Читать книгу Mar sanguigno (Offerta al nostro buon vecchio Dio) - Guido Milanesi - Страница 8

V.

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Uno dei direttori dell'Hôtel, naturalmente poliglotta, naturalmente intelligente, riassuntore unico della vita umana che in forza della sua professione conosce in tutti i più disparati aspetti, ha scoperto che tra i tanti libri d'ogni lingua esposti in vendita nell'antisala dell'Hôtel, qualcuno ve n'è ch'io vidi nascere sui miei tavoli di bordo tra sbalzi di latitudine, di longitudine e d'anima e tra razze di ogni colore. Non osava dirmelo: e voleva che io indovinassi dai suoi inchini intenzionati, dal suo sguardo carico di significato, che egli li aveva letti e che quindi io ero già letterariamente in suo possesso e alla sua mercè. Ciò rientra, del resto, nelle facoltà intellettuali dei moderni direttori d'albergo, che hanno in generale un'istruzione da ministro. Finchè, nel presentarmi l'ultima nota settimanale di spese, non si è deciso a rivelarmi il suo segreto. — Tra autore e lettore è già avvenuta una trasfusione che — ahi! — somiglia un po' allo strano senso che la vista d'un'antica amante suscita. Una comunione è avvenuta ed è incancellabile. Avanti a voi è un essere che ha seguito le strade del vostro spirito e che da quel disco fonografico, inciso da voi, che è il libro, ha sentito ripetere in sè le vibrazioni vostre, assorbendo il vostro più segreto pensiero.

Il direttore approfitta di questa circostanza e mi assicura che se io volessi soltanto osservare intorno a me nell'ambiente in cui siamo, potrei trovare molti soggetti di studio.

— Può essere... — gli rispondo vagamente — e del resto stia certo che già me ne sono accorto abbastanza...

Ma l'uomo sorride coll'accondiscendente sorriso di colui che ne sa di più.

— Sì, signore: ma per quanto lei osservi e in parte anche indovini — mi dice — non arriverà mai al colpo d'occhio sicuro che acquista chi, come me, vive da lunghi anni in fornaci di questo genere. Vede: per esempio, signore, da che lei è qui ha già commesso un paio di errori.

— Sentiamo...

— Giovedì scorso, lei andò a passeggiare di sera dopo pranzo, solo, lungo la spiaggia avanti ai casotti, fino a notte. — Sa! Noi seguiamo tutto...

— Mi pare di sì. Ebbene?

— Come, «le pare»?... Non ha osservato niente? Non ricorda niente? Lo vede che ha bisogno del mio aiuto! Non ha notato numerose passeggiatrici solitarie, pronte alla parola, inventrici di mille pretesti per attaccare discorso... mare... luna... malinconia... nostalgia... il «bull terrier» o l'«aberdeen» che si sperde sempre... la scarpina bagnata dall'onda... il piccolo grido di spavento e di richiamo...? Oh! ah!... oh!...

— Ma...

— Ebbene, senta: Il venerdì mattina, come lei sa, si pagano i conti della settimana d'hôtel... Mi spiego?... E si regoli nelle serate di vigilia....

— Grazie... Poi?

— Secondo errore. Come classificherebbe quella molto bella signora, forse olandese, che lei deve aver certo conosciuta nella sala di scrittura qualche giorno fa? Se dovesse descriverla che tipo ne farebbe?

— Appunto: m'aiuti lei... M'interessa...

— Ah! Allora mi fermo.

— No, no... vada avanti sicuro.

