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CAPITOLO IX

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Maurilio intanto aveva svegliato il bambino.

– Su, piccino, andiamo a casa tua adesso.

Il ragazzo s'era fregato gli occhi, s'era stirato le piccole membra ed aveva risposto sbadigliando:

– Andiamo pure.

Venendo fuori dell'osteria, il piccino indicò la direzione del cammino da farsi verso la parte più sporca e più brutta di quel bruttissimo e sporchissimo quartiere.

Giunsero, dopo un po' di strada, ad una porta ad arco, ma bassa e schiacciata, sotto la quale un lampioncino ad olio, di cui poteva dirsi col poeta, che pareva spento, tramandava attraverso ai vetri affumicati, tanto di luce tremolante e rossigna da poter scorgere che in quei muri, su quello spazzo l'umidità e le sozzure ci stavano trionfalmente in permanenza. Passarono un cortiluccio che di poco si discostava da una fogna; giunsero ad una scala stretta, non illuminata, a corte branche, a scalini alti.

– Se tu non mi dài mano: disse Maurilio al suo piccolo compagno, io non verrò a capo di andar su per queste tenebre senza rompermi il naso.

Il bambino pose la sua manuccia destra in quella sinistra del giovane, e questi scorrendo ancora coll'altra mano che gli restava libera lungo la parete trasudante un umor freddo e viscoso, scalpitando ad ogni posar di piede sempre nuove immondezze, pervennero ambedue alla fine della scala, sotto alla travata del tetto, in un corridoio basso, angusto, soffocato, tenebroso, che dava adito alle soffitte.

Fatti pochi passi per questo corridoio, il piccino si fermò innanzi ad un uscio serrato per di dentro, dalle fessure del quale trapelava un filo di luce del lume acceso all'interno, e vi picchiò col suo piccolo pugno.

– Chi va là? Chiamò di dentro a quell'uscio una voce aspra, rauca, stizzosa, che mal avreste saputo giudicare se era d'uomo o di donna.

– Son io: rispose il bambino. Allora s'udì un moversi di persona a rilento, uno strascico di pianelle e un brontolio di parole inintelligibili venir verso l'uscio.

– Sei proprio tu, Gognino? Domandò ancora la medesima voce.

– Sì, nonna.

L'uscio s'aprì e comparve fra i battenti una vecchia vestita a bardosso d'un subisso di panni che non avevan forma nè colore, la quale, senza badar più in là, per primo saluto allungò la mano, ghermì il polpastrello dell'orecchio al bimbo, e si pose a tirare.

Il tristanzuolo si diede a strillare come se lo pelassero.

– Biricchino! Gridava la nonna frattanto. È l'ora di tornarne questa qui? Le nove sono già ribattute alla campana della città.

Maurilio fece un passo innanzi; la vecchia lo udì, si volse, lo vide e lasciò il fanciullo che andò a finire il suo lamento e il suo pianto presso al misero focolare, dove s'accoccolò quasi sopra le braci mezzo spente.

La vecchia e Maurilio si guardarono l'un l'altra, come avviene fra due che si trovano a fronte e non si sono mai visti.

Di quella poteva dirsi col Boccaccio «una vecchia che pareva pur santa Verdiana che dà beccare alle serpi,» tanto la era strema, vizza, sporca, brutta e scontrosa. L'occhio avea rimesso e maligno, la bocca asciutta, tirata e sottile, il naso adunco, il mento aguzzo e volgente all'insù con sopravi radi ma lunghi peli di barba grigia: un aspetto di tristo e d'abbietto, di maltalento temperato dall'impotenza.

Maurilio provò un senso di profonda ripugnanza, quasi di malessere innanzi a quella figura. E' non si scoprì la faccia e stette lì, com'era per istrada, col cappello fin sugli occhi e il mantello fin sopra la bocca.

– Chi è Lei? Domandò la vecchia colla sua voce squarrata. Gli è di me che cerca? Che cosa vuole?

L'uomo si appoggiò ad un desco zoppo che stava contro al muro presso l'entrata, e rispose:

– Son venuto a portarvi dieci soldi, perchè non vogliate battere quel vostro bimbo là.

La vecchia volse un suo sguardo invelenito sul fanciullo, il quale s'interrompeva dal piangere di quando in quando, per soffiare a pieni polmoni sulle braci, a cui cercava scaldare le sue mani intirizzite e gonfie dai geloni.

– Che cosa gli ha contato quel bugiardello di Gognino? Che sì che gli mostro io!

E la minaccia si sarebbe certamente risolta in fatti, se la vecchia non avesse visto lo sconosciuto porre nel taschino del panciotto il pollice e l'indice della sua mano sinistra; allora ella, interrompendosi tosto nel discorso, tese la destra e stette ad aspettare.

