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V.
ОглавлениеEgli non è lo scolare, che narrando come imparasse, chiarisca gli stadii del suo tirocinio con la luce, che solo al termine della lunga disciplina glielo illustrò; ma il discente, che volendo che gli altri imparino come esso, non nasconde il suo graduale passare dall’ignoranza alla scienza. Non è quel pellegrino che narra il suo viaggio come chi, dopo lungo incerto errare nell’ombra e nella penombra vide poi chiara a giorno fatto la via non veduta bene quando la percorreva nella notte e all’alba, e la descrive altrui quale la scorse al sole e non quale la intravide al buio o nella caligine; ma come chi guidando per un cammino già trito da lui un altro uomo nuovo di quello, voglia lasciargli provare tutti i dubbi e gli sconforti della via, per non menomargli la gioia del giungere, dopo aver brancolato; cioè di scoprire, dopo aver ignorato. Egli si mostra sin da principio, scolare diffidente e pellegrino timoroso. L’esito del viaggio e dell’insegnamento non fa sì che egli, nel raccontare, ci nasconda tale timore e diffidenza.
Dante s’abbandona subito del venire, dove Virgilio gli ha detto di menarlo, solo per fuggire il male della lupa, e ‛peggio’; ma appena mosso con lui, disvuol ciò che volle, e Virgilio, per guarirlo della sua viltate e della sua tema (il linguaggio di Dante avrebbe fatto solo credere a una ispirazione di modestia), gli narra perchè venne, minutamente riferendogli non solo che ne fu pregato da Beatrice, ma che Beatrice fu mossa da Lucia e Lucia dalla Donna Gentile:
Dunque che è? perchè, perchè ristai?
Perchè tanta viltà nel core allette?
Perchè ardire e franchezza non hai?
Poscia che tai tre donne benedette
Curan di te nella corte del cielo,
E il mio parlar tanto ben t’impromette?[9]
La virtù stanca di Dante si rinvigorisce, l’ardire gli corre al cuore; ma è solo la menzione delle tre donne benedette che lo fa tornare nel suo primo proposito. O non bastava dunque il ‛parlare’ di quello che di lì a poco egli chiama duca, signore e maestro? No: non bastava più, appena Dante fu libero del pericolo imminente. E perchè? pare che il perchè sia incluso nella preghiera volta al poeta:
Poeta, io ti richieggio
Per quello Dio, che tu non conoscesti.[10]
Dante medita, certo, il fatto, che quegli che gli si offre a salvatore, non conobbe il vero Iddio; sa però che egli è (mi si perdoni l’espressione) l’Evangelista degli atti di Enea e delle geste di Roma, e ha narrato della discesa di Enea. Ma diffida, diffida:
Tu dici, che di Silvio lo parente,
Corruttibile ancora, ad immortale
Secolo andò, e fu sensibilmente.[11]
Con quanto maggiore asseveranza dice continuando:
Andovvi poi lo Vas d’elezione![12]
Nell’effetto di questi due straordinari fatti Dante trova motivo a crederli come giustificati così veri; e chi conosce il poeta, sa che l’effetto del primo non doveva parergli minore del secondo: tuttavia, nella sua finzione poetica, non mostra certo con la frase attenuata ‛Non pare indegno ad uomo d’intelletto’ e con la parentesi ‛A voler dir lo vero’, quella sicurezza che ha dicendo:
Per recarne conforto a quella fede
Ch’è principio alla via di salvazione.[13]
Nè sfugga che dopo il primo grido ‛Per quello Iddio che tu non conoscesti’, ora che parla dietro la meditazione della paura e del dubbio, non pronunzia più il proprio nome di Dio, ma circoscrive o accenna: ‛l’avversario d’ogni male’, ‛altri’. Però, alle ‛parole’ di Virgilio, ora che echeggiano altre ‛vere parole’, crede più che al ‛parlare’ di prima; e ogni dubbio o timore è svanito. Per sempre? Tutt’altro. ‛Sospetto’ e ‛viltà’ mostra subito all’ingresso dell’inferno, e ha bisogno del ‛lieto volto’ del maestro per riconfortarsi. Ma il volto non è sempre lieto; basta che diventi smorto per pietà, perchè Dante (che noi vediamo sempre fisso nel duca) esiti a scendere:
Come verrò, se tu paventi
Che suoli al mio dubbiare esser conforto?[14]
La persuasione dunque ispiratagli dalle parole di Virgilio, le quali sono eco delle parole di Beatrice, non dura salda e immutabile e ha bisogno di sempre nuove conferme.