— Ebbene: gliela classifico io. Propensione per le uniformi italiane: specialmente di Marina. È un tipo recente che in questi ultimi tempi, chi sa perchè, si riproduce continuamente. Una ne va e l'altra viene. Il tipo ha due sottospecie: il brioso, il gioviale che dopo poche parole dà dello chéri e che ridendo butta inaspettatamente le braccia al collo in un angolo di salotto; e il solitario, l'altero, l'assente, che aspetta a stringersi al fianco in una calle stretta, in un vano di ombra della luna, o che avanti ad un Tiziano o ad un Veronese che ella contempla con occhi umidi a lungo, stringe forte la mano di colui che l'accompagna... Va bene? Tanto l'una che l'altra sottospecie scrive molto, riceve molta corrispondenza sigillata e preferisce impostar le proprie lettere da sè. Si direbbero — non rida! — spie, se questo genere non si fosse da un pezzo rifugiato nella letteratura francese di una certa specie lagrimatoria e revancharde. Vorrei sapere chi crede alle spie, qui? Spiare che? Chi è che da noi ha mai pensato a nascondere qualche cosa?

Pure un non so che di simile deve sussistere, per quanto la nostra mentalità non riesca a persuadersene. — E la sconosciuta persona di cui parlavamo deve appartenere a questa classe indeterminata... Vuole un consiglio? Se ne guardi!

Non condivido totalmente la sua opinione, ma annuisco. E siccome squilla il campanello elettrico che annunzia nuovi «arrivi», il nostro colloquio è bruscamente interrotto da un inchino affrettato che il direttore mi dirige per accorrere al suo posto, nel peristilio che s'apre sul grande viale del Lido.

«Se ne guardi...» Le parole mi si ripetono nella mente con una subitanea insistenza, mentre mi siedo appartato in una delle grandi poltrone di marocchino del salone, di fronte alle arcate dell'entrata, dove si sprofondarono corpi di tutte le razze. E se avesse ragione? La spia: sulle scene, primissima avanguardia di guerra... Ma via! Quale assurdo pensiero! Se si dovesse soltanto ammettere una simile possibilità, questo povero paese nostro non sarebbe più che un immenso vivaio di spie, allagato com'è, di esotismo torbido, libero, indisturbato, quasi padrone della nostra vita.

Guarda! Dei colleghi! Non precisamente: dei colleghi alleati: ufficiali di marina Austriaci, accompagnati dall'addetto navale Austro-Ungarico a Roma, che io conosco. Giungono ora e il direttore li ossequia con un forte angolo d'inchino. Sono con loro alcune signore e alcuni bambini vestiti da marinaio, sul cui berretto, per antica professionale mia abitudine di leggervi il nome ricamato in oro sul nastro, il mio occhio fugacemente si posa... Oh! Maledetti! «Lissa» e «Novara»... Selvaggi o idioti... Potessi figgere in tutta la vostra orda con punte roventi nel cervello queste lettere della nostra sciagura, che venite a mostrarci in casa nostra!...

— Oh! Come sta? È destinato a Venezia? — È l'addetto che mi parla.

Su la maschera, italiano, il cui cuore duole, come se uno spillo ne martoriasse la punta. E colleghi alleati e bambini mi si trattengono intorno, mentre le signore aspettano un poco più all'indietro.

— Da qualche giorno... Lei?

— Accompagno questi ufficiali, venuti da Pola per le regate internazionali, sa? Siamo appena arrivati col «Metkovitch» da Trieste ora... Non ci siamo ancora cambiati...

— Lo immagino — gli rispondo — dal nastro di questi bambini...

Un sussulto che si propaga a ondate all'intorno. Chi asserisce ancora che l'uomo appartiene alla stessa famiglia, mente. V'è sulle labbra di tutti costoro e forse anche sulle mie, lo stesso sorriso che ci venne insegnato nell'infanzia, frale scudo alla verità. Ma le pupille parlano, fissate da un attimo di odio ereditario, ribollito all'istante dalle più intime fibre del nostro essere. Latini e barbari ci ritroviamo di fronte, come sempre, animati da un'ostilità assorbita nell'alveo materno, più forte della nostra natura, incancellabile, eterno.

Non batto ciglio, mantenendo tranquillo lo sguardo sui volti intorno...

