Читать книгу Ahi, Giacometta, la tua ghirlandella! - Beltramelli Antonio - Страница 9
VI
ОглавлениеIddio ti dette i parenti perchè tu imparassi a guardartene.
Si parla della formazione dei mondi nella spaventosa immensità del niente e ci si perde dietro gli spettri delle nebulose, quando lo stesso mistero è sotto agli occhi nostri, tanto è vero che tutto si riproduce uguale, nella spaventosa immensità del niente.
Quale differenza, vi prego amici miei, quale differenza vi poteva essere, ditemelo, fra Giacometta e la nebulosa della costellazione dei Cani da caccia o la nebulosa planetaria della Lira? Nessuna! Io ero un innamorato al telescopio, il quale vede passare, nella tenebra dell'immenso, una forma che non potrà mai comprendere nè raggiungere. Ero il povero astronomo di Giacometta, ma senza il prezioso sussidio di spettroscopi o di calcoli sublimi. Perchè in amore, ahimè, non è stato ancora inventato uno spettroscopio e l'anima di una nebulosa fanciulla non può decomporsi come la luce di una qualsiasi ragionevole stella. Così navigavo nell'inconoscibile e non potevo servirmi che della più infida fra tutte le bussole del mondo e cioè del mio amore.
Quella sera pertanto, dopo il tumultuoso pomeriggio, pieno l'animo delle più dolci e più amare sensazioni, non appena ebbi varcato l'uscio della mia su non lodata casa, ecco che vidi venirmi incontro, tutta arruffata e torva, la mia formidabile zia, signora Adalgisa.
Io, giovane taciturno e remissivo per consuetudine, di fronte alla vampata affocante che si chiamava signora Adalgisa, quella sera, o fosse per la troppo lunga ed intensa emozione patita, o che so io per quale altro disequilibrio psicologico, non attesi che l'impeto, il quale già si apprestava a travolgermi, mi investisse e con voce aspra affrontai il mio consanguineo tormento e dissi:
— Non importa mi secchiate, zia Adalgisa! Vi avverto che oggi non ne ho voglia e non ho punta pazienza!
La cosa inusitata fece spalancare alla mia belva domestica due enormi e sbalorditi occhi; e la bocca, già aperta al torrente degli improperi, non trovò parole per esser riempita, ma appena si mosse per mormorare:
— Diventi matto?
Approfittai dell'indecisione di lei per aggiungere:
— Sono stanco. Lasciatemi tranquillo, altrimenti può succedere qualche brutto guaio.
E infilato il corridoio, passai sotto i lumi esterrefatti della zia, per chiudermi a doppia mandata nella mia soffitta. Ivi giunto non pensai nè ad accender la candela di sego che mi passava il convento, nè a chiuder la finestra: mi gettai sul letto affondando subito in un addolorato smarrimento. Ma la mia quiete fu di brevi istanti, chè, dopo qualche secondo, eccoti picchiare all'uscio e una voce imperiosa comandare:
— Aprite!
Non risposi.
— Secondo me — pensai — tu puoi bussare fino a domani, bell'arnese!
— Aprite, dico!... vi farò vedere di che cosa sono capace!...
Uguale silenzio.
— Checco, non mi sentite?
Ma mi chiamavo Franzi, quella sera.
— Checco, non fatemi perdere l'ultima pazienza!...
E grugniva, e tempestava, e borbottava sempre con egual risultato. Vuotò il sacco degli improperi; mi chiamò carogna, bastardo; ebbe per me cento altre delicate attenzioni e finalmente tacque e mi parve si allontanasse. Ma se Giacometta era una nebulosa, la zia Adalgisa era una meteora ed io, sventurato giovine, dovevo trovarmi sempre fra codesti indecifrabili fenomeni.
Allorchè credevo aver guadagnata la quiete, ecco ritornare il domestico castigo, e, questa volta, con una voce di grandissimo pianto e tale che mi avrebbe mosso al riso, se non avessi avuto ben altro per il capo.
