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VII.

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Il Sire è giunto. L'«Hohenzollern» — il yacht Imperiale — è passato stamane a pochi metri dalla mia nave ormeggiata ai Giardini, accolto da colpi di cannone e dal ronzìo degli apparecchi cinematografici, così come giustamente gli si conviene. I nostri equipaggi, raccolti in striscie dense ed immobili lungo i fianchi delle navi, hanno gridato gli hurrah di rito, ai quali un uomo isolato sulla plancia, intabarrato, stringente un cannocchiale sotto un'ascella, rispondeva appena portando di scatto due dita alla visiera del berretto: lui: il Kaiser.

Poi i cannoni hanno taciuto: una ressa di gondole ha formato come le siepi di una strada immaginaria tracciata nel bacino di S. Marco, ed il yacht imperiale vi si è inoltrato a lento moto fino alle boe dove è stato ormeggiato.

Un gridìo immenso sorgeva dalle siepi ed era condensato a tratti in un urlo solo che si ripeteva tre volte. Ho creduto di sognare: mi son chiesto con stupore quale Venezia fosse quella che avevo sott'occhio; quando e come fosse stata invasa così. Tutto tedesco quel grido!: — Hoch! — Hoch! — Hoch!... — Grido di migliaia: da dove — o angelo dorato del Campanile di S. Marco — da dove venuti? E non so perchè ho provato un brivido a cui non ho potuto dar nessun nome...

* * *

— Questo qui — mi dice un tenente di vascello tedesco, col quale mi son fermato avanti ad un enorme ritratto che domina tutta una paratia del Quadrato Ufficiali a bordo dell'«Hohenzollern» — questo qui ne farà vedere delle belle!... E abbassa la voce, stemperandola nel sorriso della confidenza.

«Questo qui» è il Kronprinz. E io guardo con sorpresa la mia guida domandandole perchè.

— Perchè? — ripete questa; ma naturalmente non va più avanti, affidando la risposta ad un gesto prettamente tedesco che significa attesa e che consiste in una rapida oscillazione della mano tenuta dritta, palma in fuori, ed all'altezza del petto.

Io penso che lo champagne di rito che ha bevuto poc'anzi con me, e forse con molti altri ufficiali prima di me, gli abbia dato leggermente al capo. Devo aspettar che? E, in ogni caso, il mio Paese non ha nulla a vedere con le questioni interne della Germania e col carattere del suo futuro governante.

No: questo gioviale fanciullone, quasi albino a forza di esser biondo, deve realmente aver troppo brindato, e le sue confidenze hanno soltanto per fondo le bollicine esilaranti delle coppe tracannate...

Infatti nel guidarmi attraverso gli imperiali appartamenti mi suggerisce le più strane osservazioni sul dubbio gusto degli addobbi, sorride con indulgenza su alcune imperiali volontà, sorvolando però, non approfondendo troppo; pronto al viso tedesco di reverenza non appena il suo spesso labbro si agita per pronunziare la parola cesarea, la parola di dominio, designante la massima potenza umana.

Ed ecco che la psiche di questo straniero mi sfugge...

* * *

Parsifal: l'apoteosi del Germanesimo. Wagner agli intellettuali, attraverso i teatri di Europa infiacchiti tutti nello spirito nazionale; e Carlo Marx alle masse, rese irrequiete da un materialismo senza limiti. Che cosa sono, armi e dottrine? programma o spontaneità? Ma...

Sono alla Fenice, in un palco che potrei dire internazionale: una principessa tedesca che parla francese, un addetto d'ambasciata austriaco, due «Von» della marina tedesca imbarcati sul Goeben e due signore del mio paese, sì, ma che parlano tedesco.

Sfilano le scene dalle insulse parole e dalla musica filosofale, nel più profondo silenzio che massa umana possa produrre. Tace persino la tosse del teatro, persistente nota di ogni uditorio.

Crani lucidi e spalle bianche sono immobili; e, disegnate dagli sparati candidi delle marsine, tante file parallele si allineano nella semioscurità della platea, come solchi di un campo nevoso in disgelo.

