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4. Dal signor A. al signor Z.

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Ci fu un tempo che frequentavo dei letterati. Qualche volta m'era avvenuto che taluno di essi nel corso della conversazione uscisse in frasi del seguente tenore:

— È qualche cosa, sai, come l'episodio di Aladina nella mia Suprema Salvezza.

Oppure:

— Non hai che pensare al mio finale del secondo atto di Libagioni.

Io frequentavo quei letterati, ma non avevo letto La suprema salvezza, non avevo sentito Libagioni. Senonchè gli autori li citavano con una così candida e poderosa convinzione, che non osavo chiedere maggiori lumi in proposito.

Ciò avveniva prima della guerra. Il simile avvenne quando, dopo la guerra, in un giorno di gennaio del 1919, un tenente mitragliere mi nominò senz'altro la B. A. I. A., nome nuovo alla mia mente.

Perciò dissi soltanto: — Ah —, ed egli continuò soddisfatto:

— Forse non sapevi che la dirige mio fratello.

— Non ne ero certo.

— Sì, sì. Ci faremo dare un appuntamento. Del resto mio fratello lo conosci.

— Non mi pare.

— Come? Mi ha detto che vi siete conosciuti, non so bene, in una città dell'Italia Centrale.... molti anni fa....

— Può darsi.... Si chiama?

— Luigi.

— Voglio dire, il cognome.

— Come ha da chiamarsi? Come me, Gattoni.

— Naturalmente.... Sì! ora ricordo. L'avvocato Gattoni.

— È lui. Stai a sentire: aspettami là in Galleria. Io arrivo qui allo studio a informarmi quando può riceverti, e torno a dirtelo. Se potesse sùbito, tanto meglio.

Poichè era lunedì gridavano dappertutto La Gazzetta dello Sport, al quale richiamo la nuova gioventù correva in folla.

L'aspettazione in Galleria la occupai leggendo con cura i titoli dei libri nelle vetrine di Treves e di Baldini e Castoldi (con la quale esplorazione mi misi in breve e compiutamente a giorno degli spiriti e delle forme della nostra letteratura contemporanea) e riandando col pensiero al tempo in cui, sei o sette anni prima, avevo conosciuto l'avvocato Luigi Gattoni, giudice di tribunale in una città di provincia. Lo ricordavo perfettamente come un uomo placido: duplice barba grigia alla Palmerston da cui emergeva raso il mento: appassionato giocatore di scopone: un giudice per bene: una persona qualunque: Gattoni. Non avevo ancora capito nulla dell'avventura improvvisa che ora legava quel giudice qualunque, dimenticato da tanti anni, con la mia persona, attraverso le premure d'un mitragliere conosciuto tra Piave e Brenta, sullo sfondo misterioso d'una B. A. I. A.

Queste quattro lettere m'apparvero poco di poi, sempre più misteriose, nere su un cartello bianco smaltato, sopra la porta d'un ammezzato oscuro in una via operosa e brulicante. Il mitragliere mi precedè in un'anticamera buia e mi disse:

— Aspetta qui.

Mentre aspettavo, il Dàimone mi ammonì:

— Stai attento a non comprometterti.

— Non seccarmi — gli risposi.

Dopo una mezz'ora il tenente ricomparve:

— Vieni.

Sorrideva con gli occhi e coi denti: il lume candido del suo sorriso dissipò le nubi dispettose che quella mezz'ora aveva accumulate nel mio spirito.

M'introdusse in uno studio ampio, illuminato a luce elettrica sebbene fossero le prime ore del pomeriggio.

Cercavo, con lo sguardo abbagliato, la barba alla Palmerston d'una persona qualunque; invece mi venne incontro un personaggio importante, adorno d'un'elegante e contenuta pinguedine, e tutto raso; una faccia quadrata, un mento quadrato; anche la testa era quadrata perchè la completa calvizie rivelava la forma appiattita del cranio.

— Sono io — mi disse con rotondità —: lei non mi avrebbe riconosciuto? Lei invece è rimasto tale e quale. Si accomodi. Mi permette?

Prima che intendessi che cosa avrei dovuto permettergli, aveva chiamato al telefono un mistico numero, aveva dato con brevi parole un misterioso appuntamento.

Intanto il Dàimone mi tirò per la manica e mi additò due cose interessanti. La prima di queste due cose era il contegno di compiaciuto e raggiante rispetto con cui il tenente mitragliere stava, in piedi addossato a una scaffalatura di noce, al cospetto di suo fratello. L'altra era un busto di marmo, su un alto piedistallo cilindrico che riempiva l'angolo estremo dello studio: busto severo e togato, di cui non riconobbi l'originale.

