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LIBRO TRENTESIMOSECONDO
CAPITOLO II
Spedizione dell'Imperadore Carlo V in Tunisi: sua venuta in Napoli; e di ciò che quivi avvenne nella sua dimora e ritorno; e quanto da alcuni Nobili si travagliasse per far rimuovere il Toledo dal governo del Regno
§. II. Il Marchese del Vasto, ed il Principe di Salerno con altri Nobili procurano la rimozione del Toledo dal governo del Regno

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Ma nella fine di quest'anno si cominciarono a stringere e palesare le negoziazioni, che finora s'eran tenute occulte, del Marchese del Vasto, e del Principe di Salerno, con altri Nobili contra il Vicerè per farlo rimovere dal governo di Napoli. Questo concerto erasi maneggiato fin da che Cesare era in Sicilia, e nel viaggio, tanto il Marchese, quanto il Principe non mancarono di far efficacemente le parti loro, con dipingere il suo governo per troppo aspro e rigoroso, e non confacente a quel Regno, insinuandogli che dovesse levarlo; ma questi ufficj niente valsero, sapendo Cesare onde veniva la cagione di tal odio, e di quelli n'era stato anche ben avvisato il Toledo; poichè giunto l'imperadore a Napoli, veduto il Vicerè, narrasi, che gli dicesse: Siate il ben trovato Marchese; e vi fo sapere, che non state tanto grasso, come mi è stato detto. Al che sorridendo il Vicerè facetamente rispondesse: Signore, io so bene che V. M. abbia inteso, che io sia divenuto un mostro, però non son tale. Non tralasciarono ancora di muovere alcuni popolari, perchè col pretesto di due gabelle imposte, e del suo rigore, chiedessero a Cesare, che lo rimovesse; ed aveano già tirato dal lor canto Gregorio Rosso, Eletto del Popolo, il quale perciò ne' suoi Giornali non molto favorisce il Toledo, e non mancò di far le parti sue; poichè egli stesso racconta, che ai 26 novembre di quest'anno 1535 fu fatto chiamare dall'Imperadore, da cui fu domandato delle condizioni del Popolo Napoletano, e che cosa avrebbe potuto fare in beneficio del medesimo. La sua risposta fu, ch'era fedelissimo, ed amantissimo della sua Corona, e che per mantenerlo soddisfatto e contento non ci bisognava altro, che mantenerlo abbondante, senza angaria, e che ogni uno mangi al piatto suo, con la debita giustizia, e che stava per ultimo assai risentito e disgustato, per le nuove gabelle poste dal Vicerè. Questa giunta, com'egli stesso dice, fu cagione, che il giorno seguente fosse levato d'Eletto, e rifatto in suo luogo Andrea Stinca Razionale di Camera, persona dipendente dal Vicerè.

Ma non perciò s'arrestarono i suoi rivali. Nel principio del nuovo anno 1536, Carlo per ricavar qualche frutto dalla sua venuta in Napoli, fece agli 8 di quel mese intimare un Parlamento nella Chiesa di S. Lorenzo, ove in sua presenza ragunati i Baroni e gli Ufficiali del Regno, espose egli di sua propria bocca i bisogni della Corona, e che per sicurezza del Regno e per le nuove guerre, che se gli minacciavano dal Turco e dal Re di Francia, bisognava sovvenirlo. Il giorno seguente ragunati di nuovo i Baroni, conchiusero in onore di Cesare, senza misurar le forze del Regno, più tosto per vanità e fasto, che per altro, di fargli un donativo di un milione e cinquecentomila ducati, donativo in niun tempo, nè in Napoli, nè altrove, giammai inteso e così sorprendente, e di somma cotanto immensa ed esorbitante, che l'istesso Cesare, vedendo l'impossibilità dell'esazione, bisognò, che loro facesse grazia di rimetterne ducati cinquecentomila, e contentarsi d'un milione10.

