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XII.

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Questo dunque io avevo fermo nel pensiero, quando, leggendo in S. Tomaso d’Aquino, vidi che era da trascurarsi nella mia ricerca la gradazione tra i singoli divieti e comandamenti, e che si doveva attendere a una divisione più larga e generale dei precetti della prima Tavola e di quelli della seconda, giusta la dilezione di Dio e del prossimo. I primi tre sono della prima, gli altri sette della seconda; ma di questi ultimi il primo ‛Onora il padre tuo e la madre tua, perchè tu campi molti anni sulla terra, che il Signore Iddio ti darà’, si pone (2ª 2ae CXXII 5) ‛immediatamente dopo i precetti che ci ordinano verso Dio, perchè i genitori sono particolare Principio del nostro essere, come Dio ne è il Principio universale. Onde è una tal quale affinità di questo precetto a quelli della prima Tavola’. Inoltre questo precetto, essendo distinto dai tre primi per ciò che esso è intorno ad atti di pietas, che è della iustitia parte seconda, mentre la prima e principale è la religio, intorno a’ cui atti sono i tre primi, è pur distinto dai sei ultimi perchè questi sono dati intorno alla iustitia communiter dicta, che è tra uguali (2ª 2ae CXXII 1). Sì che io potevo distinguere i precetti di Giustizia in quattro che sono di atti di Religione e Pietà, e altri sei che sono di atti di Giustizia propriamente detta. Conclusi adunque che tali precetti di Religione e Pietà erano quelli che con obbedire più facile possono essere osservati, e perciò con maggiore ingiustizia sono violati. Così io mi avviavo a riconoscere che era ben possibile che Dante, secondo la dottrina di Agostino e di Tomaso, dicesse superbi quegli uomini i quali, a somiglianza di Adamo e di Eva, avessero violato quei precetti che, una volta violati, non si potevano scusare con alcuna imaginazione di Giustizia, e che questi precetti fossero quelli della prima Tavola più il quarto che è affine ad essi. Tanto più, quanto veramente a Dio si pone direttamente a fronte chi misconosce il Principio e universale e particolare del nostro essere, e, poi che trasgredisce ciò che per i primi Parenti era l’unico e per i loro figli è il minimo, si fa Principio e Regola a sè stesso, appetendo una falsa primazia. E io pensai al lago del centro terrestre, al lago che aggela per il ventilare delle sei ali del primo superbo. Facilmente s’intende come notassi subito che era diviso in quattro circuizioni, e come ricordassi i quattro precetti di Religione e di Pietà, cui violare credevo essere superbia. Di vero la più leggiera delle quattro gradazioni di colpa, quella che è punita in Caina, assomigliava assai alla violazione del quarto precetto, che, comandando d’onorare i genitori, implica in essi anche i consanguinei (2ª 2ae CXXII 5). Ma poi che i Dottori aggiungono anche la patria, e della patria è punito il violatore nella seconda circuizione, che è Antenora, imaginai che o non vi fosse tra le quattro fascie e la violazione dei quattro precetti la relazione che intravedevo, o che Dante nella santificazione del Sabato, che è il terzo precetto, avesse veduto un senso più profondo di quello che noi vediamo. In verità dice Tomaso (2ª 2ae CXXII 4): ‛Nel terzo precetto del Decalogo si comanda l’esterior culto di Dio sotto il segno del comune benefizio, che a tutti pertiene, cioè a rappresentare l’opera della creazione del mondo, da cui si dice che Dio riposò nel settimo giorno’. E aggiunge che raffigura, in senso anagogico, la quiete del fruir di Dio, che sarà in patria. E alla obiezione, che, come del sabato, si doveva far menzione anche degli altri dì sacri e sacri luoghi e vasi e simili, risponde: ‛observatio sabbati est signum generalis beneficii, scilicet productionis universae creaturae’. Festeggiare dunque il giorno del Riposo di Dio, è quanto riconoscere che Dio fece ‛caelum et terram’, la qual Terra è la patria nostra presente, e il Cielo la patria futura. E mi pareva non impossibile che, nel pensiero simboleggiante del Poeta, il peccato di Bocca, per esempio, fosse espresso con queste parole: Violò il Sabato di Dio. Come quello di Alberigo poteva esprimersi con queste altre: Assunse il nome di Dio in vano; poichè col secondo precetto si proibisce lo spergiuro che pertiene a irreligiosità (2ª 2ae CXXII 3), e spergiura in massimo grado chi viola la santità della mensa, secondo anche l’antico: ‛Violasti il giuramento grande, il sale e la mensa’. Ma non era necessità seguitare per questa via, poichè a me pareva che Dante potesse avere in mente una più semplice distinzione, suggeritagli da uno scrittore che certo in questo luogo aveva presente, da Cicerone (De off. III 10) che di Romolo uccisor del fratello aveva detto: ‛Omisit hic et pietatem et humanitatem’. E io pensava che, a ogni modo, più semplicemente si poteva affermare che superbia fosse violare la Pietà quale è in Cicerone, e altro peccato fosse violare la Umanità sola. Ma qui d’un tratto mi arrestai, dicendo: che cerco io questi particolari, quando è forse errato il punto principale? In vero superbia io dico la colpa che si punisce nella Ghiaccia; il ragionamento mi pare dirittamente condurre a questo. E c’è altro: ognuno di quei peccatori in giù tiene volta la faccia, in giù volta è altra gente e altra tutta riversata, esposta all’ingiuria dei piedi trascorrenti, e altre ombre ancora tutte sono coperte sotto il gelo, e Giuda ha il capo dentro una bocca di Lucifero e Bruto e Cassio il capo di sotto; atteggiamenti tutti ben convenienti a superbi puniti. C’è questo e altro ancora; ma tutto si può spiegare altrimenti che come sentivo di dovere spiegare io. Perchè io pensavo alla Superbia, ma Dante aveva detto che colà giù era qualunque trade, e in quel lago si puniva la frode in colui che si fida.

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