E nel secondo cerchio ha subito di che alimentare la sua coperta diffidenza, nelle parole di Minos:
Guarda com’entri, e di cui tu ti fide;[15]
se non che il Maestro è pronto a ribattere la insinuazione, come diremmo noi, del giudice infernale. Nè può, nel terzo, incorarlo il notare che il gran vermo mostra le sanne, non a lui solo, ma a tutti e due:
Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
Le bocche aperse, e mostrocci le sanne.[16]
Se avesse compreso che solo esso era il minacciato e non Virgilio, avrebbe creduto di avere in lui un ausiliatore sicuro; ma Virgilio era con lui accomunato nel pericolo. Vero è che anche questa volta il Maestro è pronto, non con le parole più, ma con le pugna piene di terra. Nel quarto cerchio il timore di Dante ha tempo di manifestarsi, alla voce chioccia di Pluto; chè il Maestro gli si volge per confortarlo;
Non ti noccia
La tua paura, chè, poder ch’egli abbia,
Non ti torrà lo scender questa roccia.[17]
Finora, in tutti i quattro cerchi, Dante o esplicitamente o implicitamente ha narrato di avere avuto paura; il che vuol dire che egli non si fidava ancora perfettamente di Virgilio: al quinto poi, la sua sfiducia è tanta, che egli propone di ritrovar l’orme loro:
Pensa, Lettor, se io mi sconfortai
Nel suon delle parole maledette;
Ch’io non credetti ritornarci mai.
O caro duca mio, che più di sette
Volte m’hai sicurtà renduta, e tratto
D’alto periglio che incontro mi stette,
(non sono veramente nemmeno sette le volte, e questa esagerazione attesta il timore presente, e le parole che seguono provano, se ce n’è di bisogno, il timore passato)
Non mi lasciar, diss’io, così disfatto:
E se ’l passar più oltre c’è negato,
Ritroviam l’orme nostre insieme ratto.[18]
Lasciato solo un poco, Dante è in forse; e il sì e il no gli tenzonano nel capo; vedendo poi tornare il suo Signore con passi rari, con gli occhi alla terra, senza baldanza e sospiroso, egli sbigottisce e la viltà gli spinge sul volto il pallore; e al sentirlo parlare interrotto e tra sè, impaura sempre più e ci confessa di aver molto dubitato che si avverasse la speranza e l’aspettazione di Virgilio che di qua dalla porta dell’inferno alcuno discendesse l’erta. Ora non poteva essere, se mai, se non dal Limbo, chè gli altri dannati sono dalla loro colpa circoscritti al loro cerchio; e Dante appunto domanda se dal Limbo può alcuno venire negli altri cerchi più bassi. Virgilio mostra di credere che la diffidenza di Dante non sia per l’aspettato salvatore, ma per lui stesso; e risponde assicurandolo che già altra volta fece il viaggio; e quindi:
Ben so il cammin: però ti fa sicuro.[19]
Ma Dante non si fa sicuro, se non appresso le parole sante del messo del cielo, e nel sesto cerchio può fare, in certo modo, ammenda de’ suoi dubbi, dicendo al Maestro cui ora segue docilmente (‛io dopo le spalle’):
O virtù somma, che per gli empi giri
Mi volvi,... come a te piace.[20]
Certo, passata la porta di Dite, Dante ha ragione di credere al Maestro, e (subito, prima di scendere nell’abisso inferiore) ne dà la prova, richiedendogli un compenso del tempo che sono altrimenti per perdere, e ne ottiene la dichiarazione di tutto l’Inferno.