l'Imperador Federico nelle deliberazioni più gravi gli chiamava al suo Consiglio, ed aveagli per suoi Assessori, come scrive Radevico[24], non altrimenti che fecero gl'antichi Imperadori romani de' nostri Giureconsulti.

Furono questi Bulgaro, che nato in Pisa, insegnò nel principio legge in Bologna, dove poi dall'Imperador Federico fu creato Prefetto di quella città: Ugolino, che fiorì parimente in Bologna, Autore della decima Collazione, e Collettore de' libri de' Feudi e delle Costituzioni di Corrado, Lottario e Federico, le quali aggiunse alla nona Collazione dell'Autentico, come di qui a poco diremo: Martino ancor celebre in questo istesso tempo, il quale scrisse alcune chiose alle Pandette, le quali però furon sovente da' posteri rivocate in dubbio e rifiutate; e Giacomo, che Federico pur ebbe nel suo Consiglio. Ebbene ancor in Milano in questi tempi due altri: Oberto de Orto grand'Avvocato nella Curia di Milano, e Gerardo Negro, ovvero come altri lo chiamano Cagapisto, da' quali le Consuetudini feudali furon compilate, e ridotte in iscritto con altre leggi degl'Imperadori attenenti a' Feudi, come diremo.

Giunto l'Imperadore Federico in Roncaglia, Bulgaro e Martino furono deputati nella Dieta per sostenitori di quella disputa: Bulgaro condannò i lusingatori; ma all'incontro Martino sia per timore, o per amore, sostenne le parti di Federico con dire che l'Imperadore era Signore non meno del Mondo, che di tutte le cose particolari; ed in fatti appigliandosi Federico alla sua opinione, fu la disputa decisa a favor di Martino[25]. Ne nacque perciò che i Giureconsulti de' tempi posteriori sostennero l'opinion di Martino, e Bartolo arrivò in tale estremità, che disse esser eretico chi teneva altrimenti.

Questa disputa, che s'avrebbe potuto facilmente decidere con quel che dice Seneca, distinguendo il dominio privato, dalla dominazione pubblica ed eminente, decisa così assolutamente a favor di Federico cagionò a lui, ed a tutta la Lombardia perniziosissimi effetti; poichè secondo questa massima in quella Dieta impose leggi e condizioni molto rigorose alla Nobiltà, ed alle città di Lombardia. Proibì loro ogni Assemblea, e corpo di città, e sopra tutto tolse loro il potere, che aveano di crear Magistrati, mettendo in quelle Ufficiali del suo partito contro ciò, che per l'addietro si praticava: impose molte pene alle città, ed uomini che violassero queste leggi: e loro concedette una molto dura e gravosa pace, come si vede dalla sua Costituzione che stabilì in Roncaglia, e che noi abbiamo al quinto libro de' Feudi[26].

Ma non potè molto godersi di quella pace, ch'egli intendeva stabilire con condizioni sì dure; poichè appena ritornato in Alemagna, si rivoltò la Lombardia ben presto, onde fu obbligato di nuovo calar in Italia, ed assediar Milano, la quale dopo un lungo assedio, in cui valorosamente si difesero i Milanesi, finalmente fu presa; la ruinò Federico da' fondamenti riducendola in ville, ed insignoritosi affatto di tutta Lombardia, la pose perciò in una grandissima servitù.

Fu ancora in questi tempi, che oltre di aver più rigorosamente, che non fece Lotario, proibita l'alienazion de' Feudi per quella sua Costituzione[27], che ancor leggiamo ne' libri feudali: volle restituire in Italia le Regalie, e le ragioni sue fiscali, che gran tempo s'eran perdute, ed andate in disuso; costringendo perciò i Vescovi, i Proceri, e le città d'Italia a metterle in piede, ed a lui restituirle[28].

Tutto ciò, che presso i Romani si conteneva in quella divisione di beni, che altri fossero comuni, altri pubblici, altri delle Università, ed altri di niuno, si stabilì che s'appartenessero al Principe; restando solo agli altri que' beni, che a ciascuno singolarmente s'appartengono. Perciò i Principi s'hanno attribuito la proprietà del mare, de' fiumi navigabili, delle strade, dei campi, delle muraglie, e fossi della città, e generalmente ogni cosa, ch'è fuori del commercio, ed ancora quello ch'è nel commercio, ma che non ha padrone. E Federico, se bene non annoverasse tutto ciò nella sua Costituzione de Regalibus, noverò bensì le più segnalate e rilevanti regalie, come le fabbriche, e pubbliche armerie, che chiamò Armannie, le strade pubbliche, i fiumi navigabili, e quelli da' quali si fanno gli altri navigabili, e tutta l'utilità che perviene dal decorso di essi. I porti: i ripatichi: i vectigali: le monete: le multe: i beni vacanti: le pene: gli angarj: i parangarj: le prestazioni di navi e di carri: le estraordinarie collette: le miniere d'argento: le saline: le miniere, dalle quali si cava la pece, poichè anche, secondo scrive Plinio[29], si trova la pece fossile: le pescagioni: le caccie: i tesori: il crear Magistrati per amministrar giustizia, ed altre ragioni sue fiscali, le quali non nominò tutte in questa sua Costituzione, ma solamente quelle, ch'erano le più principali, e le quali in Italia per lungo tempo erano già andate in disusanza.