Si giuntarono spesso i Deputati in San Lorenzo per trovare il modo della soddisfazione, e si determinò, che dovessero pagare i Baroni tre adoe, ed il rimanente i popolari. Parimente s'unirono per consultare quali altre nuove grazie e privilegi dovessero, in ricompensa di tanta profusione, cercare a Cesare. Se ne concertarono molte, e perchè questa Deputazione era maneggiata da Nobili, si pensò con tal opportunità chiedere a Cesare la remozione del Vicerè. Ma perchè dimandandogliela alla svelata, oltre al poco decoro del Ministro, eran certi di riceverne una ripulsa; fu proposto fra le cose principali, di dimandare in grazia all'imperadore di far rimuovere tutti i Ministri, così maggiori, come minori, per includervi con ciò anche tacitamente il Vicerè. A questa proposizione per se stessa imprudentissima, ancorchè vi concorressero la maggior parte de' Deputati Nobili, si opposero il Duca di Gravina, il Marchese della Tripalda, Cesare Pignatello e Scipione di Somma. Ma sopra tutti fortemente ripugnarono Andrea Stinca Eletto del Popolo, e Domenico Terracina, che, per essere stato Eletto negli anni precedenti, era stato fatto anche Deputalo del Popolo. Per ciò non si conchiuse niente, e furonvi gravi contese tra 'l Marchese del Vasto e Scipione di Somma, che vennero fra di loro sino a parole ingiuriose e piene di contumelie11.

Mentre che queste cose si dibattevano in S. Lorenzo, l'Imperadore si tratteneva in quel Carnovale in feste, giuochi e maschere; ed una sera accompagnandolo il Marchese del Vasto, mentre si ritirava al Castello, postosegli vicino, gli esagerò per molte ragioni quanto compliva al suo servizio di levare il Toledo dal governo di Napoli; ma comprendendo dalle risposte dell'Imperadore, che avea poca voglia di levarlo, prese resoluzione di non andar più alla Deputazione a San Lorenzo, ma andarlo sol servendo nelle feste e giuochi, che ogni giorno si facevano. Ciò che riuscì di gran servizio del Vicerè, perchè non venendo alla Deputazione più il Marchese, s'intepidì il suo partito; anzi l'Eletto Stinca ed il Deputato Terracina, sapendo gli ufficj fatti dal Marchese con Cesare contra il Toledo, andarono a parlare all'Imperadore, e introdotti, l'Eletto Stinca cominciò ad esagerare a Cesare, che i Nobili intanto si sforzavano far ogni opra con S. M. perchè rimovesse il Toledo, perchè sono stati sempre soliti di opprimere e vilipendere il Popolo: che la loro insolenza era giunta a tanto, che maltrattavano non solo il Popolo Napoletano, ma i Capitani di guardia ed i Ministri di Giustizia: che tenendo uomini facinorosi ne' Portici delle loro Case, non temevano perseguitare molti, con straziarli ed insin ad uccidergli: toglievano a forza dalle mani della giustizia i ribaldi, ritenevano nelle loro case uomini facinorosi: i poveri artigiani non erano pagati delle loro fatiche, anzi con ingiurie e ferite malmenati; ma ora, che il Toledo avea estirpate queste tirannidi, con aver riposta la giustizia al suo luogo, per ciò i Nobili si movevano a rifiutarlo; che se sarà levato, tosto si tornerebbe all'antiche depressioni ed abusi.

Queste parole, che trovarono l'animo ben disposto di Cesare, lo fecero maggiormente confermare nella opinione di non rimoverlo; laonde certificato del vero, acciò non rimanesse in cos'alcuna macchiata la riputazione di quel Ministro, volle che per mezzo suo, anche stando egli in Napoli, tutto si facesse, e per le sue mani passassero tutti gli affari più gravi, e ricolmollo di più favore, che prima. E poco da poi, affrettandosi tuttavia il suo ritorno, nel partir poi da Napoli per Roma, lo lasciò con maggior autorità di prima. E con ciò terminata la Deputazione in S. Lorenzo, non si pensò più a questo, ma concertati, e conchiusi 31 Capitoli e Grazie, che si doveano cercare a Cesare per la Città di Napoli, e 24 altre in beneficio d'alcune province e particolari, furono quelle dall'Imperadore nel nuovo Parlamento, che in sua presenza si tenne a S. Lorenzo, a' 3 di febbrajo di quest'anno, concedute, le quali ora si leggono infra i Capitoli della Città e Regno di Napoli, conceduti dagli altri Re suoi predecessori12.

10

Privil. et Capit. di Nap. fol. 103 a ter. Tasson. De Antef. vers. 4 observ. 3 num. 27.

11

Giorn. del Rosso, pag. 129 et 130.

12

Cap. et Privil. di Nap. pag. 102.

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8

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