Читать книгу Ahi, Giacometta, la tua ghirlandella! - Beltramelli Antonio - Страница 7

IV

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Meglio è credere a un onesto merlo anzichè a una leggiadra fanciulla.

Il signor Tomaso e il signor Antonio mi squadrarono dall'alto al basso e mi chiesero:

— Chi siete voi?

Io guardavo pietosamente Giacometta che si divertiva un mondo al mio imbarazzo e non mi decidevo ad aprir bocca per non saper che dire.

Il signor Tomaso era un uomo alto più di due metri e aveva il naso pieno di bitorzoli. Il signor Antonio, all'opposto, era piuttosto piccolo e calvo e grassotto. Entrambi portavano gli occhiali a stanghetta e vestivano una vasta cacciatora di fustagno.

E ricordo che il signor Tomaso teneva, sospeso al dito anulare della mano destra, una gabbia con un uccello che mi parve o un merlo o un tordo; ma non ebbi tempo di occuparmi del particolare.

Questi due zii erano molto antichi ed entrambi scapoli.

Continuando adunque il mio penoso silenzio, il signor Tomaso, lo zio Pertica, si fece innanzi e muovendo la gran bocca nera, fra rari ed ispidi peli bianchi, mi domandò:

— Ehi, giovanotto, non sapete dire dunque per quale ragione vi trovate qui?

Io vedevo Giacometta che si mordeva le labbra per non scoppiare a ridere e credo di esser stato in quel punto, sì per la mia naturale timidezza, come per la orripilante sorpresa, di esser stato più bianco della panna.

Continuando il mio silenzio, il signor Antonio si rivolse a Giacometta e le chiese:

— Ma dove hai trovato questo signore?

— L'ho trovato in giardino — rispose Giacometta.

— E da qual parte è passato se Girolamo non ci ha annunciato neppure una visita?

La giovinetta fece una smorfia e rispose con palese indifferenza e tranquillità:

— Credo sia passato da una finestra.

— Da una finestra?... — domandarono i due zii ad una voce e tanto l'uno quanto l'altro mi spalancarono addosso due smisurati occhi.

— Volete spiegarci questo enigma? — domandò il signor Antonio.

— Su, Franzi, parlate — fece Giacometta con adorabile semplicità.

Ma io non trovavo modo di spiccicar parola; tormentato fra mille dubbi; preso da un inverosimile timore ero nell'assoluta impossibilità di formulare alcunchè di concreto. E mi sosteneva inoltre l'ultima disperata speranza che Giacometta intervenisse.

Allora il signor Tomaso, continuando il silenzio, divenne aggressivo.

— Spero non ci vorrete far perdere maggior tempo — disse. — Su, che diavolo facevate con Giacometta?

— Che diavolo facevate? — soggiunse il signor Antonio.

— Ma, Franzi, siete davvero tanto timido?.... Quando io sono contenta potete parlare liberamente. Gli zii sono buoni e fanno quello che desidero!

Allora impallidii certamente anche nelle mie parti più celate. Di fronte a quale enigma mi poneva la mia sfinge improvvisa?

Dopo le parole di Giacometta i due anziani si guardaron negli occhi, poi lo zio Pertica domandò alla nipote:

— Dunque tu conosci questo signore?

— Eh, se lo conosco!

— E perchè non dircelo prima? — fece lo zio Antonio.

— Perchè è per lo meno strano che io debba parlare prima di lui.

— Ma allora, se lo conosci, saprai anche perchè è venuto — riprese lo zio Pertica.

— Certo che lo so! Anzi lo so benissimo! E parlerò. Siete contento Franzi?

Le avrei gettato le braccia al collo.

— Sì, Giacometta, ve ne prego!... Parlate.... Parlate subito!...

Che cosa avrebbe detto?... Che cosa avrebbe detto mai?...

— Ebbene... il signor Franzi è venuto a chiedere la mia mano!...

Il primo impulso, il più forte, fu quello di gridare ai vecchi musi:

— No, non è vero!... Non è vero!...

Ma tacqui, allibito, aspettando che l'inevitabile burrasca mi investisse.

Invece seguì un silenzio in cui i due cacciatori mi osservarono ancora; poi lo zio Pertica chiese tranquillamente a Giacometta:

— E tu che ne pensi?

— Io sono contenta!

— Ma sai chi è questo signore?

— È un giovine povero; ma è un grande poeta! — rispose imperturbata la mia Sibilla.

Allora i due anziani si guardarono nel fondo degli occhi e l'uno fece all'altro, ad un dipresso, il ragionamento che segue:

— Già!... Che ne pensate, Antonio?... Dopo tutto noi non ci entriamo e non dobbiamo entrarci. Ma, — dice — il mondo non fa così... È vero, è vero, è vero!... Lo sappiamo... lo sappiamo!.... Ma noi facciamo così, noi Tomaso Maldi e Antonio Maldi!... Dice: — Un poeta!... A chi la danno quella povera figliuola, a chi la danno!... — Adagio, rispondiamo noi. In primo luogo noi non diamo Giacometta a nessuno, non vi pare, Antonio?... È lei che si dà! Poi un poeta è un uomo rispettabile come un altro. Che ne pensate, Antonio?... Siamo stati poeti anche noi, ai nostri bei tempi! Se Giacometta ama questo signore e se questo signore ama Giacometta, la nostra coscienza è tranquilla. Noi non dobbiamo guardare un millimetro più in là. Noi non dobbiamo investirci della parte di una giovinetta. Così quando Giacometta ci presenta il suo uomo, a noi non resta che mettere la firma sotto la sua decisione. Che ne dite, Antonio?... E noi mettiamo la firma!

— Sicuro!... E noi mettiamo la firma — soggiunse il piccolo zio. — Dopo tutto si tratta di logica.

— È quello che ho sempre detto io — fece lo zio Pertica. Poi, senza più occuparsi di noi, alzò fino agli occhi la gabbia che teneva sospesa al dito anulare della mano destra, guardò amorosamente il suo merlo o tordo che fosse, e disse al fratello:

— Antonio, questo sarà un richiamo monumentale. Ha la voce di Caruso.

E si avviarono, rifacendo il verso agli uccelli, verso le ombre e le tese insidie del loro uccellatoio.

Ahi, Giacometta, la tua ghirlandella!

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