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Anche se sei sulla soglia non ti credere entrato!

Non appena soli mi ricordo che giunsi le mani ed esclamai, rivolto alla mia fidanzata improvvisa:

— Che cosa avete fatto, Giacometta?

— Mi pare che ora possiate trattarmi con maggior confidenza — rispose dolcemente il mio vivo enigma.

— Ma come si aggiusteranno le cose?

— Perchè?

— Come perchè? Io, Francesco Balduino, fidanzato di Giacometta Maldi?...

— In primo luogo — rispose Giacometta — non vedo la necessità che voi andiate a raccontar fuori ciò che oggi vi è accaduto; ed anzi vi prego, e vivamente vi prego, di non farne parola. Ciò che passa fra voi e me non riguarda che noi due, mi sembra, ed io comincerei ad odiarvi il giorno in cui vi sapessi vanitoso e pettegolo. Poi, caro Franzi, non correte troppo! Fidanzato non vuol dir niente e voi avete troppo ingegno per non capir questo. Io, se così vi piace, mi sono fidanzata a voi, oggi, solo per aver più agio a conoscervi; ma non vi illudete, Franzi! Può darsi benissimo, fra le altre cose, che posdomani non mi garbiate più ed io stessa vi preghi di allontanarvi!

— Ciò che mi dite è molto chiaro, ma non è confortante!

— Come più vi piace, caro Franzi; ma non si può fare diversamente. Ora sta a voi a conquistarvi tutto il cuore di Giacometta!

Eravamo presso l'atrio della casa bianca dalle grandi invetriate e moriva l'ultimo crepuscolo. Il cielo si approfondiva nell'ambra; si allontanava per aprir le sconfinate strade degli astri. E già c'era una stella sopra le vecchie roveri del roccolo, la stella nata dal cuore del sole, la tuttachiara, quella che ha il sorriso della giovane malinconia. Nè il marzo era freddo quell'anno, anzi si ammorbidiva in un tepore di precoce primavera. Ogni aroma, nella delicata grazia della sera che moriva, poi che l'aria si faceva immota come la pupilla che si affissa e attende, si diffondeva più intenso e insistente, tanto da associarsi alle sensazioni più vive e da compenetrarle con la sua dolcezza. E i sensi miei, desti ed alerti, avvertivano questo, e più avvertivano, con un nuovo spasimo, il profumo quasi violento che si sprigionava dalle vesti e dalle carni di Giacometta; un profumo di cui non sapevo il nome, del quale non avevo anteriore ricordo; ma che mi dava un'ebbrezza improvvisa, una perduta volontà di carezze e di abbandono. Ne ero come ubbriaco. Mi pareva che, sotto quell'eccitante invito, avrei potuto dire o fare le più belle e le più grandi cose; ma, come sempre sciaguratamente mi accadeva, all'interiore possibilità non rispondeva l'animo e la parola, tanto che dissi con pedestre malinconia:

— Come sapete di buono, Giacometta!

Ella non rispose e non mi guardò. Stava appoggiata, le spalle e la nuca, allo stipite di una grande porta e aveva gli occhi all'aria, e tutto il suo piccolo volto soave, veduto così di scorcio, pareva cento volte più bello. Notai come il naso le si affilasse ancor più, come accade nello spasimo del piacere; e le pinne sottili si inarcavano un poco nel respiro breve ed intermesso.

Si lasciò prendere una mano e non disse niente; ma stava come se fosse morta. Io sentivo, fra le mie mani che ardevano, la sua piccola mano abbandonata e la guardavo, inebetito dalla troppo grande emozione.

— Giacometta... — mormorai. — Tu sapessi... tu sapessi...

Ella, senza muoversi, ebbe un sorriso vago e sperduto; sorrise con l'aria, con le stelle e con il suo indecifrabile enigma. Ed io mi domandavo: — «Che farò?... E se ardisco, che farà?... Sarà la fine di tutto o lascierà fare guardando da un altra parte?... Perchè non mi risponde?... Perchè non vuole accorgersi che io, povero giovane, non sono di cemento armato?... Perchè non mi incoraggia?...

Finalmente le baciai una mano, poi il polso, poi le accarezzai il braccio ignudo sotto la veste leggera; poi, come la vidi arrossire e abbrividire, la strinsi alla cintola... ed ella sorrideva, sorrideva sempre, le iridi più grandi e fonde, la bocca più rossa e dischiusa, la gola più bianca e scoperta, una gola tanto tersa e amorosa e viva da dar le rosse vertigini al più bianco fra i candidi e morali idealisti.

E, come avviene agli imbecilli par miei, io uomo timido e d'improvviso predace, non ebbi il garbo di saper cogliere quel dolce frutto senza turbare la palese e volontaria assenza della mia fidanzata; anzi, sorpreso da una grandissima sete, da un annebbiamento improvviso, da un fuoco che mi fucinava il sangue in un tumulto indiavolato, mi gettai su quel candore: avido, cieco, sitibondo, disfatto. E appena ebbi tempo di assaporarne la freschezza che Giacometta, scostatasi violentemente, mi disse in tono acerbo, come una nemica:

— Siete sciocco e volgare!... Andate via!...

Poi, nello stesso tempo, quasi tutto ciò non fosse bastato, udii giungere dal fondo del giardino il domestico stridere della mia zia formidabile, la quale urlava su tutti i toni...

— Checco?... Checco?... Checco... Checcoooo?...

E allora fuggii vergognoso, disperato, in compiuta rovina pensando seriamente a un placido suicidio.

Ahi, Giacometta, la tua ghirlandella!

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