Читать книгу Ginevra, o, L'Orfana della Nunziata - Antonio Ranieri - Страница 12

V.

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In tanta disperazione d'ogni umano soccorso, trovai qualche sentimento di compassione e di benevolenza, in fine, di quello che troppo malamente chiamasi umanità, in qualcuno degli animali che vivevano con noi. Tutte le volte ch'io rimaneva chiusa al buio, il gatto, con que' suoi occhi lucenti rompendo quasi le tenebre, veniva a adagiarsi sullo strame allato a me, e, come tenendomi compagnia, mi comunicava un poco del suo calore. Il maiale veniva spesso come a fiutarmi ed a riscaldarmi col suo grifo in atto più tosto benigno, e senza mai farmi un male al mondo. Ma quello che mi concepì un'amicizia di cui nessun uomo non è capace, fu il cane. Questo mi stava sempre accanto, se non se quanto la crudele donna a furia di vergate lo menava alla campagna. E sempre che m'era accanto, tutta mi veniva leccando e carezzando, e vedendomi, io credo, così ignuda e prossima a morire del freddo, cercava, quanto più poteva, di riscaldarmi col suo alito. Questo, tutte le volte che la rea femmina mi si stringeva addosso per istraziarmi, tentava ogni via di difendermi, baiandole contro, afferrandola per la gonna e talora perfino accennando di volerla mordere.

Durante la state, io soffocava dal caldo umido e dall'abbominevole sito di quel tugurio. Quando la donna, di fitto meriggio, tornava e m'apriva, s'ella andava attorno per sue faccenduzze, io, appena gli occhi, stati lungo tempo al buio, potevano sostenere la luce, mi conduceva chetamente sotto quel pino. Quivi all'aria aperta la respirazione mi diveniva più libera. L'ombra del pino e un venticello, che spira sempre a quell'ora dal mare e quasi sente l'alga, mi rinfrescavano il viso e tutta la persona, ch'io aveva arsa e divorata dagl'insetti che brulicavano nello strame. È cosa maravigliosa come in un istante io mi annegava nella più profonda dimenticanza de' mali miei e di me stessa: come la quiete universale, la contemplazione della natura tutta in pace con se medesima e il tenue stridore delle cicale ch'erano fra i rami del pino, m'inducevano la più dolce malinconia ed alla fine il più dolce sonno, ch'io abbia mai delibato nella mia vita. Allora io sognava felicità di paradiso, beatitudini ineffabili, quali sola la fantasia de' bambini può sognare, perchè quella dei giovanetti è già troppo inferma dal dolore. Questi sogni erano rotti dai gridi e dalle percosse della donna, che voleva ch'io stessi dentro a guardare le sue masserizie; perchè il cane era a guardare un vicino pagliaio.

Io aveva una così infinita necessità di prendere qualche volta questo sollievo, ch'ero rassegnata e ferma nel mio fanciullesco cuore di sopportarne con costanza la pena consueta: e sempre che potevo, me n'andavo al pino. Il cane, pare incredibile, avvistosi del tutto, sempre che il fatto si rinnovava, abbandonava il pagliaio e si poneva in agguato. Appena scorgeva la donna di lontano, ratto correva a me, e, prendendomi dolcemente il piccolo braccio con la bocca, m'aiutava a condurmi prestamente dentro, e mi riponeva sullo strame; poi, come un baleno, era di nuovo al pagliaio.

Ginevra, o, L'Orfana della Nunziata

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