Читать книгу Ahi, Giacometta, la tua ghirlandella! - Beltramelli Antonio - Страница 6
III
Оглавление— Perchè facesti tu questo?... — Oh, per la primavera lo feci, cuor mio!...
Io avevo fatto il salto ch'eran forse le cinque di un pomeriggio di marzo; ora ci accorgevamo che il sole era già dietro ai colli.
— Giacometta, dove sono i vostri zii?
— Forse riporranno i richiami nella capanna del roccolo; ma perchè vi interessa?
— Se li incontreremo che cosa direte?
— Già! È meglio farlo subito. Venite con me, Franzi.
Fino a quel punto erano accadute molte cose inattese per me e raggianti, che mi avevano di un subito dischiusa l'ignota lontananza nella quale mi sperdevo per amore e malinconia, di sera in sera. E se pure non decadeva la delicata soavità della quale il mio sogno aveva rivestito Giacometta, tutta la tristezza di cui io, povero giovane, mi pascevo come de' miei legumi, era trascorsa di fronte a un gesto di lei, a una sua sola parola. Senonchè un'Iside più o meno velata è in ogni cuore di donna e le moderne fanciulle sono quasi sempre simili alle scatole a sorpresa.
Giacometta non era giunta tuttavia a conoscere e a far uso della cocaina, ma aveva avuto un passato singolare. Era in punto, in fatto di sottile sapere; ed io mi trovavo, di fronte a lei, fuori di strada. È ben vero che avvertii fino dai primi istanti tale contrasto, ma mi piacque. Io, ribelle ad ogni secolare e irragionevole costrizione; dispregiatore dei dogmi intessuti ad uso della media imbecillità riposante, giudicavo gli atteggiamenti di Giacometta come un portato della sua chiaroveggenza, una dimostrazione del suo senso di libertà, e di compiutezza. Nè pareva a me che dal segno raggiunto così, di scatto, senza intermedie stazioni, ella potesse tramutare, a me, giovane di semplice candore e schiettezza. Ma Giacometta, benchè piovuta nella grugnita città dai tre campanili, e, in apparenza, limpida come i suoi grandi occhi celesti, aveva un orizzonte che sconfinava ben oltre i tre famosi campanili e la mentalità dei medesimi. Questo dovevo io vedere, sopportare e sperimentare.
Quel giorno, pertanto, ella fu di una divina mobilità sì da lasciarmi talvolta disorientato e sbalordito. Debbo dichiarare che non la capivo sempre. Non è facile capire una vorticosa giovinetta che ride e si acciglia, vi ama e vitupera nel termine di pochi secondi. Giacometta era tutta a congegni elettrici, sempre però nella grazia della sua squisita femminilità.
Cominciò con l'interessarsi alla mia vita e rise della mia furibonda zia; poi mi domandò se conoscevo le Villes d'eaux e se ero stato a Biarritz. Oh, coerenza! Le confessai che ero stato una sola volta a Rimini e in bicicletta.
La cosa non la turbò. Volle sapere poi se giuocavo al tennis, se sapevo condurre un'automobile, se ballavo bene, se pattinavo, se amavo gli sports invernali, se giuocavo al poker tanto che, sfinito ed umiliato per dover dire sempre no, finii per rispondere sempre sì con imperturbata serenità.
Ahi, Giacometta, e non vedevi tu il mio vestituccio e la cravattina d'incerto colore? E non ricordavi da quale superbo balcone avevo fatto il magico salto?
Finì per domandarmi se conoscevo l'Africa centrale, alla quale domanda risposi affermativamente.
— E dove siete stato?
— All'Uganda.
— Ma quando?
— È un pezzo... un diciott'anni fa!...
Ella tacque. Mi accorsi troppo tardi del grosso sproposito. Fatto il calcolo dell'età mia, si avvide che dovevo essere partito verso gli undici mesi per il centro dell'Africa misteriosa. Soggiunse con garbo:
— Franzi, voi dovete dire qualche bugia.
Risposi:
— No, Giacometta! Cerco di abbellire la mia povera e nuda vita.
Rise. Poi mi si strinse al braccio dicendo:
— Sapete, Franzi, che mi garbate!