— Sa chi è quello là? — disse il personaggio — gliela dò in mille. È Bartolo, Bartolo da Sassoferrato, l'immortale giureconsulto, glossatore del Corpus juris. L'ho fatto fare, e mettere lì, per ricordarmi del mio passato. Io non mi vergogno di aver fatto il magistrato. Lo sanno tutti, lo dico a tutti. Io sono un uomo semplice e sincero.

Per qualche minuto, dopo quelle parole esemplari, la sala fu piena di un rispettoso silenzio.

— Ma veniamo a lei. Lei che fa?

Mi sentii arrossire, rispondendogli:

— Scrivo....

Fu benigno; s'accontentò di abbassare di mezzo tono la voce, e dirmi:

— Ricordo, sì, che lei aveva delle velleità letterarie....

— Dirò meglio — ripresi io rinfrancato — scrivevo.

— Ecco, ecco: s'intende. Tempi nuovi. Ma anche lei, come me, come tutti gli onesti, non si vergogna del suo passato. E anche lei riuscirà. Lo sento. Glie lo assicuro. Ha dei progetti?.

Ricominciai a improvvisare:

— Stavo maturando delle invenzioni....

— Non è il momento — m'interruppe —. L'inventore va incontro a troppi pericoli: pericoli di attuazione, pericoli di incomprensione.... E pure nel migliore dei casi, l'invenzione è lenta. Oggi occorre rapidità. Oggi non è necessario inventare, è necessario: produrre. Anche dal punto di vista individuale, badi, è meglio produrre che inventare, meglio vendere che produrre, e meglio far vendere che vendere. Qui siamo nel cuore della B. A. I. A.: la B. A. I. A. è il cervello della pubblicità. Lei ha delle idee?

— Qualche volta....

— Le venda. Gliele faccio vendere. Ora le spiego. Il signor A., supponiamo, apre un commercio di specchietti per farsi la barba, il signor B. inventa un aperitivo, il signor C. fonda un teatro di varietà, o crea una cravatta che si annoda in un modo nuovo, quello che crede. Vogliono farsi conoscere. Debbono andare da un cartellonista, dargli delle idee per le affiches; da un poeta, dargli uno spunto per una poesia da inserire nelle quarte pagine dei quotidiani, e via discorrendo. Ma ai signori A. B. C. eccetera, mancano le idee, gli spunti. Non sanno neppure trovare un bel titolo per la loro azienda. Si rivolgono a questo o a quello, a caso. Non solo: anche dopo trovato il tutto qua e là, s'accorgeranno di avere tra mano della pubblicità disorganica, disordinata, scombinata, che non risponde alla loro necessità; la quale, badi, è quella di far convergere tutta l'attenzione, direi tutti i sensi del passante, di tutti i passanti, verso la spasmodica persuasione che quello specchietto, quel liquore, quello spettacolo e quella cravatta gli sono indispensabili, a lui passante, come il pane quotidiano.

Rividi e risentii, in un attimo, la tregenda di luci e di rumori che m'aveano investito nella mia prima passeggiata per la nuova città; mentre il personaggio continuava:

— Il signor A. viene alla B. A. I. A., ed espone il suo caso. La B. A. I. A. gli dà il titolo, il motto, il marchio, le idee dei cartelloni, gli spunti per le poesie, tutte le più minute indicazioni per il lancio più efficace. Idee. Badi: qui non si disegna, qui non si scrive: idee: pure idee, per tutti. E ne vengono, sa? Ho citato i signori A., B., C., ma arrivi pure fino alla Zeta, e poi ricominci. E i signori A., B., C., A¹, B¹ C¹, eccetera, pagano pagano pagano le idee, e se ne vanno. B. A. I. A. è la grande officina, negozio, emporio, bazar, caravanserraglio delle idee per tutto l'alfabeto degli uomini che inventano producono vendono, o credono di inventare produrre vendere: di tutti gli uomini che hanno capito la vita nuova, di tutti gli uomini che stanno creando il nostro grande domani, gli uomini, signore, della Italia di Vittorio Veneto.

M'avvidi che, così favellando, ei s'era ritto in piedi e teneva la destra poderosamente infilata nell'apertura del panciotto. Così stette un istante, fissandomi immobile come la statua di Bartolo che gli faceva da sfondo.

La vita operosa: Nuovi racconti d'avventure

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