Читать книгу Novelle Napolitane - Salvatore Di Giacomo - Страница 5
Gabriele
ОглавлениеIl reverendo rettore levò, finalmente, il naso da una scodelletta, in fondo alla quale il suo grosso indice aveva, diligentemente, ripescate, tra il caffè al latte, le ultime miche di pane. Nel silenzio della sagrestia si manifestava la soddisfazione di lui con quel romore del naso particolare dei tabaccosi che fanno il chilo, con un sordo gorgoglio della strozza, ronfante di compiacenza e di respiro che non trova libera la via.
— Sentiamo. Mai arrestato?
Era davanti a lui un piccolo uomo, orribilmente magro, pallidissimo, brutto, dall'aria così malata, così triste che il rettore, una persona grassa e piena di salute, aveva terminata in fretta e furia la sua colazione, temendo di doverla interrompere per mancanza di appetito. In verità nulla di più languente di quel piccolo uomo, che aspettava, impiedi, col cappello tra le mani esangui, tossendo, di tanto in tanto, a colpetti brevi e secchi, la faccia volta alla grande scansia dello stanzone. Rispose:
— No, signor rettore.
— Sai leggere?
— Sì, bene.
— E scrivere?
Lui accennò ancora di sì, con gli occhi.
— Sta bene, — disse il rettore, levandosi, — vieni un po' a vedere la chiesa....
Lui, mentre il prete s'avviava, fece per rimettersi il cappello, con un moto involontario.
— Be', — disse il prete, — cosa fai? Siamo in chiesa.
Balbettò qualche scusa, arrossendo. Il rettore si soffiava il naso e svegliava l'eco della grande navata. Lentamente, si fermava qua e là, davanti agli altari, alle pilette dell'acqua benedetta, agl'inginocchiatoi su' quali stratificava la polvere.
— Qui bisogna passar lo straccetto ogni giorno. Qui lavar con l'acqua di tanto in tanto. E i candelieri! Mi raccomando assai pei candelieri. E quando sono accesi badare che non mi brucino i quadri. Guarda, quest'è opera delle fiamme de' candelieri....
Con l'unghia dell'indice raschiò appiè d'una Purificazione della Vergine. Era una pittura su rame. Il colore si staccava, carbonizzato.
— È un peccato, — mormorava il prete, — e ogni tanto ho da sentirmi i pistolotti della commissione pe' monumenti.
Nella desolazione delle sue rovine, deserta e fredda, la chiesa invecchiava in un silenzio di morte. Era una chiesa gotica, sulla quale tutte le epoche avevano infierito, e più di tutte il seicento. I finestroni archiacuti erano ridotti a sagome inestetiche, gravati di fregi, inquadrati da cornici di stucco, da fronzoli e rosoni. Il medio evo, sotto la sgraziata sovrapposizione, fremeva; la pietra grigia pareva che, negli spasimi dell'insofferenza sua, volesse liberarsi dal calcinaccio odioso. Lo aveva fesso; serpeggiavano qua e là spaccature profonde e nere. L'invasione non aveva nulla risparmiato; sotto all'intonaco sparivano le fini dorature d'un capitello, si affollavano d'angioli ricciuti e ben pasciuti le vôlte a crociera delle cappelle e, scambio delle severe lastre di marmo, sul pavimento correvano file disordinate di mattoncelli. Della tomba del fondatore della chiesa i francesi del novantanove avevano fatto abbeveratoio di cavalli: quegli stessi francesi che ad una cappelluccia della Madonna strapparono pur un trofeo d'azze e di barbute, memoria di Lepanto. Il sarcofago, di cui penetrava nel muro una parte, attorno al coverchio aveva una iscrizione in lettere gotiche, e, a tratti, le lettere sparivano, poichè la polvere secolare ne aveva colmati i solchi.
Dietro il maggiore altare la morte era spaventosa. Si sfasciava il coro, si coprivano di polvere gli stalli deserti, e il legno si torceva nell'umidità, convulsionato come in riso doloroso, mostrando per lo spaccato chiodi ritorti e brani di vecchio legno.
Lungamente, come il rettore lo aveva lasciato libero, il novello scaccino rimase in contemplazione del coro, conquistato dalla varietà strana di tante minute pitture, che sopra ogni stallo, nell'inquadratura a rabeschi, ricordavano santi, o patriarchi, o assunzioni e martirii di vergini. Su quel del priore un barbuto Simeone circoncideva un piccolo Gesù, reggendolo in una grossissima mano, con, a lato, la Vergine e il falegname Giuseppe, dalla bianca barba spiovente. Il cinquecento avea profusa tutta la sua erudizione architettonica in queste fredde pitture, di cui i tratti avevano durezza d'incisione e austero segno ingenuo. Colonnine ed arcate a sfondo interminabile, peristilii eleganti, fregi a serpi e ghirigori; non uno sfumo, nessun'ombra. Eran monaci ossuti dalla deforme testa rasa sulla quale, a uno a uno, si potevano contare i capelli aggiustati in aureola; monaci dal collo taurino, dagli occhi astratti, le dita curiosamente sbucanti dall'intreccio delle mani in preghiera, le unghie accuratamente segnate dal paziente artista. Erano martiri beatificati, dalle lunghe facce piagnucolose, dalle vestimenta orlate di stelle; erano pargoli nudi che avevano piedi d'uomini fatti.
Le pitture diventavano rosse, si staccavano dal legno, e delle lunghe righe di puntini neri segnavano il passaggio dei tarli. Cominciava il banchetto de' tarli a sera e, nel grave silenzio, pareva che un'unghia umana lievemente grattasse sul legno.
Lo scaccino si dimenticava, assorto. Di tratto in tratto, all'altro capo della chiesa, cadeva un pezzetto di travicello roso, un frantumo, dall'organo sconnesso, e una lieve nube di polvere si diffondeva intorno. Pei finestroni sconquassati piovevano ombre fitte, che più s'addensavano. Era l'ora in cui la chiesa si concedeva all'oscurità.
Lo scaccino rientrò in sagrestia. Il rettore si spazzolava, chiacchierando con un altro prete del quale un'ombrella enorme gocciolava sul pavimento.
— Manco male — diceva il rettore — che siete arrivato voi, don Enrico. È il Signore che vi manda.
— È stata un'ispirazione, rettore. Pareva che una voce mi dicesse per la via: Va, chè il rettore non ha ombrella.
Rise, mostrando una sconcia fila di denti giallastri. E levò gli occhi al finestrone:
— Piove a rovesci.
Il rettore mormorò:
— Ah! Signore! Sia fatta la tua volontà!
Poi, come lo scaccino aspettava, impiedi:
— Siamo intesi, tu, non è vero?
— Sì, signor rettore.
— Ora vattene, ora non c'è da far nulla. T'insegno a chiuder la porta. Domani bisogna trovarsi in chiesa alle sei....
Uscirono. Lo scaccino, accomiatandosi, baciò la mano al rettore, e rimase ad aspettare che la pioggia finisse, addossato a una bottega chiusa, mentre il prete si cacciava sotto l'immensa ombrella del suo amico e s'allontanava, galoppando nelle pozzanghere.