— Checco, perchè tratti così tua zia?... E pensare che non ho mangiato per aspettarti!... E pensare che ti ho cercato per tutta la città!... Che ti hanno detto i Maldi, dopo la caduta?... Ti sei fatto male, figliuolo mio?... Che cosa hai fatto dai Maldi fino a quest'ora?... Checco?... Rispondi alla tua povera zia che non vive che per te!....
Ora io sono stato sempre buono, buono... talmente buono da farmi schifo! E che ci posso fare? Finii per impietosirmi.
Quel piagnucolìo interminabile, unito agli occhi di Salsiccia, ch'io vidi d'improvviso folgorare nel buio della stanza, mi vinsero.
Forse neppure Salsiccia aveva mangiato dopo lo scandalo in cima al muro dei gelsomini... forse, povero gatto, egli, inconsapevolmente, mi aveva fatto promettere la famosa ghirlandella...
Ahi, Giacometta! Io ebbi allora un tuffo al cuore e aprii la porta alla mia povera zia. Incominciò un nuovo tormento.
La signora Adalgisa, dopo aver acceso la candela, sedette sul letto vicino a me e, accarezzandomi sui capelli con le sue grosse e nodose mani che parevan mattoni, incominciò a coprirmi di domande e di pietà.
Volevo resistere, non volevo dir niente, ve lo assicuro; ma qualcosa dovevo pur rispondere!
Così dissi una parola, ne dissi dieci... e finii per dir tutto.
Avvenne allora un nuovo e sgradevolissimo miracolo: la signora Adalgisa mi coprì di baci.
E mentre mi pulivo da una parte, ella mi baciava da un'altra. Ebbi da lavorare assai per non rimaner rugiadoso di quel vivo ribrezzo.
— Zia, lasciatemi stare!
— Ma non sai, ma non capisci che è la tua fortuna... la nostra fortuna?... Non sai che, un giorno, Giacometta avrà quindici milioni?... Non capisci, Checco?...
— Vi prego, zia, non chiamatemi Checco!
— Come debbo chiamarti?
— Francesco... Franzi...
— Non capisci, Francesco?... E non sei allegro? E non salti sul letto?... Pensa... ma pensa che cosa diranno gli altri... Un povero diavolo senza un soldo, senza un avvenire, senza niente.
Quella ragazza è matta davvero! Però io l'ho detto sempre... col tuo grande ingegno...
— Zia, non dite sciocchezze!
— Perchè?... Non sarebbe la prima volta!... Intanto domani andrai a farti un bel vestito.
— Ma neanche per sogno!
— Ed io ti dico di si!
— Zia, se mi volete bene davvero, vi prego, vi scongiuro di non parlare. Zia, voi non conoscete Giacometta!
— Ma mi credi tanto sciocca? Io parlare?... Vorrei piuttosto che mi tagliassero la lingua. Intanto questa notte tu le scriverai.
— Intanto io non scriverò proprio a nessuno!
— Vuoi che le scriva io?
— Mamma mia!... Ma siete matta, zia Adalgisa?... E non vi ho detto che non dovete saper niente, niente, niente!...
— Va bene, va bene! Ma io, dopo tutto, sono tutta la tua famiglia e Giacometta deve ben diventare mia nipote!
— Voi volete farmi impazzire!
— No... no... ma no!... Stai quieto, tesoro mio. Ora va a letto e riposa. Riposa bene, amor mio. Domani ne riparleremo. Non vegliare, sai?... Guarda che verrò a vedere se dormi. Ora entra nel tuo nanni... pensa alla tua gioia... e che il Signore ti benedica.
E, dopo avermi guardato con amorose lanterne, scivolò dietro la porta e scomparve.
Prima di prender sonno vidi ancora, nell'ombra della stanza, folgorare gli occhi rotondi di Salsiccia... e ripensai al tuo dono, Giacometta, al dolce dono di amore...