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PREFAZIONE.
ОглавлениеQueste novelle giovanili del Di Giacomo, scritte venticinque e più anni fa, sono state finora pregiate da pochi perchè note a pochi. Vero è che, per compenso, il pregio in cui le hanno tenute quei pochi, è così alto da valere l'ammirazione dei molti. E io confesso che nel confortare l'amico autore (il quale, come sogliono talora i veri artisti, si è straniato da esse perchè rappresentano per lui un periodo oltrepassato e ormai lontano della sua vita e della sua opera, e le guarda con iscarso affetto, e quasi si scusa di averle composte!), nel confortarlo, dico, e nel fargli premure, perchè ne permettesse la ristampa, ero diviso tra due opposti sentimenti. Da una parte, il desiderio di vedere generalmente gustato e lodato ciò che da un pezzo formava oggetto della mia stima fervente; dall'altra, una sorta di rimpianto e di gelosia nel pensare che, tra breve, sarebbe facile a tutti quel godimento che era riserbato finora solo a chi, come me, aveva la fortuna di possedere i leggiadri e rarissimi volumetti del Minuetto settecento (1883), di Nennella (1884), delle Mattinate napoletane (1886) e di Rosa Bellavita (1888).
È accaduto, per le ragioni ora dette, che laddove la fama del Di Giacomo poeta si è rapidamente ampliata negli ultimi anni da fama municipale a nazionale, e persino a internazionale (perchè le sue liriche sono studiate da critici stranieri, e parecchi si sono provati a tradurle in francese e in ispagnuolo, in tedesco e in inglese), il Di Giacomo novelliere è rimasto nell'ombra. «Ma ha scritto anche novelle il Di Giacomo?», ho udito più volte domandarmi. «E, dite, che cosa valgono?».
Tali domande non si rinnoveranno, dopo che sarà stato messo in circolazione questo volume: il quale raccoglie non tutte le novelle del Di Giacomo,[1] ma certamente molte delle più antiche, e insieme delle più belle e importanti. E nessuno dubiterà più, o ignorerà, che, oltre un Di Giacomo poeta, c'è un Di Giacomo novelliere.
Senonchè, si può fare poi questa distinzione tra il poeta e il novelliere? Nel Di Giacomo meno ancora che in altri: tanta è la medesimezza del sentimento nelle sue liriche e nei suoi racconti; e tanto i periodi della sua prosa suonano come strofe di ben elaborata poesia. Ammonimento a quegli alchimisti letterarii che vanno escogitando la poesia in prosa o il verso libero; e non hanno occhi per vedere che la poesia in prosa e il verso libero non aspettano le loro invocazioni e le loro artificiose combinazioni per venire ad esistenza, ma già esistono nel miglior modo in quei novellieri, in quei prosatori, che sono intimamente poeti.
Come nell'opera del Di Giacomo non è da fare distinzione tra poesia e prosa, così si potrebbe dire che vi appare abolita l'altra tra poesia e pittura. Si vedano i suoi paesaggi, le sue rappresentazioni di ambienti, le sue figurazioni di fisonomie ed atteggiamenti. E veramente il Di Giacomo non esce poeta e novellatore da un gruppo di letterati che verseggiano e narrano; ma vien fuori di tra i pittori napoletani, coi quali, e non con gli uomini di lettere, gli piacque di convivere fin da giovane, per affinità di temperamenti, per attrazione di simpatia e di reciproca intelligenza, per modi d'ispirazione e abiti di lavoro. Chi penetra oltre la superficie, avverte subito nelle sue pagine i procedimenti del pittore che costruisce il quadro ponendo i colori e distribuendo luci ed ombre.
Pittore non pittoresco, cioè non sfoggiante; e poeta e novellatore che sa fare cose grandi con niente, cioè senz'averne l'aria, distruggendo a forza di lavoro tutto ciò che in altri, col troppo e col vano, con gli sforzi e con gli «effetti», accusa l'immaturità della visione. Il Di Giacomo non preme sui suoi motivi artistici, sottintende tutto ciò che si può sottintendere, condensa e concentra quello che per pigrizia altri lascia errare diffuso; ha in grado eminente la castità della forma, che si suole chiamare «classicità».
La quale classicità, che parecchi ai giorni nostri credono di ritrovare nelle opere povere di vita etica degli artisti decoratori e sensuali, è invece il più forte veicolo della ricca vita etica e passionale: è l'arco robusto che manda sicuro al segno lo strale. La nota dominante nell'animo del Di Giacomo, nei suoi versi e nelle sue prose, è data dalla pietà: una pietà amara, che non filosofeggia, non si consola con considerazioni sull'universo nè si atteggia a pessimismo sistematico, ma resta semplicemente questo: pietà: «E ched è sta vita nosta! Quant'è amara e quant'è triste!», esclamano due versi di un suo compianto per una ragazza tradita e morta: esclamazione, che è tutta la sua filosofia. E per mia parte non posso leggere queste pagine senza sentire di tanto in tanto un nodo alla gola e ritrovarmi gli occhi umidi — di un intenerimento che non discerno fino a qual punto venga dalla pietà delle cose narrate e fino a qual altro dalla stessa ammirazione per la perfezione artistica della forma. Le due forze, etica e artistica, qui confluiscono veramente in una.
In questa ristampa, editore e autore sono stati concordi nell'intitolare il volume: Novelle napolitane: titolo al quale io mossi sulle prime qualche obiezione, parendomi che in certo modo restringesse il significato umano di queste novelle, e ne sminuisse altresì il valore artistico, perchè suggeriva l'idea che fossero «quadri di costumi» e appartenessero a quelle opere, determinate da ragioni non puramente estetiche, che sono dirette a far conoscere ai curiosi le condizioni di un popolo o di una classe sociale. Ma, poi, il titolo non mi parve del tutto improprio, considerando quanta parte della vita di Napoli, — di quelle sue stradicciuole «dove ogni casa nasconde e cova un dolore», — trovi il suo documento nell'arte del Di Giacomo: — e di una Napoli che ora per molti rispetti si è già dileguata, la Napoli che ricordo di aver visto anch'io nella mia adolescenza, la Napoli di trent'anni fa.
Giugno 1914.
Benedetto Croce.
1. Ne restano fuori quelle fantastiche di Pipa e boccale e le altre Nella vita edite nel 1903, per non parlare dei bozzetti contenuti nelle due serie di Napoli, figure e paesi.