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IX.

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Non è dunque assurdo tenere sin d’ora che la lezione dell’Inferno lascia qualche cosa da meditare al discente. È compiuta quella del Purgatorio? No; e noi potremo da ciò confermare la nostra opinione su quella dell’Inferno. Non è compiuta; e questa volta (per qual ragione se non perchè Virgilio non è più per essere con lo scolare dopo visitato il Purgatorio?) questa volta Virgilio ne ammonisce Dante:

Quanto ragion qui vede

Dirti poss’io; da indi in là t’aspetta

Pure a Beatrice, ch’opera è di fede.[25]

Che sia ciò che la ragione non vede e che solo Beatrice può dire, è accennato più sotto quando, dopo aver discorso della ‛virtù che consiglia, Che dell’assenso de’ tener la soglia’, donde in noi cagione di meritare, conclude:

La nobile virtù Beatrice intende

Per lo libero arbitrio, e però guarda

Che l’abbi a mente, s’a parlar ten prende.[26]

E Beatrice in vero gliene parla nel Paradiso (V 19) per affermare la nobiltà di essa virtù, che è il maggior dono che Dio fece agli uomini. Tuttavia sappiamo che in Dante era un dubbio; un dubbio che si riporta più alle parole di Virgilio, che a quelle di Beatrice; a ciò che egli dice

Quest’è il principio, là onde si piglia.

Ragion di meritare in voi.[27]

Non dubita Dante che noi non abbiamo facoltà di accogliere e vigliare buoni e rei amori: no; la spiegazione filosofica lo appaga nè d’altro richiede Virgilio. Ma ciò che a Virgilio avrebbe domandato invano e che perciò tacque, è cosa fuori di questa libertà di accogliere e vigliare, è oltre la filosofia e la ragione. Tutti hanno sì il libero arbitrio, e perciò cagione di meritare: or come alcuni e molti anzi, accogliendo tutti i buoni amori, non riuscirono e non riescono a meritare? Questo è il dubbio che Dante confessa di avere concepito, secondo la finzione poetica, a questo ragionamento di Virgilio, che ammonisce di non poter dire se non quanto ragion vede: questo

il gran digiuno

Che lungamente m’ha tenuto in fame,

Non trovandogli in terra cibo alcuno.[28]

Dante non ha bisogno di esprimerlo: l’Aquila lo solve e poi lo rivela:

tu dicevi: Un uom nasce alla riva

Dell’Indo, e quivi non è chi ragioni

Di Cristo, nè chi legga, nè chi scriva;

E tutti i suoi voleri ed atti buoni

Sono, quanto ragione umana vede,

Senza peccato in vita o in sermoni.

Muore non battezzato e senza fede;

Ov’è questa giustizia che il condanna?

Ov’è la colpa sua, s’egli non crede?[29]

Il dubbio di Dante è sciolto. Io non devo osservare altro, se non che questa risposta dell’Aquila alla pensata domanda del discepolo, è fatta, quando ad esso resta salire in tre sfere, Saturno, Stelle fisse, Primo Mobile; non contando l’Empireo, che tutte le comprende. Così nell’Inferno dopo la esposizione di Virgilio, Dante ha tre cerchietti da visitare. E sebbene nove gironi abbia l’Inferno, abbiamo veduto come tra esso e il Purgatorio che ha sette cornici, sia un’esatta proporzione di parti. Non sembri dunque che sì fatta corrispondenza sia compromessa dal numero nove delle sfere. Nove, ripetiamo, gironi ha l’Inferno, ma nella esposizione sua Virgilio non parla se non di sette peccati. E in vero i peccati dalla filosofia cristiana furono ridotti a sette. Nel Purgatorio Virgilio li fa discendere da una causa sola: l’amore che erra o per malo obbietto o per poco vigore o per troppo nel proseguire l’obietto del bene. L’amore che erra per malo obietto, genera tre peccati: superbia, invidia, ira; quello che per poco vigore, uno, l’accidia; quello che per troppo, tre, anch’esso, avarizia, gola, lussuria. Non è questo l’ordine che hanno i peccati in S. Tomaso (2ª LXXXIV 7). L’ordine dei peccati come è in Dante si trova in S. Bonaventura (Comp. III 14), in Ugo di S. Vittore (All. in Matthaeum II, XV e seg. Institutiones Monasticae, XXXVIII), in S. Gregorio (Mor. XXXI 31). Per quali riguardi sono essi peccati così distribuiti nei Teologi e in Dante? Ma in Dante erano veramente distribuiti e ordinati così? Nel Purgatorio, non era dubbio; ma nell’Inferno? Dei sette peccati dell’Inferno, quale era la ragione e la natura? Di tre la sapevo: degli altri quattro, no.

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