Incorreggibilmente latino, io trovo che il cosiddetto genio tedesco può essere sempre raffigurato da una enorme piramide rovesciata, ed in bilico su un vertice non suo. L'occhio non vede che una grande superficie tedesca; così, l'origine vera, sapientemente nascosta, gli sfugge. Ecco qua il Capolavoro. In questa folla religiosamente intenta, corrono infatti fremiti che solo l'arte può produrre: io stesso in certi momenti ne subisco il fascino e sento che il veleno tedesco è veramente ben preparato se può infiltrarsi nelle vene così. Ma se analizzo questi momenti di reverenza ne trovo subito l'origine e mi sorprende che tutti costoro non sentano che la piramide oscilla. Il vertice è il Vangelo malamente profanato da erotismo e impasticciato da nebulosi personaggi, faticosamente nati da tavolino tedesco. Kundry non è che una complicata Maria di Magdala, la quale aveva certo dovuto fare innumerevoli orgie di birra prima di mettersi a detergere piedi e a belare «redenzione... redenzione» insieme all'estatico Parsifal, giustamente punito con interminabili «piantoni» per non saper nemmeno lontanamente avvicinarsi alla grande figura che dovrebbe imitare e che può, tutto al più, parodiare. Lo Spirito Santo è distaccato dal cielo per diventare comunissimo piccione, fatto apposta per scorrere lungo un filo di ferro, secondo un sistema tedesco brevettato: l'altare cattolico, dopo la manipolazione tedesca, perde una quantità di cose, ma conserva i gradini, dove al posto dei chierici s'inginocchiano graziose giovanette dalle gambe troppo in vista tra le spaccature laterali della cotta. — Chiamiamole pure Graal queste strane chiese, e chiamiamo pure cavalieri quei buoni personaggi che vi passeggiano dentro e che certo ebbero precedenti da Gambrinus...

O puri, limpidi maestri del mio Paese a cui bastavano poche schiette note a strappare lagrime e far delirare le folle, quando il sentimento italiano era intatto e trovava nella vostra musica la sua perfetta espressione, su dalla tomba! La Germania avanza e stritola i vostri sepolcri che le fanno argine. Ombre insigni e luminose, proteggeteci. — Quando ci avranno assuefatti a questa odierna mentalità musicale, ahimè! — la questione è assai più elevata — sentiremo e penseremo alla tedesca e chiameremo Elsa o Ortruda le nostre figlie: schiavi saremo: irrimediabilmente schiavi...

— È veramente magnifico! Non si può andare più in là! — mi dice l'addetto austriaco mentre cade la tela tra gli scrosci degli applausi e la luce inonda di nuovo la sala.

Vorrei rispondergli con l'ambiguo «tu lo dici!» evangelico, ma trovo miglior soluzione il «colossale!» che gl'inferisco senza smuovere un muscolo del viso: e m'avvedo che la mia parola di commento, grazie al Cielo, lo persuade poco.

Ma intanto gli applausi continuano il loro scroscio. E guardiamola dall'alto questa frenesia morbosa che è un mero fenomeno d'inoculazione di virus tedesco! Sono mani italiane che si agitano, sono bocche italiane che, malate, gridano il loro entusiasmo. È un triste spettacolo patologico da studiare in tutte le sue fasi...

················

Fuori, la notte stellare intagliata dai parallelepipedi scuri delle case. I rii fremono della chiusa vita delle gondole che sciamano dal Rio della Fenice in massa compatta per disperdersi nelle oscure arterie d'acqua, dove punti luminosi s'inseguono. Tonfano i remi con risonanze da pozzo, e il grido lugubre dei gondolieri si ripete qua e là come chiamate di animali notturni a cui l'immaginazione presta aspetti favolosi. L'odore della bassa marea, esagerato dall'umidore fresco della notte, sembra condensato e più acuto. — Ah! È ben Venezia questa: l'immutabile Venezia che ci fu tramandata dai padri e che noi dovremo, intatta nella sua reale essenza, cedere alla nostra volta alle generazioni future.

Ma per le calli, sui ponti, lungo le fondamenta, canti isolati persistono, accompagnati dal rumore del passo. Il loggione della Fenice rincasa e son i lamenti di Parsifal, i piagnistei di Tuturel e di Kundry che si insinuano nelle vene di Venezia: da un campiello nascosto si diffonde, stonato, il coro dell'entrata dei cavalieri del Graal. — Come olio velenoso e irresistibile, il canto teutonico si propaga profittando sinistramente del sonno della città. Ma verso la Piazzetta di S. Marco un canto, un canto italiano finalmente s'eleva. La voce è grassa, rauca, intercalata da note gutturali e da note in falsetto...

Mar sanguigno (Offerta al nostro buon vecchio Dio)

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