Dal che ne nacque, che quel che Federico fece nelle città sue d'Italia, vollero da poi imitare gli altri Principi ne' loro Reami, ed in alcune cose usarono maggior rigore, come fece il nostro Guglielmo, il quale non bastandogli ciò che Federico avea stabilito de' tesori, conforme alla Costituzione d'Adriano, che trovati in luogo pubblico o religioso per casualità, fosse la metà dell'inventore: stabilì una più dura legge, che in qualunque luogo, e in qualsivoglia modo ritrovati, tutti s'appartenessero al Re, come da una sua Costituzione, della quale, parlando delle altre leggi di questo Principe, farem parola.

In tale servitù avendo Federico ridotta la Lombardia, e nudrendo sì alte e bizzarre idee, disgustatosi col Papa per la pace, che questi avea fermata con Guglielmo: avvenne, che questi disgusti prorupper poi in una più grave discordia; poichè mentre ritornava da Roma in Alemagna l'Arcivescovo di London, fu per ordine dell'Imperadore questi preso: Adriano, che non men che teneva Federico dell'Imperio, avea egli del Ponteficato alti concetti, intesa la cattura dell'Arcivescovo, gli scrisse alcune lettere, che gliele fece recare dal Cardinal Rolando Cancellier di S. Chiesa, e da Bernardo Cardinal di S. Clemente, nelle quali l'ammoniva, che dovesse riporre in libertà l'Arcivescovo, e fra l'altre cose, rammentandogli i beneficj, che da lui avea ricevuti, gli scrisse ancora ch'egli l'Imperio lo dovea riconoscere dalla Chiesa di Roma, come beneficio di quella. Ciascuno può immaginarsi con quanto stomaco e stizza Federico sentisse tal proposizione: se ne sdegnò in maniera, ed entrò in tanta rabbia, che non solo non volle far nulla di quanto se gli domandava, ma rimproverò con tanta acerbità il Pontefice, che fu questi obbligato mandargli due altri Cardinali per placarlo; e bisognò che si ritrattasse di quanto avea scritto, con dire, ch'egli non avea per quelle parole inteso, che l'Imperio fosse Feudo della Chiesa, ma avea presa quella parola beneficio, pro bono, et facto junctum[30]. Infatti que' Cardinali ebbero molto che fare per racchetarlo; e sebbene poco da poi fossero di nuovo disgustati per cagion che Federico sovente impediva a' Ministri del Papa di raccor le rendite ecclesiastiche, volendo di più che s'eleggesse per Vescovo di Ravenna un tal Guidone, al che il Papa non voleva consentire, nulladimanco dopo varj trattati, furono un'altra volta pacificati.

Ma Adriano poco da poi, mentr'era in Alagna, finì i giorni suoi nel primo del mese di settembre di quest'anno 1159[31]. La di cui morte recò gravi incomodi e sconvolgimenti in Roma per lo scisma, che accadde nell'elezione del suo successore; poichè avendo la maggior parte de' Cardinali eletto Papa il Cardinal Rolando Cancelliere di S. Chiesa, che si nomò Alessandro III, di patria Senese, nel medesimo tempo coll'ajuto di Ottone Conte di Piacenza, e di Guido Conte Broccarense Ambasciadori di Federico, che allor dimoravano in Roma, Giovanni pisano Cardinal di S. Martino, e Guidone da Crema Cardinal di S. Calisto, crearono Antipapa Ottaviano di S. Cecilia, e gli poser nome Vittore IV, e passò tanto innanzi la loro arroganza, che assediarono Alessandro col Collegio de' Cardinali dentro la torre di S. Pietro, avendosi l'Antipapa con molta moneta, che lor diede, e col favor dell'Imperadore acquistato molti partigiani in Roma: onde Ottone Frangipane, con altri Nobili romani, sdegnati dell'indegnità di tal fatto, cavarono salvi di colà il Papa ed i Cardinali, e condottigli fuor di Roma in luogo sicuro, secondo il solito costume coronarono solennemente Alessandro; ed Ottaviano rimase in Roma: ove ritornato poi nel secondo anno del suo Ponteficato Alessandro, e vedendo non potervi dimorar sicuro per la potenza dell'Antipapa, lasciato in sua vece Legato in quella città Giulio Vescovo Prenestino, se ne andò a Terracina per navigare in Francia.

19

. Epist. apud Inveges lib. 3 hist. Paler. Haec, et alia utpote de concordia Rogerii, et Willelmi Siculi, et aliis quae in Italia factae sunt conventionibus, quae ab ore Imperatoris audivimus, etc.

20

. Inveges loc. cit. Neque eam pacem tenere, neque ea teneri vellemus; quoniam ipse prior violasset in Siculo, cum ipse sine nobis reconciliari non debuisset.

21

. L. de precario, D. ad L. R. de jactu.

22

. Ulp. l. Barbarius, D. de off. Praetor.

23

. L. bene a Zenone, C. de Quadrien. praescript. omnia Principis esse.

24

. Radevicus l. 2 de gest. Fed. c. 5. Cujac. lib. 1 de Feud. tit. 12. Alteserra lib. 3 cap. 14.

25

. Glos. in l. bene a Zenone, et in praefat. dig.

26

. Constit. hac edictali de pace tenenda, l. 5. Feud.

27

. Const. Fed. de Feud. non alien. lib. 5.

28

. Guntherus Abbas Uspergensis Radevicus 3 c. 41 et 4 c. 5.

29

. Plin. hist. lib. 16 cap. 12.

30

. V. Sigon. de Regn. Ital. l 12 ann. 1158.

31

. Gugl. Tir. de bello sacr. lib. 18 Radevic. de vita Frid. Imp.

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 4

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