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III.

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L'ultimo giorno di marzo Cristina morì, guardandolo ostinatamente, ancor dopo morta, co' grandi occhi sbarrati, la bocca schiusa, come se volesse chiamarlo. Egli la baciò sulla gelida faccia e svenne sul letto. Rientrato in se stesso trovò i vicini che chiacchieravano e aprivano le finestre e bruciavano zucchero. Cristina l'avevano acconciata alla meglio sul lettuccio, cacciandole sotto il capo due origlieri, spianandole le ginocchia, incrociandole sul seno le mani. La morte rendeva ubbidiente quel corpo.

— Sentite, figlio mio, — disse a Gabriele una vicina, — meglio è che andiate a pigliare un po' d'aria fuori di casa. Qui state male. Dio se l'ha voluta chiamare.

Lo spinse dolcemente fino alla porta. Lui si lasciò fare, le braccia penzoloni. Si trovò nella via senza saper come, si trovò incamminato alla chiesa, inconsciamente.

Piovigginava fitto e nel tempo uggioso la gente tirava innanzi silenziosa, scantonando. Schioccava, di tanto in tanto, una frusta e un cocchiere sferzava, bestemmiando, la sua rozza, sferzato lui stesso in faccia dalla pioggia. Sulla porta della chiesa un mendicante stendeva la mano a' passanti.

Gabriele aveva in saccoccia la chiave della porta piccola. Fece il giro della chiesa, entrandovi da un vicoletto. Essa era sepolta in una quasi oscurità che la immergeva in un ignoto misterioso e profondo; il grande altare si fondeva vagamente con l'ombra, e in quella sparivano i suoi larghi gradini. Ancora si diffondeva nell'aria un profumo leggerissimo d'incenso.

Lo scaccino entrò nella sagrestia. Lo assaliva il desiderio di trovarsi solo in questa santa pace, di sfogarsi liberamente tra questi bianchi muri pietosi. S'inginocchiò. Tornavano, co' ricordi imprecisi della fanciullezza, le prime preghiere e gli morivano sulla bocca, rotte dall'impetuoso delirio dell'anima e dal dolore del corpo. Era, tra rantoli soffocati, una frenesia di pianto e di parole sconnesse e supplichevoli.

Di colpo egli si levò, volse intorno gli occhi sbarrati. Lo avvolgeva l'oscurità, un buio così fitto ch'egli non ebbe il coraggio di moversi, temendo di precipitare in abissi che le tenebre gli nascondevano. Soffocava; s'era levato per cercare acqua e non ricordava più ove fosse la vaschetta di marmo.

Stese le mani brancicando....

Poi riescì a gridare:

— Aiuto! Aiuto!...

La stessa sua voce aumentò il suo terrore. Barcollando, mentre il sangue gli saliva a fiotti alla bocca, trovò la porta della sagrestia, uscì nella chiesa, afferrò la fune della campanella.

Nel silenzio vibrarono due o tre rintocchi. Egli aveva battuto con la faccia a terra. Aveva annaspato qua e là con le dita raggranchite, poi non s'era mosso più. La campanella vibrava ancora. Finalmente pur quel debole suono si spense....

Novelle Napolitane

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