Maurilio trasse fuori un pizzico di monete, le fece scorrere sulla palma della mano, e siccome, oltre poche di rame da cinque centesimi, non ce ne aveva che di argento, ne prese una da un franco e la porse alla vecchia, la quale fu lesta a farla ingoiare da un tascone della sua gonnella, dove, sonando cupamente, diede segno di essersi andata ad affratellare con il buon numero di soldacci grossi di rame. Poi ella sogguardò così di sbieco il donatore e con un cotale accento di timore, di peritanza, di rincrescimento, impossibile ad esprimersi, gli domandò:

– Ho da tornarle indietro il soprappiù?

Un sorriso ed un moto di spalle fatti dall'uomo, ella s'affrettò ad interpretare per una negativa, diede un colpetto colla mano alla sua saccoccia, come per chiuderla, e riprese con tono più umano e dolciato:

– Che Dio la benedica, signor mio, per questa carità.

Si volse verso il piccino che seguitava ad infrignare:

– Vuoi smetterla, Gognino, o che io vengo a levarti il ruzzo collo staffile?

Maurilio volle parlare, ma la vecchia non gliene lasciò tempo, e riprendendo a discorrergli come prima, soggiungeva:

– Per Lei, vorrò dire la terza parte del rosario, a favore dell'anima dei suoi morti.

La faccia di Maurilio si contrasse leggermente, ma ella nol vide.

– E sentirò domattina la messa alla Madonna del Carmine. Io sono sempre lì sulla porta della chiesa che vendo abitini, rosarii e candelette. Se mai avesse bisogno di me per alcuna cosa, la mi ci troverebbe. E se vuole, domani accenderò le candelette per lei all'altare delle indulgenze.

– No: interruppe Maurilio. Ciò ch'io vorrei si è che non batteste più quel povero bimbo.

– Ah! rispose la vecchia. Lei crede ch'io gli faccia del male a quel piccino. Si sbaglia, sa! Io non fo che per suo bene. È dura cosa alla mia età allevarsi su un figliuolo di quella fatta. Io sono tutt'altro che cattiva. Ne potrebbe domandare a chiunque, e se le si dirà che la Gattona è una senza cuore, voglio sprofondare. (Da un buon pezzo di tempo mi chiamano la Gattona; ma il mio vero nome è Modestina… Modestina Luponi… Ma, sa bene, tra noi povera gente si comincia, tanto per ridere, ad affibbiare ad uno un sopranome, lo si ripete una volta ed altra, e buona sera, gli è come se gliel'avesse dato il prete coll'acqua santa.) Dunque le dico che quel ghiottoncello là, di certe ore, tirerebbe le botte di mano ad un san Giobbe. Sono una povera vecchia io che il lavoro non può più darmi nessun guadagno. Vivo della carità della gente io, e deve sapere anche Lei, se la carità della gente la è tanto larga. Oh stia là, che a me quel biricchino gli è un grave peso a portare!

– Siete sua nonna, voi?

– Signor sì. Ma vorrei ben essere piuttosto… Dio mi perdoni, che quasi ne direi qualcuna di grossa. È il figlio d'una mia figliuola, la quale dopo avermi dato i mille dispiaceri e perduto a me il rispetto, a sè l'onore, morì tra la miseria, lasciandomi sulle braccia quel coso. La ne aveva fatte di ogni razza quella disgraziata ed era proprio caduta al più basso.

– E voi, sua madre, come non avete potuto avviarla al bene?

– Eh sì! Che cosa vuole ch'io facessi? Bisognava ben lavorare per vivere… Un tempo, me la ricavavo bene… Sono stata in casa di signori… e di certi signori… Basta… Venne un dì che la mia ragazza dovette andare in giornata da una parte ed io dall'altra. Sa come succedono queste cose. Cominciò per innamorarsi d'uno che la piantò. Poi diede retta alle offerte d'un ricco che la fece scialare per bene durante un po' di tempo. Quindi da questo a quello, che vuol ch'io le dica? Patatrach nella miseria e nell'abbiezione… E fu allora, noti che provvidenza maligna! che le nacque codesto marmocchio della malora. Io avrei creduto che lo gittasse all'ospizio. Niente affatto. Quella creatura, che era stata senza cuore per sua madre e per tutti, volle tenersi il figliuolo, e per esso sostenne ogni sacrifizio ed ogni privazione.

– Ciò prova che vi era del buono in lei.

– E codesto la fece morire tisica all'ospedale a vent'ott'anni. Sono intorno a nove anni fa; me ne ricordo sempre; la mi fece chiamare al suo letto dove rantolava che faceva spavento, e mi disse con quel poco di voce che le restava e serrandomi la mano colle sue che bruciavano come carboni accesi: – Mamma, tu mi hai da promettere di non abbandonare mio figlio e di allevarlo su un onesto uomo. Che cosa vuole ch'io facessi? Promisi tutto quello ch'ella volle.