— Max! Rudolf! Frida! — chiamano alcune voci femminili. — E i bambini si ritraggono, condotti via da una governante dal bianco vestito di leggiera mussolina, che contro lo sfondo luminoso dell'arcata, rivela con profusione tutta la sua rosea nudità di bionda.

No, che non è morta la guerra: il contratto sorriso di costoro è divenuto quasi un ghigno che riproduce quello dei loro padri nel martirologio italiano, come ci venne descritto da bimbi. E non so perchè, provo per un istante la sensazione netta che ci ritroveremo un giorno di fronte così, su questo scintillante Adriatico, sconvolto da un orrendo «Scïò»...

Ma comincia l'untuosa cortesia austriaca, fatta di sorrisi slavi e di dialetto veneto, a cui dà spirito l'ultima operetta viennese, e fibra, un'educazione mezzo ecclesiastica e mezzo militare. Bisogna rassegnarsi. Fuori tutte le risorse della cordialità internazionale, tutti i ganci orali dell'alleanza... — Italiano, e che ci vuole a sorridere a un Austriaco?

Una contrazione: niente. E poi è un periodo di feste che mi s'annuncia... Verranno qui due navi tedesche: la «Goëben» e la «Breslau» insieme allo «Sleipner» — l'ex-cacciatorpediniere trasformato in veloce yacht di S. M. l'Imperatore di Germania. E subito dopo giungerà l'« Hohenzollern» con a bordo Sua Maestà... Feste, feste della nostra alleanza, la vera, l'unica garanzia della pace, che nessuno oserà rompere mai...

················

— Non so più come fare — mi dice il direttore dell'Hôtel che ritorna a me non appena son rimasto solo. — Non ho più camere disponibili e continuano a giungere telegrammi di richieste, potrei dire, da ogni parte d'Europa. Son tutti tedeschi che piovono qui in questi giorni... Magra clientela e non troppo desiderabile... Esigente, pitocca e grossolana.

— Risponda no.

— Sarebbe imprudente. Sono vendicativi e organizzati anche nella vendetta. Lei non può averne idea... Si guardi intorno: decorazioni, tappezzerie, lampadari, cristalli, mobili, tutto è «made in Germany», tutto ci vien di là... Lei mi capisce?... Non c'è che un sistema... Mandar via i pali...

— I...?

— I pali.

E siccome lo guardo con una certa sorpresa, — Noi chiamiamo così — prosegue — tutti coloro che ospitiamo a ridottissimi prezzi e anche gratis e che servono di richiamo. C'è un po' di tutto: autentica nobiltà che ha molte relazioni e le attira qui vantando l'ambiente, la stagione, ecc.: un magnifico profitto per noi; pseudo-artisti che «lavorano» nella cerchia intellettuale, intrattengono gli ospiti veri e rappresentano una speciale attrattiva, molto apprezzata dal forestiero «rasta». E poi — palo supremo — alcune abitatrici così dette di passo — ben mascherate di rispettabilità nei saloni da pranzo, da ballo, di scrittura e nei salotti del pian terreno, ma che dopo la breve salita dell'ascensore, cambiano un po' carattere...

Mandar via costoro non è un gran male. Li raccomanderemo ad un altro Hôtel, tanto devono ben passare la stagione in qualche modo. Li richiameremo quando avremo di nuovo stanze vuote. Lo vede che lei ha bisogno di essere istruito?

Proprio vero: ho bisogno di essere istruito: e quest'uomo che ha per orizzonte una lista di nomi rinnovata ogni giorno, possiede inestimabili tesori di scienza. Peccato che una tedeschina verso cui si precipita per chiederle con premura se ha pranzato bene, me lo porti via con un «Ia wohl» che è tutto un poema di riconoscenza gastrica, seguito da altri desideri gastrici per l'indomani.

Mar sanguigno (Offerta al nostro buon vecchio Dio)

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