Volevo risponderle: — Tu sapessi poi, quanto garbi a me!... — Ma mi trattenni. Certo si è che, in quel momento, avrei potuto toccare il cielo col simbolico dito.
Così girando di viale in viale, sostando di ombra in ombra non ci accorgevamo che il giorno se ne andava e stava sopravvenendo l'aer bruno. Ma c'era ancora una discreta e diffusa luce quando arrivammo ai piedi di un altissimo muro tutto coperto da una pianta di gelsomino. E forse perchè il muro era orientato a mezzogiorno, tanto da godersi tutto quanto il sole, certo si era che una precoce fioritura lo constellava di un mite candore. Giacometta mi mostrò un sedile. Disse:
— Sediamo qui, Franzi.
Io sentivo che la mia timidezza andava dileguando e lasciava posto ad alcunchè che non le assomigliava troppo. Ma il tuo tepore, il tuo profumo, tutta quanta la tua bellezza, Giacometta mia, erano cose troppo assassine, ed anche un buon giovane morigerato, come io mi ero, ha le sue improvvise prodigalità.
Ella mi sedeva accosto accosto perchè la panchina non era fatta che per una persona e mezzo; tanto accosto mi sedeva, da potersi dire ch'io la sentivo aderire a me, dalle spalle alle ginocchia; e certe aderenze non lasciano il tempo che trovano. Però forte era la mia costumatezza ed io cercavo, con disinvoltura, di allungare un poco la giacchettina striminzita che pareva volesse partire verso il torace per una gita di piacere.
— State attento, Franzi. Ora vedrete che cosa accadrà.
Io lo sentivo già che cosa stava accadendo e mi turbavo ed avevo la faccia accesa come certi tramonti violentissimi in cui ti domandi se il sole non si sia per caso svenato.
Ma alzai gli occhi e vidi due gatti l'uno di fronte all'altro, proprio sullo scrimolo del muro. Uno era rosso di pelo e riconobbi Salsiccia.
— Sta a vedere — pensai — che Salsiccia mi combina uno scandalo sotto agli occhi di Giacometta!
E Salsiccia mi combinò uno scandalo.
Ma mentre io cercavo di portar gli occhi altrove, Giacometta mostrava il maggiore interesse per la scena fisiologica che continua dal giorno in cui Iddio disse: Sia fatta la luce!
Poi Giacometta parlò:
— Io, un giorno, qui, in circostanze che forse vi racconterò, vorrò tessere una ghirlandella di quei gelsomini! Può darsi che la cosa vi interessi.
Le risposi:
— Giacometta, non vorrei passasse il tempo della fioritura. Questi gelsomini fan tanto presto a sfiorire!...
Sorrise e mi parve si turbasse; ed anche mi parve aderisse un poco più a me. E mi dicevo: — Baciala!... — ma avevo il mio malnato dèmone che mi teneva inchiodato al mio posto, irrigidito, al mio posto come il più funebre palo che sia mai stato in una funebre terra.
Ella ad un tratto scattò in piedi rabbuiata e disse: — Andiamo via!... — con lo stesso tono che avrebbe usato per dire: — Imbecille!... — E andammo via. Ella un passo avanti, io un passo indietro, finchè non tramutò d'improvviso e non scoppiò in una grande risata:
— Ah, Franzi... Franzi... Franzi!...
— Perchè ridete?
— Di niente. Mi è passata per il capo un'idea bizzarra.
— Si può sapere?
— No. Non ne vale la pena.
Poi mi prese sotto braccio e mi chiese un libro da leggere.
— Portatemi un vostro libro.
— Io non ho pubblicato che un opuscolo: I veli de la notte.
— E che cosa sono questi veli?
Trovai una facondia improvvisa che mi parve la travolgesse. Però quando più ero infervorato e credevo tenerla nel magico dominio del mio sogno, mi interruppe per chiedermi una sigaretta che naturalmente non avevo. E disse poi:
— Ma Franzi, voi siete disperatamente infelice!
Non mi rimase che risponderle:
— Avete ragione!
Ciò la riconciliò. Poco dopo eravamo alla presenza dei due vecchi zii.