– Ed avete fatto bene.

– Oh! me ne ho dovuto pentire più d'una volta, glie lo dico io… Avrei fatto meglio a dar retta al consiglio di alcune amiche, che era di piantarlo là e lasciar pensare a lui quella provvidenza che l'ha fatto nascere.

Maurilio sentì un profondo ribrezzo, ma stimò inutile il mostrarlo, e dopo un momento domandò:

– E suo padre?

– Chi? Il padre di quel bastardo? Chi l'ha mai visto o saputo chi fosse? Se l'avessi conosciuto, glie ne avrei portato bravamente e dettogli: – Mantenetevi voi la vostra carne ed il vostro peccato, ch'io, che cosa ci ho da entrare io?

– Però voi da questo piccino tirate alcun profitto.

– Santa Madonna della Consolata! A che cosa può giovare di buono un bardassotto di quella guisa? Gli vo comperando qualche dozzina di mazzi di fiammiferi, perchè li rivenda e venga così raspando qualche solduccio: chè adesso che si vuol far tutto in nuovo, hanno proibito anche l'elemosina… pena il Ricovero. S'e' volesse avere testa a partito, potrebbe pure guadagnarmi qualche cosuccia di questo modo; ma sì, egli è più vizioso di quanto si voglia credere, e non è ancora fuor di casa che con altri sbarazzini di sua risma, ei non sa far altro che giuocare alle biglie, o alla trottola, alle castelline e sciupare il tempo e i denari, e va apparando non altro che difettacci.

– Questo è vero. E voi non mantenete così la promessa fatta al letto di morte di vostra figlia; di allevarlo un onest'uomo.

– Oh sante piaghe! Che cosa ho da farne? Ei non vuol saperne di nulla delle cose da bene. Padre Bonaventura, un buon reverendo dei Padri Gesuiti lì del Carmine, mi aveva detto di mandarglielo in sacristia a far qualche piccolo servizio che gli avrebbero mostrato a servir la messa, e dato qualche elemosina di tanto in tanto, ed inculcatogli quanto meno il santo timor di Dio… Eh sì! Gognino… (lo chiamano Gognino, ma il suo vero nome è Luca)… Gognino è sempre scappato come il diavolo dall'acquasantino.

– Perchè non lo acconciate con qualcuna di quelle scuole infantili che ora si sono fondate?

– Scuole? Tutte baie!.. Padre Bonaventura dice che non vi si tiran su che dei miscredenti… E poi chi mi compenserebbe i dieci soldi che me ne fo portare?

– Ah!

Maurilio parve riflettere un poco. Diede una nuova e più minuta sguardata intorno a sè, si inoltrò nella soffitta ed esaminò meglio il ragazzo, il quale, tutto rannicchiato al focolare, aveva cessato di piangere, e teneva fisso sulla nonna e sullo sconosciuto gli occhioni larghi ed attenti. Poscia Maurilio si volse di nuovo alla vecchia e le disse:

– A quel bambino, di leggere e scrivere, voi non glie ne avete neppur parlato?

– Madonna santissima! E perchè mai? E che vuole ch'ei ne faccia? A che cosa giovano elleno queste cose per noi, povera gente, per quel disgraziato che gli toccherà sbrandellarsi la pelle se vorrà mangiar pane?

Maurilio non credette opportuno entrare in discussione colla vecchia sull'utilità del saper leggere e scrivere. Si rivolse al bambino e gli disse:

– Vieni un po' qui tu.

Gognino lo guardò con occhio ancora più largo, ma non si mosse.

– Hai sentito. Luca? Gridò la Gattona. Vien qui dal signore. E così, tristerello, vuoi obbedire o no? Subito, ti dico; chè se vado io a pigliarti…

Fece un passo. Gognino tosto fu dritto e s'accostò adagio, mostrando nel muovere delle spalle e nel frusciarsi i panni addosso tutta la sua malavoglia.

– Luca, domandogli Maurilio, sai tu che cosa sia leggere e scrivere?

Gli occhi del fanciullo diedero un leggiero lampo d'intelligenza.

– Sì: rispose. Vedo bene che quando appiccan qualche cartello alle cantonate tutti ci si fermano.

– E di saperlo ne avresti voglia?

– Sicuro. L'altro giorno che hanno menato a morire quel bel giovane, e che io sono andato a vedere, e che tutto il mondo correva, che dicevano avesse ammazzato il suo padrone… Ebbene avrei voluto poter leggere anch'io la sentenza su pei muri, come faceva l'altra gente.

Maurilio mandò un sospiro e scosse dolorosamente la testa.

