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IV.

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Da S. Giorgio Maggiore, da S. Giorgio dei Greci, da S. Stefano, da S. Pietro, da cento campanili che il tramonto colora d'indaco nelle basi e insanguina nelle guglie, le campane dicono agli uomini che un altro giorno della loro vita è trascorso. Tra San Giorgio Maggiore e S. Marco, come tra due colonne principali d'una ribalta infiammata, sopra la linea dei tetti dei comignoli delle cupole, intagliata netta nel cielo, par si celebri la fine trionfale del dì con un'immensa sinfonia di colore, diretta da un prodigioso maestro nascosto tra nuvole d'oro.

E guardando in là, da questa spianata prossima all'Hôtel, l'occhio si ritempra dalla prossima vista della turpe architettura mezzo orientale, mezzo tedesca dell'enorme vespaio umano che mi ospita.

Enorme vespaio. Vi venni deliberatamente perchè ritornando stanco da un lungo periodo di solitudine sulle desolate coste della Libia, volli riavvicinarmi alla grande vampa del mondo, per necessaria reazione. È inutile mostrare agli uomini un volto cupo nella stanchezza: è il riso che li sconcerta e li sormonta. Un sintomo di debolezza e tutta la muta vi assale...

Ed ora, già sazio e rifugiato di nuovo in beata solitudine, innanzi a questo spettacolo magnifico, si scioglie in me come un inno di pace e benedico Iddio per avermi dato a compagno un «io» col quale non mi annoio quasi mai.

— È solo?

Vorrei rispondere a questo signore che mi si para inaspettatamente di fronte, le parole del filosofo greco: Levamiti davanti! È un certo personaggio molto gioviale, molto servizievole, che ho incontrato varie volte coi miei compagni e che dall'accento netto, un po' forte, incisivo, non si riesce a comprendere di che regione d'Italia sia. So di lui due cose: che è a capo di una vasta azienda dal nome esotico e che la sua cordialità ha come un fondo opaco che non mi spiego e non mi piace.

— Pare...

— Aspetta forse qualcuno?

— Non precisamente: aspetto che l'oro delle cupole della Madonna della Salute, svanisca in violetto. Come vede, è un'aspettativa piuttosto stravagante...

— Oh! — commenta in tono incolore il personaggio.

— È uno spettacolo che a Venezia — insisto — vale qualsiasi compagnia...

— Anche quella là? — ribatte sorridendo il personaggio senza rilevare affatto la mia non invitante dichiarazione.

Quella là, chi? Ah! Contro i bagliori d'incendio del tramonto una fine figura nel viale apparisce che lentamente vien verso di noi, e pare come soffusa da una luce di miracolo che l'accompagna nel cammino e dà rilievo al suo passo ritmico.

Non v'è dubbio: è la mia recente conoscenza del salone di scrittura, mia compagna di qualche giorno di gite.

Che cosa vuol dire, costui? Una frase qualsiasi o vuol precisare un senso alle sue parole? E mentre cerco una risposta che non viene, la bella creatura s'avvicina, guarda prima lui con un strano, fuggevole, laterale sguardo di rispetto, nuovo nei suoi occhi, poi guarda me chinando un poco il capo con un sorriso di saluto e passa.

— La conosce? — gli domando con indifferenza.

— Mi pare che conosca piuttosto lei, — mi risponde ambiguamente l'uomo ridendo, ma con una nota di più del necessario. Poi cambiando repentinamente tono:

— Sa perchè mi son permesso interrompere la sua contemplazione di Venezia? — aggiunge —. Perchè devo partire dall'Italia e volevo salutarla.

La notizia non m'interessa gran che. Ma un elementare dovere di forma mi costringe a mostrare una certa sorpresa.

— Una gita commerciale, immagino....

— No, son chiamato sotto le armi per un lungo periodo di manovre...

— Lei? E dove?

— In Germania. Io sono tedesco, sa? Ho il brevetto di ufficiale del Genio... Ma vede, noi quando usciamo dalle università siamo tutti classificati ufficiali secondo il genere dei nostri studi. Io sono ingegnere chimico.

— Ma... e come mai la richiamano dall'estero? È la prima volta che ciò le avviene, o si tratta di chiamate periodiche?

Si stringe nelle spalle. — Per me è la prima volta — dice: e mi offre una sigaretta.

Non ho alcun motivo per insistere di più.

Che la Germania ordini alcune manovre militari non ha il minimo nesso con la regale visione di questa città che s'addormenta sotto un manto stellato d'argento e s'avvolge nel velo della sua nebbia violetta mentre l'Adriatico, con mille braccia scure le si insinua addosso e l'allaccia e l'attira come sposa che il sole gli contese.

E saluto con compassione questo straniero che visse a lungo tra noi e come noi, in quest'atmosfera di calme visioni e di placido fermento di ricordi dove poco o nulla si domanda all'avvenire, e che ritorna al suo cupo paese a far inutile frastuono d'armi in un mondo che dorme del sonno pesante dei pingui.

Ora non c'è più nessuno spiraglio di luce rosata nel cielo. La nebbia s'alza e s'addensa dovunque, diluendo in grigio la massa dei palazzi, delle chiese e delle case, mentre le campane dei cento campanili intonano nell'aria immota la loro nenia mesta per la grande Regina che sussulta e s'assopisce.

Mar sanguigno (Offerta al nostro buon vecchio Dio)

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