– E voi, diss'egli alla vecchia, lasciate questo ragazzo andare a siffatti spettacoli?

– Bisogna bene. Così vedendo il castigo, imparano a non fare il male.

– Oh miseria dell'ignoranza! Mormorò il giovane; poi, come per una risoluzione subitamente presa, disse alla vecchia:

– Sentite. Voi quando aveste da questo ragazzo i vostri dieci soldi al giorno, nulla dovrebbe importarvi ch'egli se ne andasse attorno per le strade ad imparare i vizi, e il padre di essi, l'ozio, oppure da qualcheduno che gli desse un po' d'educazione. Non è vero?

– Certo. Ma se non vende fiammiferi o se non cerca l'elemosina, come razzolar dieci soldi? La mi par cosa impossibile.

– No: è fatta. Io gli darò dieci soldi al giorno e voi mi condurrete a casa ogni giorno, per lasciarmelo quanto tempo mi piacerà, il vostro Luca.

La Gattona guardò bene entro gli occhi l'uomo che le faceva una simile proposta.

– Scusi: biascicò ella: ma che cosa vuol fame lei di Gognino?

– Mostrargli a leggere e scrivere.

– Dassenno?

– Che cosa pensereste ch'io ne facessi?

– Ah! non saprei, ma di questi giorni se ne vedono tante!.. Lei è dunque un maestro?

– Un maestro che vuol pagarvi invece d'essere pagato.

– To' gli è vero! L'è una bella opera che vuol fare!

– Bella no; mi ci voglio provare.

– Ed io avrò dieci soldi al giorno?

– Senza fallo… finchè non mi stanchi o non abbia altrimenti da cessare, perchè non prendo già un impegno per un dato tempo. Finchè dura, dura. Quando il vostro piccino non vi porterà più a casa i dieci soldi, potrete rifarne quel che vi piacerà. Siamo intesi?

– Ah! dieci soldi sono tanto pochini. Gognino cresce ogni giorno più… Fra poco sarebbe in grado di fruttarmi assai di vantaggio. Mettiamo venti soldi.

– No. Sono povero ancor io. Questo lo posso fare, non di più. Se vi accontentate, bene; altrimenti sia per non detto.

– Via, come vuole…

– Comincieremo da domani.

– A suo senno.

– Sapete leggere voi?

– Signor sì… Come le ho già detto non fui sempre la misera donna che Lei vede in adesso. Quand'ero giovane… Eh! Ho vissuto bene un poco ancor io… Ma poi delle disgrazie… Un vero romanzo se glie l'avessi da contare… L'ingratitudine di certa gente… Basta! Non gli accade ora di far parola di codesto… So leggere come un notaio.

Maurilio trasse di tasca una cartolina compagna a quella che aveva data poc'anzi a Gian-Luigi.

– Prendete, disse porgendola alla vecchia, questo è il mio indirizzo. Domattina alle nove vi ci aspetterò col vostro nipote.

E fatta una carezza al ragazzo si mosse per uscire. La Gattona, presa la lucerna, gli tenne dietro a rischiarargli l'andito e la scala, e quando lo sconosciuto fu per ispiccarsene, ella lo ritenne.

– Ah signore, gli disse, d'una cosa la voglio avvertire. Se mai per caso… poichè vedo che Lei è tanto generosa… se le avvenisse di voler fare qualche maggior carità a Gognino… in più di quei dieci soldi…; ebbene, la prego a non dar niente a lui. È malizioso come il fistolo, sa, e sarebbe capace di tenersi i denari e sciuparli al giuoco, non dicendomene neppur motto. Sarebbe meglio che li dèsse a me direttamente.

– Va bene, va bene; rispose Maurilio, e partendo di buon passo lasciò lì la vecchia, a piè della scala.

La Gattona, risalita alla sua soffitta, pose la lucerna in sul desco, e curiosamente si fece a leggere le parole scritte sulla polizzina datale dallo sconosciuto. Esse erano le seguenti: Maurilio Nulla, scrivano pubblico, via porta num. 7, piano quarto.

– Maurilio! Esclamò la vecchia sovraccolta. Oh! Che cosa mi ricorda questo nome! Sono più di venti anni che non l'ho più udito; che non trovai più nessuno che lo portasse… E costui potrebbe egli avere alcuna attinenza con quell'altro là?..

Scosse le spalle, come si fa quando ci viene un'idea assurda pel capo.

– Eh via! Gli è impossibile.

Allora domandò conto a Gognino di quanti denari avesse raccattato durante la giornata; e poichè vide che in luogo di dieci non le aveva portato a casa che quattro soldi, si diede a batterlo secondo l'usato, precisamente come se l'intervento di Maurilio non avesse avuto luogo.

La plebe, parte I

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